sabato 12 marzo 2016

New York brucia: Il romanzo di Hallberg

Città in fiammeGarth Risk Hallberg: Città in fiamme, tr. it. M. Bocchiola, Mondadori, pagg. 1005, 25 euro

Risvolto
New York, 1977. Il Bronx è in fiamme e Central Park è il terreno di caccia di rapinatori ed eroinomani, il punk sta nascendo e gli artisti ancora affittano le soffitte a Manhattan. La notte di Capodanno corre sul filo del rasoio. È quasi mezzanotte quando si alza una tempesta di neve e, nel frastuono dei fuochi d'artificio, uno scoppio attraversa Central Park. Uno sparo. Forse due. Il momento esatto in cui scocca la mezzanotte. Gli eventi intrecciano i destini di un insolito gruppo di newyorkesi: Regan e William Hamilton-Sweeney, i riluttanti eredi di una delle più straordinarie fortune di New York; Keith e Mercer, gli uomini che, nel bene e nel male, li amano; Charlie e Samantha, due ragazzini di Long Island attratti a Manhattan dall'incandescente scena punk. Il momento esatto in cui la pasticca fa effetto. I nuovi arrivati incantati dalla città e quelli che della città sono così stanchi che la darebbero alle fiamme: tutto parte dell'ossessione di un reporter e di un detective che cercano di capire cosa c'entra ciascuno di loro con lo sparo in Central Park. Il momento esatto in cui va via la luce. Che lo sappiano o meno, sono tutti legati dalla stessa storia una storia su quanto le persone più vicine a noi sono a volte le più difficili da conoscere, una storia dove amore e arte, crimine e tradimento. Storia e rivoluzione sono racchiusi in un unico ordigno, pronto a esplodere. New York, 13 luglio 1977. Il momento esatto in cui esplode. 



Leggere “Città in fiamme” e scoprire che parla di noi 

Il caso del romanzo di Hallberg: il più pagato, il più atteso, il più promosso Il suo valore non si giudica dalle cifre, ma dalla storia che racconta
ANDREA BAJANI Restampa 13 3 2016
Per parlare di Garth Risk Hallberg e del suo molto discusso Città in fiamme (quasi mille pagine, nella traduzione di Massimo Bocchiola) bisogna prima sedersi davanti a un apparecchio televisivo di circa trent’anni fa. È il 1985, e posizionata sul divano c’è la famiglia di Jack Gladney, il professore di studi hitleriani protagonista di Rumore Bianco di Don DeLillo. Tutti i venerdì la sua famiglia officia il medesimo rituale televisivo, esponendosi a una rigenerante ipnosi apocalittica: «Ci riunimmo tutti davanti all’apparecchio, com’era uso e norma, con il cibo cinese fatto portare da fuori. Assistemmo a inondazioni, terremoti, smottamenti, eruzioni di vulcani. Rimanemmo in silenzio, a guardare case che scivolavano nell’oceano, interi villaggi che si frantumavano e ardevano in una massa avanzante di lava. Ogni disastro ce ne faceva desiderare ancora un po’, qualcosa di più grosso, di più grandioso, di più travolgente». Accanto al pater familias ci sono la moglie Babette e un numero imprecisato di figli, conseguenza di quattro matrimoni. Alcuni di loro sono nati nella seconda metà dei Settanta. Il televisore è il seno che li nutre, l’apocalisse il latte che li riempie, ciò che fa di loro quel che sono oggi.
Garth Risk Hallberg è nato nel 1978 in Louisiana. Il divano di Jack Gladney è il suo divano, e di quel professore di Advanced Nazism Hallberg potrebbe essere il figlio. L’apocalisse è stato il suo nutrimento principale, per certi versi forse l’unico, e come è avvenuto per tutti i suoi coetanei, anche in lui ha causato assuefazione. Città in fiamme, il romanzo che con i suoi due milioni di dollari di anticipo è stato l’evento editoriale, più ancora che letterario, dello scorso autunno negli Stati Uniti, è il romanzo scritto da uno dei tanti figli di Jack Gladney. Quel rumore bianco, cioè quella specie di morte diffusa come una nube tossica sul mondo, ha trovato le parole e si è fatto romanzo. La città che brucia tra le pagine di Hallberg è New York, il quartiere è il Bronx (il quartiere d’origine di DeLillo, tra le altre cose), l’anno è il 1977, il giorno è il 13 luglio, l’ora esatta le 21.30. È il momento in cui New York venne travolta da un blackout che durò per 24 ore. La città venne messa a ferro e fuoco, furono appiccati oltre mille incendi, e le bande criminali ne furono le dominatrici incontrastate. Il resto fu sconcerto e terrore. È lì dentro che Hallberg fa correre le storie dei suoi protagonisti. Si chiamano Regan e William Hamilton- Sweeney, ricchi ereditieri, il broker Keith Lamplighater, il docente universitario afroamericano Mercer Goodman, i giovani Charles Weisbarger e Samantha Cicciaro, e Nicky Chaos, leader cocainomane di un gruppo della scena punk newyorchese. E c’è un poliziotto, Larry Pulaski, che indaga sulla notte di Capodanno del 1976, e sul proiettile che ha colpito Samantha Cicciaro in Central Park, che è la vicenda che fa da perno all’architettura del romanzo. Intorno infuriano gli anni Sessanta e Settanta, e tutto il mix di sociologico e storico che li contraddistingue, da Norman Mailer con il bicchiere in mano agli echi del Vietnam che invadono l’America.
Si farebbe torto al romanzo e al suo autore se lo si leggesse, come purtroppo ha invitato a fare l’impressionante campagna promozionale che ne ha accompagnato l’uscita americana, come il Grande Romanzo Americano che racconta una volta per tutte e in maniera monumentale New York.
Città in fiamme è un buon romanzo, imponente nella mole e ambizioso nella costruzione (novantaquattro capitoli, interrotti da interludi che allontanano anche graficamente il lettore dalla narrazione, pur essendone complementari), che non racconta la più famosa e mitizzata tra le metropoli, ma un blackout molto più essenziale di quello del luglio 1977.
Hallberg si alza ipnotizzato dal divano di Rumore bianco dove lo abbiamo visto idealmente seduto e, anestetizzato a suon di apocalissi, comincia a raccontare. Tenta di ricapitolare, di partire dall’inizio, dall’anno che precede la sua nascita. Tenta di sottrarsi alla narcosi andando indietro nel tempo, ma la nube tossica che incombe nel capolavoro di DeLillo è retroattiva, invade anche il passato. Raccontate dall’ex bambino di White Noise, la furia delle razzie del 13 e 14 luglio 1977, l’omicidio di Samantha Cicciaro, persino le mille luci di New York, sono una nube di ordinaria insensatezza, più che un crescendo di spaventosa ferocia. È la sterminata città di cui siamo tutti cittadini, quella che efficacemente brucia nel romanzo di Hallberg, ed è il nostro tempo, il blackout che viviamo. C’è chi fa razzia, c’è chi mette il mondo a ferro e fuoco. Ma non sono bande di teppisti, siamo semplicemente noi.

Nessun commento: