sabato 5 marzo 2016

Un noir piccista





L’Italia rossa del 1977 come l’Urss del 1926 
Il bel giallo di Lodovico Festa si rivela un viaggio, tra segretari e im piegati, dentro il Pci m ilanese Dove non si poteva essere gelosi né fare delle riform e sensate senza perdere le elezioni e il posto 
6 mar 2016 Libero PAOLO NORI
Nel romanzo di Lodovico Festa La provvidenza rossa ( Sellerio, pp. 528, euro 15) un ingegnere comunista, che si chiama Mario Cavenaghi, ritrova, nel 2015, le carte di un’inchiesta che aveva condotto nel 1977 in quanto vicepresidente della commissione probiviri lombarda del Pci, e che l’aveva portato a essere una specie di poliziotto del Pci, in competizione con la polizia di Stato, rappresentata da Francesco “Ciccio” Modena, braccio destro del commissario della zona Sempione. Il romanzo di Festa è popolato da segretari della federazione di Quarto Oggiaro che hanno dei completi viola-azzurrini che ricordano quelli che si vendevano al Gum di Mosca, un grande magazzino che dà sulla Piazza Rossa, da ritratti di Lenin e di Gramsci e busti di Togliatti, da intellettuali di origini cuneesi, «testoni, come tutti quelli che vengono da quelle parti», da funzionari di partito che si meravigliano del fatto che il mezzo grattacielo di via Melchiorre Gioia non l’abbiano fatto «con quel bel stile imperiale che usano a Mosca», da segretari di federazione che, quando parlano del tesseramento, sono «incantati dal rito» che permette loro di «esorcizzare le paure, propiziare esiti felici», da biblioteche lombarde che conservano «una raccolta della rivista “Oltre”, organo dell’associazione delle pompe funebri italiane».  
Era un periodo in cui San Siro era ancora «uno stadio-monumento spettacolare, a strapiombo sul campo. Chissà - si chiede Cavenaghi - se sarebbero mai riusciti a rovinare un edificio così perfetto con un’erba come un panno di biliardo?». 
Ed era un periodo in cui «mostrarsi troppo apertamente innamorati era considerato abbastanza disdicevole», quasi quanto «essere addirittura gelosi», ed era un periodo che se il responsabile della sezione Esteri della direzione nazionale del Pci incontrava un padre gesuita, c’era il caso che il padre gesuita gli chiedesse: «Avete qualche legame con i guerriglieri comunisti dell’Indonesia che stanno infastidendo una nostra missione? Credo siano stati finanziati dai cinesi ma che abbiano qualche rapporto con Mosca e Hanoi. E mi scusi se passo subito dalle stelle alle stalle. Sa a chi mi posso rivolgere per il nostro seminario di Senago, città ora amministrata da Un corteo di m ilitanti del Partito com unista italiano per le strade di M ilano il 25 aprile del 1977. A sinistra, la copertina del rom anzo di Lodovico Festa, tra i fondatori de «Il Foglio» voi, che vorrebbe metter su una bocciofila e incontra tante difficoltà?». 
E c’era anche il caso che il responsabile della sezione Esteri, dopo aver rassicurato il gesuita, rispondesse che gli servivano informazioni sull’atteggiamento che il «Banco Bilbao aveva verso le cooperative comuniste spagnole, appena uscite dalla clandestinità», e «informazioni sicure sul comportamento di un necroforo» che si chiamava Tonio Ruvo e su suoi eventuali legami con la malavita. 
Ed era un periodo, a stare al libro di Festa, in cui i funzionari di partito avevan già chiarissimo, nel 1977, il fatto che la necessità di fare delle riforme sensate non era compatibile con «l’esigenza di portare a casa dei risultati a breve nelle prossime elezioni», e quindi perché mai avrebbero dovuto fare le riforme, per «farci fischiare» e «perdere il posto con cui do da mangiare ai miei bambini? E cosa vado a fare poi, il portiere in un caseggiato?». 
Ed era un periodo in cui Cavenaghi, incontrando i russosovietici si dispiaceva del fatto che «la vecchia eleganza zarista era stata sostituita da una generazione di figli di contadini che non si erano integrati a un’élite ma l’avevano bruscamente sostituita-soppressa senza avere il tempo e la volontà di imparare le buone maniere». 
Cioè anche in Italia, a giudizio di Cavenaghi, si era realizzato, nel 1977, quel che Joseph Roth aveva trovato nella Russia del 1926 e che aveva raccontato nel Viaggio in Russia (Adelphi): «Invano ci si sforza nella Russia sovietica di salvare la reputazione rivoluzionaria senza nuocere alla cosiddetta edificazione dello Stato. La reputazione rivoluzionaria resiste soltanto finché ancora non procede l’edificazione dello Stato. Si potrebbe dire: quando Dio nella Russia Sovietica dà a qualcuno un impiego, gli dà anche una psicologia borghese. Con una creatura così borghese come è Dio secondo l’opinione di tutti i marxisti incalliti la cosa non mi meraviglierebbe. Ma quando è un potere rivoluzionario come quello dei Soviet ad assumersi la funzione divina di distribuire gli impieghi, allora non si può non stupirsi che nella Russia di oggi lo spirito piccolo-borghese da mezzemaniche determini in così larga misura la vita pubblica, la politica interna, la politica culturale, i giornali, l'arte, la letteratura e una gran parte della scienza. Tutti sono impiegati» (la traduzione è di Andrea Casalegno). Ecco. Nel Pci di Festa, uguale: tutti erano impiegati.

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