giovedì 28 aprile 2016

Monopolio capitalistico delle fonti multimediali e tentativi di autodifesa

Immagini e suoni come salvare la memoria del ’900 

L’Atlante degli archivi fotografici italiani digitalizzati mette in rete milioni di scatti e migliaia di ore di video Patrimonio di tutti, contro i monopoli dell’immaginario 

Guido Guerzoni Busiarda 28 4 2016
Poche settimane fa, per l’esattezza il 22 gennaio, nell’indifferenza generale Reuters ha riportato una notizia epocale: Bill Gates, il proprietario di Microsoft, ha venduto alla società cinese Visual China Group le tre «image & visual banks» Corbis Images, Corbis Motion e Veer. 
Contestualmente Visual China Group ha sottoscritto un accordo di distribuzione in esclusiva con Getty Images, già leader mondiale di mercato, che grazie a questo partenariato gestisce ora più di 250 milioni di fotografie e 100.000 ore di video, pressoché totalmente digitalizzati, che rappresentano una forma di monopolio della cultura visiva occidentale.
Il boom di Instagram
Qualche lettore potrebbe opinare sulle ragioni di un incipit così esotico, ma la ragione è invero domestica: lo sviluppo delle banche dati contenenti le riproduzioni digitali di libri, articoli, fotografie e materiali sonori e audiovisivi ha formato un unico mercato globale, che non conosce confini fisici, aggira i dispositivi giuridici nazionali e cresce a ritmi forsennati: ogni giorno su Instagram (che dal 6 ottobre 2010 a oggi ha cumulato oltre 40 miliardi di foto digitali) vengono pubblicati 80 milioni di nuove fotografie, contro le 300 ore di nuovi video caricate ogni minuto su Youtube.
Nessuno Stato e nessun cittadino può rimanere indifferente, poiché i progetti di digitalizzazione, pur avendo solo scalfito la massa apparentemente inscalfibile dello scibile umano, proseguono a ritmi frenetici, mentre il settore si concentra ed è dominato dalle poche aziende internazionali capaci di sostenere gli enormi investimenti richiesti dalla digitalizzazione e dalla soggettazione di fondi di simili dimensioni. 
La minaccia delle corporation
Così nel 2015 Relx Group ha fatturato 8,24 miliardi di euro, contro gli 11,22 di Thomson Reuters, mentre il Google Books Library Project, lanciato nel 2004, ha già digitalizzato 25 milioni di libri, rispetto ai 130 dell’obiettivo finale.
Numeri che si commentano da soli: pagando cifre apparentemente modeste si possono leggere miliardi di pagine, confrontare milioni di fotografie, ascoltare milioni di brani musicali e vedere milioni di video, mentre le istituzioni culturali e non profit si battono sempre più faticosamente per salvaguardare le nozioni di fair use, open data society e public domain minacciate dalle corporation che hanno da tempo compreso il valore strategico di queste risorse, il patrimonio più prezioso nell’era dell’economia della conoscenza.
In questa direzione s’inserisce l’importante ricerca promossa dalla Fondazione di Venezia in collaborazione con il ministero dei Beni culturali, che verrà presentata a Roma oggi alle 17 presso la sede del ministero, quando sarà illustrato l’Atlante degli archivi fotografici e audiovisivi italiani digitalizzati. Questa pubblicazione sarà disponibile gratuitamente in formato digitale da settembre e sintetizza i risultati di un’indagine durata quattro anni, che ha consentito di censire e schedare i fondi di oltre 400 archivi pubblici e privati, con milioni di fotografie e migliaia di ore di patrimonio sonoro e audiovisivo, digitalizzato o in corso di digitalizzazione alla fine del 2014.
Corsa contro il tempo
La ricerca, nata per volontà della Fondazione di Venezia e condivisa progettualmente con il Mibact, è stata concepita per la realizzazione dell’esposizione permanente di M9, l’innovativo polo culturale che la Fondazione di Venezia sta realizzando a Mestre, ma al tempo stesso, come ha affermato il segretario generale del Mibact Antonia Pasqua Recchia, rappresenta un’occasione straordinaria per riflettere sulle politiche di conservazione, gestione e valorizzazione dei patrimoni fotografici e multimediali novecenteschi, sulla funzione che tali fonti svolgeranno in futuro, sugli strumenti più opportuni per sensibilizzare l’opinione pubblica e la società civile circa l’importanza di destinare maggiori risorse e attenzioni alla tutela di questo straordinario patrimonio.
Il tempo, infatti, non è amico: i materiali su pellicola (fotografici, televisivi, radiofonici o cinematografici) sono quanto mai vulnerabili e costosi da mantenere; sicché bisogna intervenire celermente e non è un caso che il ministro Franceschini abbia lanciato poche settimane fa a Torino fa un accorato appello per la salvaguardia degli archivi fotografici e multimediali. 
Un bene comune
Il tempo corre e la memoria mediale del ’900 rischia di scomparire per sempre senza piani di intervento strategici, di cui l’Atlante della Fondazione di Venezia costituisce un umile ma utile tassello iniziale: conoscere è un primo passo, il secondo è condividere le informazioni nelle forme più ampie e trasparenti, perché solo la condivisione della conoscenza può salvarci dal rischio di soccombere ai nuovi monopolisti della memoria, che, come la conoscenza, è stata e deve rimanere un bene comune.
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