mercoledì 2 marzo 2016

Michele Sindona, padre della Patria

Sindona. Biografia degli anni SettantaMarco Magnani: Sindona. Biografia degli anni Settanta, Einaudi, pp. 160, € 21

Risvolto
La vicenda Sindona ha un valore paradigmatico nella storia italiana recente. Sotto gli urti tremendi degli anni Settanta (autunno caldo, shock petrolifero, disordine monetario internazionale, contestazione di massa dell'assetto politico ed economico, terrorismo) si accentua la debolezza storica di una "cultura repubblicana" nel paese. Il crollo dell'impero di Sindona scoperchia nel 1974 il primo grande scandalo finanziario che investe direttamente la DC. Lo contro tra finanza cattolica e laica, il ruolo della mafia, della P2 e del Vaticano, le coperture politiche e istituzionali di cui beneficiò il banchiere ma anche il senso del bene comune di chi lo contrastò sono alcuni elementi di una storia che ha causato enorme scalpore. Oggetto di una apposita commissione di inchiesta parlamentare, la vicenda Sindona è sotto molti aspetti ancora viva perché non pochi nodi che portò alla luce ancora oggi soffocano l'Italia.


Sindona, la resistibile ascesa tra politica, mafia, massoneria 

Una nuova biografia del finanziere siciliano evidenzia le responsabilità dei potenti che lo protessero negli Anni 70 

Stefano Lepri Busiarda 2 3 2016 
Banche, politica, mafia, massoneria, Vaticano: per chi lo abbia ancora presente, il nome di Michele Sindona evoca gli ingredienti di un giallo dozzinale. A 40 anni di distanza, è arduo capacitarsi che un personaggio simile, capace di ordinare un assassinio, fingere il proprio rapimento, infine di travestire da omicidio il proprio suicidio, sia andato vicino a dominare la finanza italiana.
«Oggi fatichiamo a ricostruire un’atmosfera che può apparire quasi surreale» scrive Marco Magnani. Eppure lui - economista della Banca d’Italia e storico - c’è riuscito, in un libro da ieri in libreria, insieme scorrevole e documentatissimo, equilibrato e privo di reticenze sulle responsabilità dei potenti di allora (Sindona. Biografia degli anni Settanta, Einaudi, pp. 160, € 21). 
Non c’era solo il piombo dei terroristi, in quegli anni. Chi si oppose al finanziere siciliano sapeva che lui e i suoi amici mafiosi contavano su complici nello Stato e avevano accesso a Giulio Andreotti. L’avvocato Giorgio Ambrosoli pagò con la vita, nessun politico andò al suo funerale, e trent’anni dopo Andreotti lo definì «una persona che in termini romaneschi se l’andava cercando».
Tanto era asfittico l’assetto del capitalismo italiano che perfino un conservatore come Cesare Merzagora, che perfino Eugenio Scalfari all’inizio avevano sperato in Sindona per immettere aria nuova; banche inglesi e americane partecipavano alle sue imprese, il Vaticano gli affidava ciecamente grandi risorse. Forse la mafia gli era dietro dall’inizio, forse arrivò solo dopo.
I crac bancari
Fin dal 1971-72 le ispezioni della Banca d’Italia avevano rivelato irregolarità gravi e possibili reati. Ma Guido Carli, allora governatore, non aveva agito; né la magistratura di Milano, a cui le carte erano state inviate, si era mossa. Poi tra la primavera e l’autunno del ’74 sia la banca americana di Sindona sia quella italiana fallirono, travolte da speculazioni valutarie.
Così l’Italia, tra il referendum sul divorzio, le stragi neofasciste a Brescia e sul treno Italicus, il sequestro Sossi che dette celebrità alle Brigate rosse, affrontava la sua prima crisi bancaria di tipo moderno: senza averne gli strumenti, e anzi nella persistente tendenza a lavare i panni sporchi dei banchieri al riparo dagli occhi del pubblico.
Con gli occhi di oggi, il costo per la collettività di quel crac appare limitato, 127 miliardi di lire di allora, una cifra non grande anche per la piccola Italia di allora. Stupisce invece quanto a lungo e con quanta aggressività Sindona - frattanto colpito da mandato di cattura e latitante - abbia tentato di tornare in sella, ovvero di ottenere la revoca della liquidazione coatta. Il miglior ritratto dell’epoca è lì.
Si mobilitarono i picciotti della mafia arrivando a minacciare il banchiere Enrico Cuccia, considerato un nemico; la loggia P2 attivò i suoi iscritti; due giudici romani orchestrarono una vendetta incarcerando nel marzo del ’79 l’allora vicedirettore generale della Banca d’Italia Mario Sarcinelli con accuse rivelatesi poi inconsistenti. 
Era all’opera un «complesso politico-affaristico-giudiziario» (parole di Paolo Baffi, che sentendosi sfiduciato si dimise da governatore) popolato da personaggi che rimasero all’opera a lungo, nel crac del Banco Ambrosiano collegato alla P2, nei vari scandali degli Anni Ottanta, e alla fine in Tangentopoli. 
Le trame di Licio Gelli
Sindona aveva dato miliardi alla Dc, era stato in affari con i cardinali dello Ior, si proclamava perseguitato dai comunisti; le trame di Licio Gelli prima in favore di Sindona poi di Roberto Calvi furono spesso protette dal Psi di Bettino Craxi. Però Magnani è severo anche con il Pci, timoroso di indebolire Andreotti capo del governo che per la prima volta appoggiava.
Compare qui un retroscena inedito: subito dopo l’arresto di Sarcinelli, il dirigente della Banca d’Italia Pierluigi Ciocca andò, caso eccezionale, nella sede comunista di via delle Botteghe Oscure in cerca di solidarietà. Il responsabile economico, Luciano Barca, era personalmente ben disposto, ma lo avvertì che «nel partito non avevano ancora capito se Andreotti era un angelo o un demonio». 
Era poi «Inferno e Paradiso» l’infantile giochino di carta piegata con cui Sindona maniacalmente teneva le mani occupate, notò nel 1975 Lietta Tornabuoni intervistandolo per questo giornale. Appunto: al di là di schematici opposti l’Italia di allora, economica e politica, mancava di laiche regole, e della capacità di rispettarle: di questo, conclude Magnani, «Sindona fu la personificazione estrema». 





Un pozzo di misteri chiamato Sindona 
Trent’anni fa morì il banchiere legato alla mafia. La cui vicenda pare il preludio degli scandali finanziari di oggi Un saggio ripercorre relazioni politiche e criminali

BENEDETTA TOBAGI Restampa 21 3 2016
Trent’anni fa esatti, all’ora di colazione del 22 marzo 1986, il banchiere bancarottiere legato alla mafia Michele Sindona stramazzò a terra in una cella del carcere di massima sicurezza di Voghera dopo aver bevuto un caffè al cianuro, gridando «Mi hanno avvelenato!». Morì 48 ore dopo. Tutti pensarono a un omicidio mascherato da suicidio, come nel caso del mafioso Pisciotta (1954) e del banchiere dell’Ambrosiano Roberto Calvi (1982), successore ideale di Sindona dopo il crack di Banca Privata Italiana nel 1974, come lui iscritto alla P2, legato al Vaticano, coinvolto nel riciclaggio di capitali. Invece fu
proprio il contrario: due giorni dopo la condanna all’ergastolo per l’omicidio Ambrosoli, Sindona si uccise (ci aveva già provato nell’80) tentando di passare per vittima: per gettare discredito sugli avversari e, probabilmente, garantire alla figlia l’incasso di una polizza sulla vita (il libro dei magistrati Turone e Simoni Il caffè di Sindona fuga ogni dubbio sulla vicenda). Fu l’ultimo colpo di teatro di un istrione avvezzo alle mistificazioni: basti pensare che, con l’aiuto di mafia e massoneria coperta palermitana, nel 1979 inscenò un finto sequestro da parte di un immaginario gruppo armato proletario per sfuggire alla giustizia e passare per martire.
Allude con ironia a questa tragica fine la foto di copertina di Sindona. Biografia degli anni Settanta (Einaudi) di Marco Magnani. In quest’ottimo saggio di agile lettura, l’autore, economista in Banca d’Italia dal 1982, rivisita la vicenda Sindona in chiave propriamente storica, non più giornalistica o giudiziaria, ponendo l’accento, come suggerisce il titolo, sulla dimensione sistemica, anziché meramente criminale, della vicenda Sindona.
«Non sapevo come si costruisce un muro, ma sapevo come si incrociano gli interessi » : la fulminea ascesa del brillante
self made man di origine sicula, prima commercialista di grido nella Milano del “miracolo”, poi banchiere trionfante negli Usa e protagonista della scena finanziaria e bancaria privata italiana, è utilizzata come uno specchio in cui studiare caratteri patogeni del “capitalismo relazionale” nostrano. Lettura appassionante anche perché ripercorre la storia economica italiana negli anni della grande trasformazione produttiva, dal boom, quando il nostro Pil cresceva a ritmi da Brics, fino alla crisi di metà anni Settanta.
L’Italia in cui Sindona si fece strada con manovre fraudolente e potenti agganci, politici e criminali, era un sistema finanziario poco esposto alla concorrenza e dominato dalle banche, il cui controllo era formidabile strumento di influenza economica e politica (com’è ancora oggi, d’altra parte). Intrecciando in modo agile e chiaro vari piani, storia economica, finanziaria, politico-sociale e criminale, Magnani mette in evidenza come, per esempio, il sistema-Sindona poté indirettamente giovarsi dell’escalation del terrorismo rosso, e la conseguente necessità delle forze politiche, comunisti inclusi, di far fronte comune: ciò consentì al suo grande sponsor Giulio Andreotti «maggiori margini di libertà nel gestire financo rapporti istituzionalmente non tollerabili, come quello con il bancarottiere latitante ». Mentre il coraggioso liquidatore Giorgio Ambrosoli fu lasciato solo, per anni, finché il killer mafioso Aricò, su mandato di Sindona, lo uccise sottocasa l’11 luglio ’79. Andreotti (il suo braccio destro Franco Evangelisti fu tra i soggetti più attivi del «complesso politico-affaristico- giudiziario» – Gelli e P2 in testa che si attivò in difesa di Sindona e per il salvataggio di Banca Privata Italiana) celebrò il banchiere come “il salvatore della lira” e, davanti alla Commissione parlamentare dedicata al caso nel gennaio ‘82 (i resoconti delle sedute sono pubblicati online tra i documenti dell’VIII legislatura nel sito Senato.it), poté rimarcare che la sua non fu una “cotta” isolata.
A lungo, Sindona fu portato in palmo di mano dalla stampa italiana ed estera; quando nel ’72 rilevò la Franklin National Bank, ventesima banca statunitense, lo incensarono come «uno dei trader più dotati al mondo» (l’antesignano di tanti lupi di Wall Street, insomma). Suscitò speranze, persino, quando si scontrò con Eugenio Cefis, il presidente di Montedison, storico antagonista di Enrico Mattei, che «contribuì a creare quell’intreccio patologico tra politica ed economia che in altri modi ancora oggi asfissia il paese».
Magnani mostra come l’ingegno senza scrupoli di Sindona seppe sfruttare la fame di facili profitti speculativi, le debolezze della politica, le malattie congenite al capitalismo italiano e la scarsa propensione al rischio d’impresa e all’investimento in ricerca e sviluppo, come si vide, purtroppo, in occasione della nazionalizzazione dell’energia elettrica. Sindona poté farsi strada nella foresta vergine dei mercati finanziari in virtù dell’assenza di regolamenti, e Magnani non manca di puntualizzare con quanto ritardo, dopo il suo crollo, arrivarono le norme: particolarmente interessante leggere questo saggio oggi, alla luce dello scandalo dei mutui subprime e della crisi mondiale innescata dal crack di Lehman Brothers. Sindona esprimeva una patologia destinata a durare, ma, all’epoca, ci furono figure come Ambrosoli, La Malfa, Baffi e Sarcinelli ad arginarlo. E oggi?
Leggendo Magnani si comprende quanto la storia di Sindona sia una miniera in cui continuare a scavare. Tra pochi mesi, dopo un titanico lavoro di riordino, sarà accessibile presso la Camera di Commercio di Milano l’archivio della Banca Privata. Non si sa, invece, quando saranno consultabili le carte accumulate dalla Commissione parlamentare Sindona, che chiuse i lavori nel 1983, senza disporne la pubblicazione. Presso l’Archivio storico della Camera, l’inventariazione analitica è in corso, in seguito dovrà essere deliberato l’avvio delle procedure di declassifica: ci vorrebbe un impulso politico per accelerare i lavori.
La Commissione presieduta da De Martino fece un gran lavoro, ebbe il merito di acquisire dai magistrati Colombo e Turone le liste della P2 consentendone la pubblicazione, certificò che la Dc ottenne attraverso Sindona cospicui finanziamenti, accumulò elementi di conoscenza sulle relazioni tra mafia e massonerie coperte, e di queste con i poteri economici e politici, e su episodi come il tentato golpe separatista in chiave anticomunista progettato nel 1979 da Sindona con la mafia, che, successivamente, hanno trovato risconti nelle parole di molti collaboratori di giustizia di Cosa Nostra. I commissari, spiega la relazione conclusiva, non ebbero tempo di approfondire questi aspetti. Sarebbe ora di farlo.
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