La Chiesa e la modernità: Franco Cardini contro Sant'Ambrogio
Franco Cardini: Contro Ambrogio, Salerno
Risvolto Ambrogio è, con Gerolamo e Agostino, il fondatore
della Chiesa latina emersa, dopo Costantino, dal buio e dal sangue
dell’era delle persecuzioni, assurta poi, con Teodosio al rango di unica
religione ammessa nell’Impero. Arrivato a Milano con un prestigioso
incarico di governo – secondo la tradizione, elevato a furor di popolo
alla cattedra episcopale – trasferí nella sua funzione di vescovo il
santo orgoglio che gli derivava dall’appartenere alla piú alta nobiltà
dell’Urbe e impiantò con forza sul tronco dell’Impero, al posto della
pax deorum che lo avrebbe eternamente protetto, la croce del Cristo. Fu
inflessibile nel combattere eretici, ebrei e pagani; impose che l’ara
della vittoria fosse tolta dall’aula senatoria; umiliò perfino il grande
Teodosio ricordandogli che anche l’imperatore era membro della Chiesa
ma non aveva il diritto né di guidarla, né di controllarla. Senza il
fondamento del suo pensiero, forse, mai si sarebbe sviluppata una teoria
egemonica del papato sulla Chiesa. Leggendo di lui, a volte ci si
domanda dove fosse quella carità sulla quale peraltro ha saputo scrivere
pagine bellissime. La sua grandezza fu davvero sublime e tormentosa.
Un saggio di Franco Cardini, edito da Salerno, mette in discussione l’eredità del grande santo vissuto nel IV secolo. «Forse senza di lui non avremmo avuto l’Inquisizione né un conflitto così aspro tra il mondo cattolico e la modernità»
Corriere della Sera 26 Apr 2016 di Paolo Mieli
Nel IV secolo il mondo cristiano fu sconvolto dall’eresia ariana. Ario, teologo nordafricano, sosteneva che Cristo, essendo stato «generato» da Dio unico, eterno e indivisibile, era «venuto dopo» e non poteva essere considerato allo stesso modo del Padre: c’era stato, cioè, «un tempo in cui il Figlio non c’era». Ai tempi di Costantino, che aveva spalancato le porte dell’impero ai seguaci di Cristo, si tenne il Concilio di Nicea (325) che condannò la dottrina ariana. Ma qualche tempo dopo l’imperatore riabilitò Ario e costrinse all’esilio il suo grande nemico, Atanasio vescovo di Alessandria. Dopodiché i decenni successivi furono contrassegnati da una lunga controversia tra ariani e atanasiani e la Chiesa di Roma faticò non poco per venire a capo della dottrina eretica che nel frattempo aveva conquistato vescovi e sovrani. Un grande protagonista di questa battaglia fu Ambrogio, che pure sulle prime aveva avuto qualche indulgenza (o qualcosa di più) nei confronti dell’arianesimo. È questo il punto di partenza di un originale libro di Franco Cardini Contro Ambrogio, che sta per essere dato alle stampe dalla Salerno.
Fin dalle prime righe, Cardini mette le mani avanti per difendersi dalle accuse che potrebbe ricevere per questo saggio impertinente. Il suo non vuol essere né un pamphlet «provocatorio», né «un’indecorosa dissacrazione», tantomeno «un dissennato attacco a livello storico o peggio ancora teologico» all’indirizzo dell’uomo che, tra l’altro, fu ispiratore e modello per sant’Agostino. Non vogliono essere, i suoi, «giudizi moralistici del tutto antistorici», né «paradossali esercitazioni ucroniche» e neppure «fatue e faziose polemiche» con il senno del poi. È, quello di Contro Ambrogio, solo un tentativo di «uscire dal comodo riparo dello storico» a favore di una modalità che gli consenta di «scoprirsi», «esporsi», «prendere posizione». Il tutto non disgiunto da un «pizzico di autoironia per aver tentato, al cospetto di un gigante della storia e del pensiero, una specie di ruggito del topo».Tra l’altro che ci siano aspetti controversi nella vita di Ambrogio traspariva già, tra le righe, dalle impeccabili note di Marco Navoni alla Vita di sant’Ambrogio (edizioni San Paolo) scritta da Paolino, coevo e principale collaboratore del patrono di Milano. Così come, sempre tra le righe, dalle biografie di Cesare Pasini, Ambrogio di Milano. Azione e pensiero di un vescovo (edizioni San Paolo) e di Angelo Paredi, S. Ambrogio e la sua età (Jaca Book). E anche, sia pur marginalmente, dallo straordinario Teodosio il Grande (Salerno) di Hartmut Leppin.
Il libro di Cardini prende le mosse dal 374 allorché, avendo esercitato fin lì il ruolo di governatore laico di una regione che all’epoca corrispondeva alla Liguria e all’Emilia e pur non essendo ancora battezzato, il trentacinquenne Aurelio Ambrogio (era nato nel 339 a Treviri, città che dal 292 era la residenza ufficiale dell’imperatore romano d’Occidente) fu nominato vescovo di Milano, dal 286 «sede imperiale». Era figlio di un alto magistrato del sovrano Costantino II, ma su suo padre c’è un «ambiguo silenzio» che ci indurrebbe a sospettare fosse stato coinvolto in una delle controversie dell’epoca e avesse «militato dalla parte degli sconfitti». A «portarlo così in alto» era stato il prefetto Sesto Petronio Probo, un uomo molto chiacchierato con evidenti inclinazioni all’arianesimo, così come l’imperatrice Giustina (moglie di Valentiniano I e madre di Valentiniano II) protettrice di Probo. Ariano fu anche il suo predecessore alla cattedra episcopale milanese, Aussenzio.
A decidere della sua elevazione a quell’importantissimo incarico sarebbe stato il grido di un bambino, che in una riunione popolare avrebbe invocato «Ambrogio vescovo!», suscitando un immediato entusiasmo popolare in quella che Cardini definisce una evidente «messinscena», un «ben architettato episodio di organizzazione del consenso», un genere di «spontaneità popolare accuratamente pilotata». Dietro la quale è ancora ben riconoscibile la regia di Probo. In ogni caso, a seguito di quell’acclamazione, Ambrogio si fece battezzare, divenne vescovo (con qualche irregolarità formale) e non tardò a liberarsi dell’ingombrante appoggio del suo potente protettore.
Da quel momento comparve al suo fianco il presbitero Simpliciano, fedele di Atanasio, che gli fu accanto tutta la vita e, nonostante avesse venti anni più di lui, gli sopravvisse. Per un breve periodo ci fu anche suo fratello Satiro, che Cardini sospetta nutrisse simpatie ariane. Quanto a lui, nel 376, in contrasto con l’imperatrice Giustina, si oppose all’elezione a Sirmio di un vescovo seguace di Ario e dal 378 iniziarono a comparire spunti anti-ariani nelle sue omelie. Giusto in tempo per essere in sintonia con l’editto di Tessalonica (380), con il quale l’imperatore d’Oriente, Teodosio, impose «a tutti i popoli a noi soggetti» la disciplina apostolica e la dottrina evangelica del credo «nell’unica divinità» di Padre, Figlio e Spirito Santo. Sicché Teodosio, secondo Franco Cardini, «ben più adeguatamente di Costantino, può essere considerato il vero fondatore dell’impero romano-cristiano».
Comunque la partita religiosa si riaprì nel 386, quando Giustina impose un decreto per la libertà di culto che consentiva agli ariani di pretendere una basilica in cui poter celebrare il rito. Ambrogio si oppose con forza e una folla («spontaneamente convocata», ironizza Cardini) scese in piazza a spalleggiare il vescovo, creando «una situazione al limite della legalità». La «contesa delle basiliche» andò avanti per settimane, incrinò il rapporto di Giustina con il proprio figlio Valentiniano, si concluse con il trionfo di Ambrogio e la sconfitta della libertà di professare religioni diverse da quella stabilita al Concilio di Nicea.
Il vescovo di Milano, una volta piegata la corona d’Occidente, si dedicò a sottomettere quella d’Oriente. Vale a dire Teodosio. Una prima volta, nel corso di una cerimonia religiosa, il vescovo invitò l’imperatore a lasciare il presbiterio e ad andarsi a sedere, sia pure in prima fila, tra i fedeli. Quasi esplicito il significato, sotto il profilo simbolico, di questo gesto. Ma l’occasione decisiva si presentò, dopo una serie di piccoli e grandi sgarbi da parte dell’autorità religiosa nei confronti di quella imperiale, con l’orrenda vicenda del tempio di Callinicum (l’odierna Raqqa). Lì un gruppo di cristiani aveva date alle fiamme una sinagoga, l’imperatore li aveva condannati a risarcire la comunità ebraica: Ambrogio impose a Teodosio di revocare quell’ingiunzione.
Poi,
nel 390, ci fu la strage di Tessalonica. Un auriga dei giochi circensi
era stato imprigionato per «comportamento immorale». I suoi tifosi
avevano reagito aggredendo a sassate un funzionario imperiale, Buterico,
che era stato ucciso e trascinato per le vie della città greca.
Teodosio giudicò sospetta quell’esplosione di rabbia e accondiscese alla
richiesta dei militari di reprimere con violenza (migliaia di morti) i
rivoltosi. Ambrogio ne approfittò per umiliare una seconda volta
Teodosio, chiedendogli un pubblico pentimento per l’eccidio.
L’imperatore provò a resistere, ma poi decise di sottomettersi
all’ingiunzione. Secondo la ricostruzione di Paolino, Teodosio «pianse
pubblicamente nella Chiesa il suo peccato… con lamenti e lacrime invocò
il perdono». Anche Agostino, nel De civitate Dei, ricorda la scena:
Teodosio «fece penitenza con tale impegno» che tra i fedeli il «dolore
nel vedere umiliata la maestà dell’imperatore» prevalse sullo sdegno per
il ricordo della strage. Teodosio si accorse probabilmente di
quel che era accaduto nel profondo e, per rimediare, si recò a Roma dove
fu accolto da senatori e ottimati con feste che più o meno
esplicitamente rendevano omaggio agli antichi culti pagani.
Tuttavia
l’episodio dell’imperatore «penitente per imposizione di un vescovo»,
osserva l’autore, fece scalpore in tutta l’ecumene romana: era la prima
volta che «l’Augusto, da principe aureolato di autorità sacrale qual era
sempre stato, da vicario del Cristo in terra, era sceso al livello di
un semplice fedele, pronto ad umiliarsi per ricevere il perdono».
Ambrogio approfittò di quell’atto di sottomissione per riprendere e
condurre a compimento «il progetto di delegittimazione totale e
irreversibile dei ceti diversi da quello cristiano niceno in tutto
l’impero». Fu lui ad ispirare l’editto del 391 che vietava qualunque
forma di ossequio alle divinità «gentili» nella città di Roma e
prevedeva pesanti sanzioni per i funzionari inadempienti. Era la «totale
palinodia» rispetto al comportamento tenuto e alle misure adottate
dall’imperatore un po’ meno di due anni Sant’Ambrogio impedisce a
Teodosio di entrare nella cattedrale di Milano, un dipinto realizzato
tra il 1619 e il 1620 dal grande artista fiammingo Antoon van Dyck
(15991641). Il vescovo di Milano ottenne che il monarca si pentisse dopo
la strage di Tessalonica compiuta nel 390 prima nel corso della
menzionata visita a Roma. Da quel momento fino alla morte, nel 397,
Ambrogio esercitò una sorta di «dittatura» sottile sul potere imperiale
d’Oriente e d’Occidente. Anche a costo di lasciarsi andare ad
imprudenze, di commettere errori, e di fare scelte in contraddizione con
i suoi principi. Ma la sua missione era compiuta.
Il
suo lascito fu inequivocabile. Dal momento che il sovrano era stato per
lui non al di sopra, bensì all’interno della Chiesa, ne discendeva che
risultava subordinato all’autorità ecclesiale. In tal senso, Ambrogio si
pone alla base «di un lungo e complesso itinerario che in vario modo,
attraverso l’agostinismo politico, la riforma della Chiesa dell’XI
secolo e il monarchismo pontificio», ha configurato una ben delineata
tradizione. Tradizione «che in ambito cattolico — una volta battute le
eresie e isolati come eretici o comunque pericolosi molti movimenti “non
conformisti” medievali — solo il conciliarismo quattrocentesco, in una
certa misura il Vaticano II e, oggi, le scelte innovatrici di papa
Francesco, hanno teso in qualche modo a limitare e a correggere».
Un
messaggio venuto da lontano, radicato nella certezza che «il liberare e
il mantener libero il clero dai controlli e dai condizionamenti di
qualunque autorità terrena — ben al di là se non al contrario di quanto
Gesù dichiara esplicitamente a Pilato — sarebbe stata condizione
necessaria e sufficiente per salvarlo dalle tentazioni terrene». E
sappiamo, aggiunge Cardini, che «l’intera storia della Chiesa dimostra
l’opposto». Dopo Ambrogio, la Chiesa romana divenne potente «con la
forza di una mirabile espansione intellettuale e missionaria, ma anche
con l’inflessibilità e l’intransigenza della fedeltà a un disegno
egemonico affermatosi poi tra l’XI e il XVI secolo attraverso la
rimozione delle istanze provenienti dal mondo greco, da quello
orientale, da quello vario, insidioso e imprevedibile delle eresie, da
quello musulmano (pensiero filosofico-scientifico a parte), salvo dover
poi subire i contraccolpi degli scismi, della Riforma protestante,
dell’offensiva razionalistico-scientifica».
Traendo
ispirazioni e suggestioni da Francesco d’Assisi, Nicola Cusano ed
Erasmo da Rotterdam, Cardini si chiede se, «astraendo dal modello e dal
magistero ambrosiani la Chiesa sarebbe mai giunta a dover concepire i
tribunali inquisitoriali, ad affrontare scismi e riforme, a subire lo
“strappo culturale” della “modernità” con il relativo processo di
secolarizzazione». Dubbi e rilievi che, come è evidente, vanno ben al di
là della figura storica di Ambrogio.
Intrighi rovinosi, tra sangue e potere
STORIA MEDIOEVALE. L’ombra
lunga di un imperatore e di un vescovo in tempo di crisi tra Occidente
cristiano e Islam. Costantino e Ambrogio, figure cruciali del IV secolo,
sono al centro di due distinti saggi firmati da Alessandro Barbero e
Franco Cardini
Si potrebbe affermare che, sotto il
profilo della storia religiosa dell’Europa e del Vicino Oriente, il IV
secolo si sia aperto con Costantino e chiuso con Teodosio e il suo
principale ispiratore: Ambrogio. Nel mezzo, l’ultimo accanito contrasto
fra pagani e cristiani. Escono in contemporanea due lavori, molto
diversi fra loro, che tracciano un profilo di Costantino (Alessandro
Barbero, Costantino il Vincitore, Salerno Editore, pp. 852, euro 49) e di Ambrogio (Franco Cardini, Contro Ambrogio. Una sublime, tormentosa bellezza,
pp. 136, euro 11); attraverso la lettura delle due opere si può avere
un quadro decisamente più chiaro del cambiamento radicale nel quale
incorsero l’impero e la società. ANCHE SE L’APOLOGETICA
cristiana ha aggiunto tinte più fosche del necessario alle persecuzioni
anticristiane prima di Costantino, è indubbio che il problema
dell’atteggiamento da tenere nei confronti dei seguaci di Cristo si era
presentato precocemente, in particolare verso i cristiani che si
rifiutavano di partecipare all’adoratio dell’imperatore. Dopo alcuni
sporadici tentativi di repressione, tra la fine del II e gli inizi del
III secolo l’atteggiamento delle autorità romane era stato
sostanzialmente improntato alla tolleranza. Ma la difficile situazione
attraversata da Roma e il rapido proselitismo dei cristiani attiravano
il malcontento sulle comunità: divenne dunque necessario adottare
provvedimenti di maggior peso.
Nel 250 si scatenò una persecuzione
anticristiana ordinata dall’imperatore Decio. Cinque anni più tardi
l’editto di Valeriano colpì i responsabili delle comunità locali dei
fedeli, al fine di costringerli a partecipare ai riti del culto
imperiale. Nel 260, per volontà dell’imperatore Gallieno, cessarono le
persecuzioni e per i cristiani ebbe inizio un quarantennio di pace.
Durante il regno di Diocleziano la pace venne tuttavia interrotta. Con
l’emanazione del famoso editto persecutorio del 303, Diocleziano e
Galerio ordinavano la distruzione delle chiese, il rogo delle Sacre
Scritture e misure che colpissero chiunque, cristiano, avesse svolto
mansioni pubbliche. Le persecuzioni – questa volta assai dure –
continuarono anche dopo il ritiro di Diocleziano, sino al 311, quando
l’imperatore Galerio emanò un editto di tolleranza.
La svolta fondamentale per la vita del
cristianesimo nell’impero giunse però due anni più tardi, nel 313, con
l’editto emanato a Milano da Licinio e da Costantino: anche se, come ci
dice Barbero, la tradizione ha obliterato il ruolo preponderante del
primo a favore del secondo. In esso si dava piena libertà di culto a
tutte le fedi dell’impero: il che ovviamente ha conferito alla figura di
Costantino una centralità assoluta nella memoria storica cristiana. E
qui, ci dice Barbero, cominciano i problemi: perché della sua figura
sembra di conoscere ormai tutto, alla luce di innumerevoli fonti, ma di
fatto buona parte della storiografia, di quella antica come della
contemporanea, ha costruito una immagine dell’imperatore selezionando le
fonti, ignorando quelle che l’avrebbero smentita, talvolta commettendo
errori che si sono poi radicati passando per informazioni. BARBERO RIESAMINA tutta
questa mole di notizie per restituire un Costantino aderente alla
molteplicità delle fonti che ne hanno tramandato le azioni, incluse
quelle messe in sordina dalla tradizione cristiana: «Costantino è un
usurpatore che diventa unico imperatore romano sconfiggendo e uccidendo
tre colleghi, di cui uno era suo suocero e gli altri due i suoi cognati:
nessun altro al mondo è mai riuscito ad ammazzare cosí tanti imperatori
romani. Eliminati tutti i rivali e divenuto unico padrone dell’impero,
Costantino fa uccidere il figlio maggiore Crispo e la seconda moglie
Fausta, anche se non sappiamo perché. Subito dopo la sua morte, i suoi
figli uccideranno in un bagno di sangue quasi tutti i fratelli e i
nipoti superstiti di Costantino, e poi si ammazzeranno fra loro, finché
non ne rimarrà uno solo. Questa immagine shakespeariana, sanguinosa e
tragica, non è il frutto di una tradizione ostile, alternativa rispetto
all’immagine santificata del Costantino cristiano: sono tutti fatti
accertati, che dobbiamo cercare di far coesistere con le scelte
religiose dell’imperatore».
È la volontà di ripercorrere questa
intera tradizione storiografica con certosina precisione a far sì che il
Costantino di Barbero risulti in un libro di oltre ottocento pagine; il
che potrebbe far paura a più di un lettore, ed è quindi opportuno
segnalare che la discussione storiografica viene inserita nel corso
dell’opera in sezioni segnalate ed è possibile fruire anche solo delle
parti più narrative. Ma più di questo accorgimento, un’altra cosa ci
pare importante, e cioè che, in linea con quanto premesso, Alessandro
Barbero non crea un «nuovo» Costantino, e anche questo potrebbe lasciare
perplessi i suoi lettori: la sua è in primo luogo un’opera di
decostruzione, di pulizia dalle incrostazioni di idee e interpretazioni
che alla luce delle fonti non hanno ragion d’essere. E soltanto nelle
poche pagine conclusive si lascia andare quasi suo malgrado: «Fino
all’ultimo ho creduto che non avrei scritto delle conclusioni», ci dice,
ma «non è possibile convivere per anni con le fonti su Costantino senza
farsi, un po’ per volta, una propria idea di cosa dev’essere accaduto
davvero». QUALE SIA LA SUA IDEA
non è il caso di dirlo qui: molto meglio leggere il libro; ma quello che
senz’altro si ritiene è la lezione di metodo, il gusto per l’indagine e
la scoperta al di là dei luoghi comuni. Che è poi una lezione valida
non soltanto in ambito storiografico.
Negli anni successivi alla morte dell’imperatore, però, la crisi tra
pagani e cristiani, nonché fra cristiani di diverse confessioni,
evidentemente solo sopita, si riaccese e raggiunse il suo apice nel 357
con la contesa intorno all’Altare della Vittoria: Costante II, succeduto
a Costantino e cristiano di simpatie ariane, fece rimuovere l’ara sacra
alla quale i senatori rendevano omaggio bruciando ritualmente grani
d’incenso. Fra 361 e 363 l’ascesa al potere di Giuliano (il quale ha
ricevuto dalla tradizione cristiana l’epiteto di «Apostata») sembrò
riportare il primato alla tradizione pagana; pur essendo stato educato
come cristiano, Giuliano sentiva maggiore attrazione per la cultura
ellenistica ed esprimeva le sue stesse propensioni per il monoteismo nel
favore accordato al culto solare.
Dopo Giuliano, la Chiesa riprese il
sopravvento grazie soprattutto a due imperatori, cristiani nel modo più
deciso e rigoroso: Graziano (375-383) e Teodosio (379-395). Su entrambi,
e sulle loro scelte, si proietta l’ombra del potente Ambrogio vescovo
di Milano. Il libro che Franco Cardini gli dedica è quasi un pamphlet
già a partire dal titolo provocatorio (Contro Ambrogio)
soltanto mitigato dalla «grandezza» cui si allude nel sottotitolo. Non è
soltanto il numero di pagine ben differenti a contraddistinguere i due
saggi; quello di Cardini si posiziona infatti in linea con gli interessi
da lui manifestati in tante opere dedicate ai rapporti fra Occidente
cristiano e Islam in questi ultimi anni di crisi, contro la vulgata che
vorrebbe un cristianesimo affermatosi nella storia grazie all’esempio
dei martiri, alla predicazione, alle buone opere, e un Islam che invece
si sarebbe fatto largo a colpi di spada. La scelta di Teodosio, che
mette fuori legge culti e confessioni differenti dal cristianesimo
niceno, ha significato una svolta repressiva che ha segnato l’intera
storia successiva dell’Occidente; e anche gli appartenenti ad altri
culti hanno contato la loro buona parte di martiri poco celebrati dalla
tradizione. MA NON C’È SOLO QUESTO.
Prima di essere l’ispiratore della scelta teodosiana del cristianesimo
come unica religio licita, spiega Cardini, Ambrogio ha rivendicato ai
chierici un ruolo di modello e di guida nei confronti dei laici e di
quegli stessi tra loro ch’erano pubblici funzionari o addirittura
detentori della suprema funzione imperiale; in tal senso egli sta alla
base di un lungo e complesso itinerario che la riforma della Chiesa
dell’XI secolo e il monarchismo pontificio riprenderanno, configurando
una tradizione che solo il conciliarismo quattrocentesco (per una breve
parentesi), il Concilio Vaticano II e, oggi, alcune scelte di papa
Francesco hanno teso in qualche modo a limitare e a correggere. Così, se
l’obiettivo polemico di Barbero è la storiografia, quello di Cardini
sta nella visione parziale che amiamo dare della nostra storia – e di
quella altrui. Entrambe sono operazioni encomiabili, entrambi libri
importanti ben al di là dell’argomento trattato.
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Bertolt Brecht, An die Nachgeborenen (1939)
Wirklich, ich lebe in finsteren Zeiten!/... Ach, wir/Die wir den Boden bereiten wollten für Freundlichkeit/Konnten selber nicht freundlich sein./Ihr aber, wenn es soweit sein wird/Dass der Mensch dem Menschen ein Helfer ist/Gedenkt unsrer/Mit Nachsicht.
L'eredità di Lenin, intervento al convegno della Fondazione Basso, 23 novembre 2024
Intervento di Stefano G. Azzarà al convegno “Lenin, a cento anni dalla morte”, Fondazione Basso, Roma, 23 gennaio 2024.
Relatori: Jutta Scherrer, Luciano Canfora, Étienne Balibar, Rita Di Leo, Luciana Castellina, Giacomo Marramao, Stefano G. Azzarà.
La fine della democrazia moderna. Intervento al workshop della Fondazione Feltrinelli, 19/10/23
Adeus pós-modernismo: populismo e hegemonia na crise da democracia moderna
Se a primeira parte é dedicada à política imediata, as partes seguintes são, sobretudo, uma crítica filosófica e política do pós-modernismo. Elas nos fazem ver como o pós-modernismo em última análise tem favorecido o processo de desemancipação que está em curso seja ao nível nacional quanto internacional. (…) é urgente aprofundar a crítica do pós-modernismo – uma crítica que até agora encontrou escassa expressão, mas que se impõe seja de um ponto de vista filosófico seja de um ponto de vista político – e neste sentido estamos diante de um livro absolutamente precioso. Domenico Losurdo, na Introdução
Stefano G. Azzarà: Il virus dell'Occidente, Mimesis 2020
Disponibile in libreria e on line
Il revival del pensiero magico nel dibattito odierno: tra No Vax e Censis. Cagliari, 9 12 2021
La fine della "fine della storia": Festival Iconografie XXI, Milano, 25 settembre 2021
Una presentazione de "Il virus dell'Occidente" per Dialettica e Filosofia. Conduce E.M. Fabrizio
PREMIO LOSURDO 2021
Deadline domande di partecipazione: 6 settembre 2021
Premio internazionale "Domenico Losurdo"
Premiazione (28/1/2021): registrazione dei lavori
Gruppo di ricerca internazionale "Domenico Losurdo". A cura di S.G. Azzarà, P. Ercolani e E. Susca
La scuola di Pitagora editrice
LA COMUNE UMANITA'
Memoria di Hegel, critica del liberalismo e ricostruzione del materialismo storico in Domenico Losurdo. Una critica della storia del movimento liberale che chiama in causa i suoi maggiori teorici ma anche gli sviluppi e le scelte politiche concrete delle società e degli Stati che ad essi si sono ri - chiamati; un grande affresco comparatistico nel quale il confronto secolare tra il liberalismo, la corrente conservatrice e quella rivoluzionaria fa saltare gli steccati della tradizione storiografica e disvela il faticoso processo di costruzione della democrazia moderna; l'abbozzo di una teoria generale del conflitto che emerge dalla comprensione dialettica del rapporto tra istanze universalistiche e particolarismo; un'applicazione del metodo storico-materialistico che costituisce al tempo stesso un suo radicale rinnovamento, a partire dalla riconquista dell'equilibrio marxiano tra riconoscimento e critica della modernità: a un anno dall'improvvisa scomparsa, la prima ricostruzione complessiva del pensiero di Domenico Losurdo, uno dei maggiori autori contem - poranei di orientamento marxista e tra i filosofi italiani più tradotti e conosciuti nel mondo.
Heidegger, la guerra “metafisica” della Germania contro il bolscevismo e alcune poesie di Hölderlin
Gianni Vattimo e l'oltreuomo nietzscheano dalla rivoluzione del Sessantotto al riflusso neoliberale
Università di Bologna, via Zamboni 38, 30 maggio 2019 ore 11.00. Organizza: Prospettive Italiane
Domenico Losurdo tra filosofia, storia e politica
Urbino, Palazzo Albani, 12 e 13 giugno 2019
Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d'egemonia?
In libreria e in e-book da Mimesis
Esistono ancora destra e sinistra? Preve e Losurdo, Torino 9/3/2019
E' on line il quinto numero di "Materialismo Storico" (2/2017)
Saggi di Cospito, Francioni, Frosini, Izzo, Santarone, Taureck e altri. Ancora un testo di André Tosel. Recensioni: Grasci e il populismo
S. G. Azzarà, A. Monchietto - Comunisti, fascisti e questione nazionale - parte 2, Torino 8/3/2019
S. G. Azzarà, A. Monchietto - Comunisti, fascisti e questione nazionale - parte 2, Torino 8/3/2019
Esistono ancora destra e sinistra? Il confronto tra Domenico Losurdo e Costanzo Preve
Nonostante Laclau. Populismo ed egemonia nella crisi della democrazia moderna
Mimesis 2017
A. Moeller van den Bruck: Tramonto dell'Occidente? Spengler contro Spengler
OAKS editrice
Stefano G. Azzarà: "L'Occidente scivola a destra"
Globalisti contro sovranisti: un'intervista a "Il bene comune"
Una presentazione di Democrazia Cercasi a Milano, 20 maggio 2016
Crisi della democrazia moderna, conflitto politico-sociale e ricomposizione
Intervista a Stefano G. Azzarà
Restaurazione e rivoluzione passiva postmoderna nel ciclo neoliberale
Stefano G. Azzarà: Heidegger ‘innocente’: un esorcismo della sinistra postmoderna. MicroMega 2/2015
Limitarsi a condannare l’antisemitismo di Heidegger cercando di salvare la sua filosofia è un tentativo disperato, perché l’antisemitismo dell’autore di "Essere e tempo" non ha una dimensione naturalistica, bensì culturale: per lui ‘giudaismo mondiale’ è anzitutto sinonimo di modernità, di umanesimo. La filosofia di Heidegger va rigettata non (solo) in quanto antisemita, ma (soprattutto) in quanto intrinsecamente reazionaria
Democrazia Cercasi: una critica del postmodernismo. Società di studi politici, Napoli, 24 2 2015
Sul Foglio una recensione del libro su Moeller-Nietzsche
Friedrich Nietzsche dal radicalismo aristocratico alla Rivoluzione conservatrice, Castelvecchi
Democrazia Cercasi. Dalla caduta del Muro a Renzi: sconfitta e mutazione della sinistra, bonapartismo postmoderno e impotenza della filosofia in Italia, Imprimatur
S.G. Azzarà: "La sinistra postmoderna, il neoliberismo e la fine della democrazia"
Un estratto da "Democrazia Cercasi" su MicroMega / Il rasoio di Occam
S.G. Azzarà: Friedrich Nietzsche dal radicalismo aristocratico alla Rivoluzione conservatrice
Quattro saggi di Arthur Moeller van den Bruck, CastelvecchiEditore. In libreria e in e-book
Nietzsche profeta e artista decadente? Oppure filosofo-guerriero del darwinismo pangermanista? O forse teorico di un socialismo "spirituale" che fonde in un solo fronte destra e sinistra e prepara la rivincita della Germania? Nella lettura di Arthur Moeller van den Bruck la genesi della Rivoluzione conservatrice e uno sguardo sul destino dell'Europa.
È la stessa cosa leggere Nietzsche quando è ancora vivo il ricordo della Comune di Parigi e i socialisti avanzano dappertutto minacciosi e leggerlo qualche anno dopo, quando la lotta di classe interna cede il passo al conflitto tra la Germania e le grandi potenze continentali? Ed è la stessa cosa leggerlo dopo la Prima guerra mondiale, quando una sconfitta disastrosa e la fine della monarchia hanno mostrato quanto fosse fragile l’unità del popolo tedesco? Arthur Moeller van den Bruck è il padre della Rivoluzione conservatrice e ha anticipato autori come Spengler, Heidegger e Jünger. Nel suo sguardo, il Nietzsche artista e profeta che tramonta assieme all’Ottocento rinasce alla svolta del secolo nei panni del filosofo-guerriero di una nuova Germania darwinista; per poi, agli esordi della Repubblica di Weimar, diventare l’improbabile teorico di un socialismo spirituale che deve integrare la classe operaia e preparare la rivincita, futuro cavallo di battaglia del nazismo. Tre diverse letture di Nietzsche emergono da tre diversi momenti della storia europea. E sollecitano un salto evolutivo del liberalismo conservatore: dalla reazione aristocratica tardo-ottocentesca contro la democrazia sino alla Rivoluzione conservatrice, con la sua pretesa di fondere destra e sinistra e di padroneggiare in chiave reazionaria la modernità e le masse, il progresso e la tecnica.
In appendice la prima traduzione italiana dei quattro saggi di Arthur Moeller van den Bruck su Nietzsche.
La recensione di Damiano Palano a "Democrazia Cercasi"
Heidegger il cambiavalute dell'essere
Intervento al convegno di Urbino "I poveri, la povertà", 4 dicembre 2014
S.G. Azzarà, Democrazia cercasi, Imprimatur Editore, pp. 363, euro 16: in libreria e in e-book
www.democraziacercasi.blogspot.it Possiamo ancora parlare di democrazia in Italia? Mutamenti imponenti hanno svuotato gli strumenti della partecipazione popolare, favorendo una forma neobonapartistica e ipermediatica di potere carismatico e spingendo molti cittadini nel limbo dell’astensionismo o nell’imbuto di una protesta rabbiosa e inefficace. Al tempo stesso, in nome dell’emergenza economica permanente e della governabilità, gli spazi di riflessione pubblica e confronto sono stati sacrificati al primato di un decisionismo improvvisato. Dietro questi cambiamenti c’è però un più corposo processo materiale che dalla fine degli anni Settanta ha minato le fondamenta stesse della democrazia: il riequilibrio dei rapporti di forza tra le classi sociali, che nel dopoguerra aveva consentito la costruzione del Welfare, ha lasciato il campo ad una riscossa dei ceti proprietari che nel nostro paese come in tutto l’Occidente ha portato ad una redistribuzione verso l’alto della ricchezza nazionale, alla frantumazione e precarizzione del lavoro, allo smantellamento dei diritti economici e sociali dei più deboli. Intanto, nell’alveo del neoliberalismo trionfante, si diffondeva un clima culturale dai tratti marcatamente individualistici e competitivi. Mentre dalle arti figurative alla filosofia, dalla storia alle scienze umane, il postmodernismo dilagava, delegittimando i fondamenti e i valori della modernità – la ragione, l’eguaglianza, la trasformazione del reale… - e rendendo impraticabile ogni progetto di emancipazione consapevole, collettiva e organizzata. É stata la sinistra, e non Berlusconi, il principale agente responsabile di questa devastazione. Schiantata dalla caduta del Muro di Berlino assieme alle classi popolari, non è riuscita a rinnovarsi salvaguardando i propri ideali e si è fatta sempre più simile alla destra, assorbendone programmi e stile di governo fino a sostituirsi oggi integralmente ad essa. Per ricostruire una sinistra autentica, per riconquistare la democrazia e ripristinare le condizioni di una vasta mediazione sociale, dovremo smettere di limitare il nostro orizzonte concettuale alla mera riduzione del danno e riscoprire il conflitto. Nata per formalizzare la lotta di classe, infatti, senza questa lotta la democrazia muore.
Emiliano Alessandroni: Ideologia e strutture letterarie, Aracne Editrice
Che cos'è esattamente il bello? È possibile procedere ad una sua decodificazione? Che significato racchiude il termine ideologia? E quale rapporto intrattiene con la letteratura, ovvero con le sue strutture? Come giudicare il valore di un'opera? A questi come ad altri quesiti questo libro intende fornire una risposta, contrastando, con la forza del ragionamento e il supporto dell'analisi testuale, quegli assunti diffusi (“il bello è soltanto soggettivo!”) e quelle opinioni consolidate (“tutto è ideologia!” o “le ideologie sono morte!”) che finiscono per disorientare chiunque si trovi, per via diretta o indiretta, a confrontarsi con tali problematiche. Un saggio di ampio respiro tra filosofia, storia, critica letteraria e teoria della letteratura.
Stefano G. Azzarà: Ermeneutica, "Nuovo Realismo" e trasformazione della realtà
Una radicalizzazione incompiuta per la filosofia italiana - Rivista di Estetica, 1/2013
Due giornate di seminario su Ernesto Laclau a Urbino. 21 novembre
Stefano G. Azzarà: L'humanité commune, éditions Delga, Paris
Une critique anticonformiste de l’histoire du mouvement libéral qui remet en cause ses théoriciens principaux ainsi que les développements et les choix politiques concrets des sociétés et des États qui s’en réclament ; une grande fresque comparative, où la mise en confrontation entre le libéralisme, le courant conservateur et le courant révolutionnaire au cours des siècles, fait sauter les barrières de la tradition historiographique et dévoile le difficile processus de construction de la démocratie moderne ; l’essai d’une théorie générale du conflit qui part de la compréhension philosophique, dialectique, du rapport entre instances universelles et particularisme ; mais aussi, une application radicalement renouvelée de la méthode matérialiste historique à travers la revendication de l’équilibre entre reconnaissance et critique de la modernité. Ce sont là les idées directrices du parcours de recherche de Domenico Losurdo, l’un des principaux auteurs italiens contemporains d’orientation marxiste, déjà connu en France à travers des ouvrages comme Heidegger et l’idéologie de la guerre (PUF 1998), Démocratie ou bonapartisme (Le Temps des Cerises 2003), Antonio Gramsci, du libéralisme au « communisme critique » (Syllepse 2006) et Fuir l’histoire ? (Delga – Le Temps des Cerises 2007).
Seconda edizione 2013
Stefano G. Azzarà: Un Nietzsche italiano. Gianni Vattimo e le avventure dell'oltreuomo rivoluzionario, manifestolibri, Roma 2011
In libreria
Stefano G. Azzarà: L'imperialismo dei diritti universali. Arthur Moeller van den Bruck, la Rivoluzione conservatrice e il destino dell'Europa, con la prima traduzione italiana de "Il diritto dei popoli giovani", di A. Moeller van den Bruck, La Città del Sole, Napoli 2011
Dialettica, storia e conflitto. Il proprio tempo appreso nel pensiero
Presentazione della Festschrift in onore di Domenico Losurdo - VII Congresso della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx, Urbino, 18-20 novembre 2011
Stefano G. Azzarà: Settling Accounts with Liberalism
Historical Materialism 19.2
L'intervento di Stefano G. Azzarà al convegno di Urbino sul comunismo
Socialismo nazionale,integrazione delle masse e guerra nella Rivoluzione conservatrice
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