venerdì 18 marzo 2016
Università: pubblicazioni, metodo scientifico, proprietà e accessibilità del sapere. Un esempio di contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione
Il problema è assai complicato. Da un lato è indispensabile un vaglio critico delle pubblicazioni, dall'altro va garantita la libertà di ricerca e di pubblicazione nonché la sua indipendenza rispetto alle compatibilità capitalistiche [SGA].
https://sci-hub.io/
Libera scienza in libero web “Con le riviste perdiamo tempo”Sempre più studiosi inviano le loro ricerche a piattaforme online Anche i Nobel
ELENA DUSI Restampa 17 3 2016
C’è chi dibatte da decenni se la scienza debba essere pubblica o a pagamento. E chi, senza farsi troppi scrupoli, riversa 47 milioni di articoli protetti da copyright su un sito pirata gratuito. L’autrice di questa Wikileaks della scienza è la ricercatrice kazaka Alexandra Elbakyan (ora nascosta in Russia, sembra). «La distribuzione delle ricerche scientifiche è ristretta artificialmente dalle leggi del copyright », spiega dal suo sito. «Queste leggi rallentano lo sviluppo della scienza nella società umana». Nonostante le denunce delle riviste e le ingiunzioni dei giudici, il sito sci- hub. io resta online — e continua a crescere — perché non si sa bene quale paese dovrebbe fermarlo. Ma non si può nemmeno dire che l’impero delle riviste scientifiche — 30mila titoli, 2,5 milioni di articoli, 10 miliardi di budget ogni anno — goda di vasto sostegno, né dentro né fuori la scienza. Nella maggior parte dei casi le testate si fanno infatti pagare sia dai ricercatori (intorno ai mille euro) che chiedono di pubblicare i loro studi sia dai lettori. I prezzi variano da poche decine di dollari per un articolo a varie migliaia per un abbonamento.
Ecco perché — oltre ad alcune testate ad accesso gratuito — sempre più successo raccolgono i siti che permettono di pubblicare tutto e subito, senza pagare e senza passare per il filtro lungo e non sempre trasparente della “peer review”, o “revisione fra pari” tipico delle riviste. Il precursore di queste biblioteche online — chiamate “pre-print” — è arXiv, inventato dalla comunità dei fisici. Dal 1991 a oggi il sito ha pubblicato più di un milione di studi, scritti da scienziati famosi o da perfetti sconosciuti. Il suo successo ha contagiato i biologi, che nel 2013 hanno fondato bioRxiv. Oggi, racconta il New York Times, sul portale delle scienze della vita ha pubblicato una sua scoperta anche la biologa premiata con il Nobel Carol Greider. È il terzo vincitore a farlo, dimostrando che la scienza resta ottima anche quando è diffusa gratis e via web.
Pochi giorni fa, sempre su bioRxiv, anche Vincenza Colonna ha pubblicato il suo studio sul Dna delle popolazioni che vivono lungo la via della seta. La genetista del Cnr di Napoli, che ha lavorato insieme ai colleghi dell’Istituto Burlo Garofolo e dell’Università di Trieste, conosce bene l’odissea delle riviste scientifiche: «Lo studio che noi inviamo agli editor per la pubblicazione viene sottoposto al giudizio di alcuni esperti del settore, in genere tre». Sono i “peer reviewer” chiamati a giudicare la qualità del lavoro dei colleghi. «Noi non sappiamo chi sono, riceviamo i loro giudizi in forma anonima», spiega Colonna. «Se va bene passano 3 o 4 settimane. Ma a volte si arriva a un anno. È un problema, se c’è un gruppo con cui siamo in competizione. Può addirittura capitare che un lavoro finisca nelle mani dei nostri rivali, chiamati a scriverne la peer review». Di ragioni per sbrigarsi, accelerando le pubblicazioni dei gruppi concorrenti, i revisori non hanno troppa voglia. Anche perché il loro lavoro è gratuito. «Immaginiamo il caso di un dottorando che debba aspettare la pubblicazione dell’esperimento per discutere la tesi. Rischia di buttare via un anno», continua la genetista.
Se i giudizi dei tre revisori sono negativi la pubblicazione viene rifiutata. Se solo uno o due hanno sollevato obiezioni, l’articolo può essere emendato e riproposto (facendo trascorrere altri mesi). «Tutto questo viene saltato a piè pari dai siti pre-print», sostiene Colonna. «Il ruolo delle riviste è prezioso. Ma lo è altrettanto la possibilità di leggere immediatamente i commenti dei colleghi su bioRxiv». ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Una piattaforma open per le riviste scientifiche
Scienza aperta. L’esperienza del sito internet «open access» Sci-hub
Luca Tancredi Barone Manifesto 30.4.2016, 0:20
I pirati stanno assaltando la fortezza della conoscenza scientifica. Non c’è politico o funzionario europeo che si rispetti che non si riempia la bocca sull’importanza di creare società basate sulla conoscenza. Ma fra le buone intenzioni e la realtà si staglia una montagna di riviste scientifiche a pagamento: la condivisione dei risultati su cui in teoria si basa la scienza coinvolge quindi solo chi se lo può permettere.
Questo modello di riviste scientifiche, di proprietà di colossi editoriali internazionali come Elsevier (che pubblica per esempio Science) o Springer ha cominciato a scricchiolare qualche anno fa, con la nascita delle prime riviste scientifiche ad accesso libero (open-access). Il tradizionale meccanismo di funzionamento delle riviste scientifiche è che una volta che la rivista accetta la ricerca che si vuole pubblicare – e di norma questo avviene dopo un processo di peer review, ossia di revisione da parte di altri scienziati anonimi – i ricercatori pagano una tassa, e la rivista si incarica di pubblicare l’articolo. Le riviste poi vengono acquistate a caro prezzo da biblioteche di università e centri di ricerca e attraverso queste ultime, gli altri ricercatori possono accedervi. Le riviste open access, invece, hanno cambiato l’approccio: chi pubblica paga di più, ma poi la rivista è a disposizione di tutti online.
La filosofia open access negli ultimi anni ha cominciato a imporsi anche a livello politico. Il problema, infatti, è che in un certo senso i cittadini pagano tre volte per la ricerca. Per pagare chi la fa, per pagare la sua pubblicazione, e di nuovo per potervi accedere. «Paghi per leggere la ricerca che finanzi», come ha efficacemente sintetizzato qualche giorno fa la rivista Wired. È per questo che i programmi finanziati da Horizon2020, il programma quadro europeo di finanziamento della ricerca fino al 2020, obbligano i ricercatori a pubblicare su giornali open access (almeno a partire da un certo momento).
L’irruzione di tutta una batteria di riviste aperte da una parte e la pressione politica dall’altra hanno costretto le riviste tradizionali a cominciare a rivedere il loro modello e, per esempio, ormai tutte le riviste «liberano» dopo qualche mese gli articoli e permettono ai ricercatori di anticipare la «liberazione» a cambio di un pagamento extra.
Ma tutto questo sistema in realtà è destinato a crollare di fronte all’assalto di Sci-Hub, il portale pirata amico dei ricercatori e nemico dei colossi editoriali. Creato nel 2011 dalla neuroscienziata kazaka, Alexandra Elbakyan quando era una dottoranda di 22 anni, Sci-Hub è per la scienza quello che Napster fu per la musica. Con la differenza che nel caso della scienza, i ricercatori non ricevono nulla dagli editori e hanno solo da perdere se la loro scienza è più inaccessibile. E infatti Sci-Hub funziona grazie al fatto che sono proprio molti ricercatori a passare copie pirata degli articoli o chiavi di accesso alle riviste scientifiche. Il fenomeno ha iniziato a preoccupare giganti come Elsevier, che infatti l’ha denunciato l’anno scorso. Ma la sentenza del giudice americano che gli ha dato ragione (e per la quale rischia il carcere) non si applica in Russia dove hanno sede i server del portale.
Proprio ieri Science ha pubblicato un bellissimo articolo del giornalista scientifico John Bohannon che, con l’aiuto della sua creatrice, ha analizzato numeri e dati del portale pirata. E conclude che l’andamento è in aumento. Il portale ospita più di 50 milioni di articoli; solo il 4.3% delle richieste rimane inevaso. Riceve ogni giorno 200mila richieste da tutto il mondo – e non solo dai paesi più poveri. Il che implica meno del 5% delle vendite «legali». E che molte persone usano Sci-Hub perché semplicemente è molto più semplice, rapido ed efficiente per accedere agli articoli, soprattutto quelli più vecchi. Senza farraginosi meccanismi di protezione e di password.
Come per la musica, e per ragioni ancora più forti, la pirateria scientifica non si fermerà. La stessa Elbakyan conferma che esistono già varie copie mirror del portale. Si tratterà di trovare il giusto equilibrio fra i bilanci degli editori e i soldi pubblici che vengono spesi in tutto il mondo la pubblicazione della ricerca.
L’era della scienza piratata
Patrizia Caraveo Domenicale 19 6 2016
Gli scienziati si pongono delle domande, pensano a come arrivare ad una soluzione e, alla fine del percorso, informano la comunità dei loro colleghi, in ogni angolo del mondo, dei risultati che hanno ottenuto pubblicando un articolo su una rivista internazionale. La scelta della rivista alla quale mandare il lavoro non è mai banale, dal momento che le riviste non sono tutte uguali. Ci sono quelle eccellenti, quelle buone, quelle così cosi e quelle scarsine. Il tutto è riassunto in un numero: l’indice di impatto che rappresenta il “peso” della rivista.
Dal momento che gli scienziati vengono poi valutati in base alle loro pubblicazioni, tutti cercano di pubblicare sulle riviste di peso maggiore, che hanno però standard molto alti e accettano solo una frazione dei lavori che ricevono.
In generale, ma non sempre, la pubblicazione è gratuita per l’autore che ha superato il vaglio dei giudici scientifici che hanno esaminato il lavoro. Tuttavia, gli editori delle riviste non fanno beneficenza: se pubblicare è gratuito, consultare l’articolo richiede un pagamento il cui ammontare varia da rivista a rivista. Ogni anno le biblioteche delle università e dei centri di ricerca valutano a quali e quante riviste abbonarsi Curiosamente, non sono le riviste più importanti quelle più care. Proprio perché importanti, possono contare su molti abbonamenti e, a volte, su introiti pubblicitari. Le riviste più specializzate, invece, sono decisamente più costose e non tutti si possono permettere l’abbonamento. Così, se ho proprio bisogno di una rivista alla quale la mia biblioteca non è abbonata scrivo ad amici che afferiscono ad altre biblioteche fino a quando la trovo.
Ovviamente, questo non succede spesso, il mio istituto mi garantisce l’accesso a tutte le maggiori riviste nel mio settore. In molte parti del mondo, però, questo non è vero e ricercatori faticano molto a trovare gli articoli che devono leggere per poter svolgere la loro ricerca. Senza i finanziamenti per gli abbonamenti si può chiedere aiuto via twitter, sperando di convincere colleghi più fortunati a scaricare l’articolo richiesto, oppure ci si organizza per superare il muro degli abbonamenti e mettere in rete i preziosi articoli.
Così dalla frustrazione di Alexandra Elbakyan, una studentessa kazaka povera di mezzi ma ricca di idee basate su una profonda conoscenza dei sistemi di sicurezza informatici, è nato Sci-hub, una approssimazione della biblioteca universale a disposizione di tutti. Dato il titolo di un articolo, Sci-hub recupera il testo e lo archivia a beneficio di altri che potrebbero averne bisogno. La brillante Alexandra non fa magie, è semplicemente riuscita a convincere un consistente numero di ricercatori a fornire le loro credenziali legittime per entrare nei siti a pagamento. La versione non è univoca, alcuni sostengono che le credenziali siano state carpite con l’inganno.
Sia come sia, Sci-hub ospita 50 milioni di articoli scientifici che spaziano su tutte le discipline. I più assidui frequentatori sono gli Iraniani, seguiti da Indiani, Cinesi, Russi e Americani. Mentre è chiaro perché il sito venga usato da scienziati o studenti in nazioni che hanno problemi a pagare gli abbonamenti, non si capisce perché si registrino decine di migliaia di download da campus universitari USA che garantiscono ai loro affiliati l’accesso a tutte le riviste. Chiedere le credenziali in biblioteca è più lungo che cercare in Sci-hub? Lasciando da parte gli studenti pigri, non si può dimenticare che la pratica, pur nella sua valenza utopica volta a condividere la conoscenza, è chiaramente illegale e l’ideatrice, se mettesse piede in occidente, sarebbe passibile di galera e multe salatissime.
La casa editrice Elsevier, notoriamente cara, è di gran lunga la più piratata. Per questo ha chiesto e ottenuto la condanna del sito. Una vittoria dagli scarsi risultati pratici dal momento che Sci-hub è basato in Russia, fuori dalla giurisdizione delle leggi del copyright e l’ideatrice non ha una fissa dimora. È una situazione che ricorda i mitici siti della pirateria musicale tipo Napster e Pirate Bay più volte condannati dai tribunali, più volte chiusi e altrettante volte risorti altrove perché un sito come Sci-hub ha la forza nei numeri degli utilizzatori, che si attestano su circa 6 milioni al mese. Come evolverà il copyright nell’editoria scientifica? È meglio battersi contro Sci-hub, e impedire ai meni abbienti l’accesso alle informazioni, oppure sarebbe il caso di trovare soluzioni alternative? Di sicuro sia in Europa che negli Stati Uniti ai ricercatori che ricevono fondi pubblici viene chiesto di rendere pubblicamente accessibili i loro risultati e le pubblicazioni ce ne derivano. Ovviamente ci sono diversi mezzi per rendere pubblici i propri articoli.
Si può ricorrere a database aperti dove si possono depositare i testi degli articoli dopo che sono stati pubblicati da riviste più o meno prestigiose, oppure ricorrere a riviste open access, dove il costo di pubblicazione è coperto degli autori e nulla è chiesto ai lettori. Purtroppo, però, nel mondo dell’open access sono poche le riviste di grande impatto mentre sono moltissime quelle di infima qualità pronte a pubblicare ogni schifezza pur di incassare le spese di pubblicazione.
L’editoria scientifica è chiaramente davanti a scelte che vedono contrapposti gli interessi delle case editrici, che vogliono difendere i loro guadagni, con quelli degli studiosi che vorrebbero accedere gratuitamente (o quasi) ai contenuti delle riviste. Battersi contro i siti pirata è legalmente ineccepibile, ma non è destinato a sortire grandi risultati, è un po’ come lottare contro i mulini a vento. Nel mondo della musica la pirateria è stata battuta dalla possibilità di scaricare i brani legalmente a prezzi ragionevoli. Di sicuro, indipendentemente dalle dispute sul copyright, gli scienziati hanno grande simpatia per Sci-hub e per tutti i mezzi di rendere la conoscenza più open possibile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento