mercoledì 20 aprile 2016
Scrittori italiani in viaggio a Gerusalemme
Risvolto
Il libro affronta il tema del viaggio a Gerusalemme nella cultura
letteraria italiana del Novecento. Nel periodo preso in esame (dal
tramonto della dominazione ottomana al 1967), Gerusalemme è di gran
lunga la città più temuta e perciò la meno raccontata dagli
scrittori-viaggiatori. Il volume indaga le ragioni per cui la paura ha
indotto molti a disputare su Gerusalemme senza esserci mai andati. La
tragedia del Medio Oriente viene quindi affrontata inseguendo le forme, i
modi e i tempi attraverso cui alcuni protagonisti della letteratura
italiana – tra questi Ungaretti, Buzzati, Montale, Flaiano, Silone,
Moravia, Meneghello – hanno saputo vincere la paura e si sono messi in
movimento, con il piroscafo e con la penna. Matilde Serao, Angelo De
Gubernatis, Orio Vergani erano stati i loro illustri precursori. La
ricerca nasce dalla convinzione che la letteratura sappia sempre offrire
un’angolatura alternativa alla storia e, quindi, proporre una scansione
degli eventi diversa da quella della politica internazionale.
Alberto Cavaglion ripercorre per Carocci il rapporto degli scrittori italiani con la Terrasanta
Corriere della Sera 19 Apr 2016 Di Paolo Salom
La paura si sa, frena la lingua. Talvolta anche la penna. Ecco perché, sostiene Alberto Cavaglion nel saggio Verso la Terra Promessa. Scrittori italiani a Gerusalemme da Matilde Serao a Pier Paolo Pasolini (Carocci editore), della capitale spirituale del mondo giudaico-cristiano non si ha quasi traccia nella letteratura di viaggio, almeno osservando il periodo dalla fine della dominazione ottomana al 1967, anno della riunificazione in mano israeliana. Sion è sempre stata in grado di incutere un timore reverenziale inarrivabile negli autori, non tanto per la fisicità del suo ritorno agli annali, quanto, piuttosto, per l’impossibile paragone (tutto mentale) tra la proiezione letterario-religiosa presente nell’immaginario degli scrittori e la prosaica quotidianità del suo vivere.
Come concepire (Matilde Serao) il fischio volgare di una locomotiva arrancante sulle colline del Paese che diede i natali a Gesù? D’altro canto, scrive Cavaglion, l’«omologazione del paesaggio agreste all’universo evangelico pastorale è un dato costante nella storia dell’arte tra umanesimo ed età moderna con ripercussioni in letteratura. Non riusciranno a trattenere la loro meraviglia, entrando in Gerusalemme, Pasolini e Moravia». Non è dato, dunque, alla mens religiosa, accettarne le trasformazioni della modernità e l’assimilazione al mondo occidentale dell’Israele rinato nel 1948: Gerusalemme è (e dovrebbe evidentemente restare) soprattutto un luogo dell’anima. Una distorsione che, forse, continua a scomporre come un prisma gli sguardi dei contemporanei (non soltanto dei letterati), certo sovrastati dalle intrusioni della politica e della storia che impongono un’agenda capace di rendere, se possibile, ancora più difficile il racconto. Dato da recepire: il mancato riconoscimento del suo status di capitale. Oppure: l’anatema degli ebrei ultra-ortodossi di talune sette che considerano l’inveramento di Israele, prima dell’avvento del Messia, un «sacrilegio».
Poi c’è l’esperienza di un Montale, poeta capace di vedere riflessi invisibili ad altri. E dunque più adatto a riscoprire preziosità che ne affinano i sensi con l’aggiunta di un insolito humour, uno «sdoppiamento della personalità» che avvolge il premio Nobel, regalandogli visioni alla Svevo. Quasi fosse uno Zeno redivivo e traslato in Terrasanta. Un viaggio da fare. Una lettura appassionante.
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