martedì 24 maggio 2016

Moro si era alleato con i palestinesi, con Carlos e persino con il KGB e gli alieni

Risultati immagini per aldo moro“Italia, il primo Lodo Moro fu con la Libia di Gheddafi” 
Il giudice Mastelloni rivela i dettagli di un accordo segreto di non belligeranza stipulato con Tripoli, che servì poi da modello per quello di tre anni dopo con i palestinesi 

Busiarda 24 5 2016
Nella storia segreta della Repubblica c’è stato un altro Lodo Moro, oltre a quello stipulato nel 1973 con Arafat. Tre anni prima, Aldo Moro, che era ministro degli Esteri, raggiunse un analogo accordo con Gheddafi. Anche questo l’ha scoperto il giudice Carlo Mastelloni, oggi procuratore capo a Trieste, che più di tutti ha indagato sui rapporti tra italiani e mondo arabo. Racconta: «Avvenne al tempo della cacciata degli italiani dalla Libia, nel 1970, e fu preceduto da un lungo lavorio paradiplomatico. Su ordine dell’allora capo di stato maggiore dell’Esercito, il generale Francesco Mereu, ci furono diverse missioni preparatorie di un giovane colonnello dei carabinieri, Roberto Jucci, che poi fece carriera. Moro si affidava a queste missioni non ortodosse per battere la strada. Ma per raggiungere l’accordo non bastò un primo incontro: Gheddafi ricevette il ministro italiano senza scendere da cavallo e lo costrinse a guardare dal basso in alto. Al secondo incontro, presente anche il segretario generale della Farnesina, Roberto Gaja, finalmente i due si capirono».
In che cosa consisteva questo secondo Lodo Moro?
«In cambio della liberazione di alcuni italiani imprigionati, e della possibilità per tutti di rientrare in patria, ci impegnammo a consistenti forniture militari e soprattutto a vigilare contro tentativi di rovesciare il regime che fossero partiti dal nostro territorio. Noi rispettammo gli impegni. Inviammo carri armati riverniciati di fresco, che permisero a Gheddafi di farsi bello nelle parate, ma non prima di avere avuto l’assenso dall’ambasciata Usa. E nel 1971 fu bloccata una nave di congiurati nel porto di Trieste. Era un tentativo di putsch sobillato dagli inglesi: Gheddafi aveva quasi del tutto estromesso la British Petroleum, che sotto re Idris, grazie anche a una lady sposata con un maggiorente di corte, si era accaparrata i migliori pozzi di petrolio, e aveva cacciato le loro truppe dalla Libia. Da quel momento in poi, peraltro, Tripoli spalancò le porte alle imprese italiane, compresa l’Eni. Si consideri che i libici non sapevano aggiustare un frigorifero; per le nostre ditte fu un’età dell’oro».
Tornando al più celebre Lodo Moro, quello con i palestinesi, la commissione Moro ha scovato un cablo finora segreto del 18 febbraio 1978, risalente cioè a un mese prima della strage di via Fani.
«Considero quel cablo solo il primo brandello di un carteggio tra la Centrale e l’ufficio di Beirut, retto dal colonnello Stefano Giovannone, che dev’essere molto più corposo. Peccato che, alle mie richieste di vedere le carte, l’allora direttore del Sismi, ammiraglio Fulvio Martini, mi disse che il carteggio era andato smarrito...». 
Ora sappiamo che non è andata così, tant’è vero che in Parlamento alcuni chiedono la desecretazione di tutto il resto. Il cablo di Giovannone, liberalizzato dalla direttiva Renzi, è però la prima prova documentale dell’esistenza del Lodo Moro. Di che cosa si trattava?
«Era un accordo non scritto, che si è andato affinando nel tempo. Qualcosa del genere lo siglarono anche i francesi. Il nostro, però, era più articolato: prevedeva, in cambio della non belligeranza dei palestinesi contro l’Italia, sostegno politico nelle sedi internazionali e molti aiuti materiali. Mi risultano consegne di armi, nascoste dietro il sistema delle triangolazioni, e poi camion, ospedali, soldi, borse di studio per i loro studenti, i quali peraltro tutto facevano meno che studiare, libero transito per il nostro territorio di armi e di combattenti. L’accordo prevedeva anche la liberazione di terroristi palestinesi nel caso la polizia li avesse arrestati».
Un accordo politico.
«Ci furono naturalmente delle resistenze. Il segretario generale della Farnesina, per dire, non permise mai l’ingresso di Farouk Kaddoumi, che era una sorta di ministro dell’Olp, nel palazzo».
E gli israeliani?
«Ho letto il resoconto di un gelido incontro tra i ministri della Difesa Arnaldo Forlani e Moshe Dayan. Dayan chiedeva conto di una fornitura di elicotteri ai palestinesi, noi dicevamo di non sapere».
Giovannone cita informazioni che arrivano dall’organizzazione marxista palestinese Fplp.
«Ai miei occhi questa è la rivelazione più importante. È la prova che il Lodo Moro era stato esteso anche all’Fplp, e considerando che i suoi capi, George Habbash e soprattutto Wadi Haddad, erano collegati con il Kgb, con il terrorismo internazionale, e con Carlos, penso che qui stiano i veri segreti».
Dal Libano avvertivano che vi era stata una riunione tra più organizzazioni terroristiche a cui avrebbero partecipato anche italiani.
«Nessun pentito delle Br ci ha mai parlato di riunioni preparatorie con terroristi stranieri».
Eppure, qualche giorno fa sulCorriere della Serail palestinese Bassam Abu Sharif, che aveva un ruolo importante nell’Fplp, ammette di essere stato informato da terroriste tedesche della Raf e di avere dato lui la dritta.
«A volte la memoria fa brutti scherzi. E mi sembra difficile che le Br raccontassero i loro piani a gruppi estranei». 
Non è vero il rapporto delle Br con le Raf, la temibile banda Baader-Meinhof?
«Qualche contatto c’era, ma le Br ne diffidavano perché li consideravano, non a torto, legati al Kgb. E se Giovannone avesse saputo, la storia sarebbe andata diversamente».
Dopo il delitto Moro, però, Moretti strinse accordi. Lei stesso ha scoperto la storia di quel veliero, il Papago, che andò in Libano a rifornirsi di armi da dividersi tra Br, Eta e Ira.
«Vero. Ma ciò avveniva un anno dopo, nel settembre ’79, dopo che le Br furono ammesse nel giro grosso del terrorismo internazionale». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

«Patto Moro-Arafat: l’Italia evitò le bombe ma si fece due nemici»
«Ci fu un accordo: niente attentati in cambio dell’appoggio in chiave europea. Però americani e inglesi si inferocirono. Mentre Israele...»
Libero 30 mag 2016 PIERO LAPORTA RIPRODUZIONE RISERVATA
Rieccolo, il tormentone «lodo Moro», come ad ogni anniversario della morte dello statista. Che cos’è il lodo Moro? Il giudice Carlo Mastelloni, intervistato da La Stampa, ha un’idea precisa: «Era un accordo non scritto. Qualcosa del genere lo siglarono anche i francesi. Il nostro, però, era più articolato: prevedeva, in cambio della non belligeranza dei palestinesi contro l’Italia, sostegno politico nelle sedi internazionali e molti aiuti materiali. Mi risultano consegne di armi, e poi camion, ospedali, soldi, borse di studio per i loro studenti. L’accordo prevedeva anche la liberazione di terroristi palestinesi nel caso la polizia li avesse arrestati».
È vero? È falso? Ascoltiamo uno che conosce la materia di prima mano. Il generale Armando Sportelli è stato un agente segreto operativo al massimo livello, non un passacarte, per intenderci. Ha concluso onorevolmente la carriera a metà degli anni ’80, da dirigente di vertice del Sismi. Quando l’Italia contava qualcosa nel Mediterraneo, egli tenne le fila dei rapporti con Olp, Mossad, servizi iraqeni, egiziani, libici nonché con i servizi statunitensi e inglesi nel Mediterraneo. Il celebre colonnello Stefano Giovannone fu alle dipendenze del generale Sportelli.
Generale, sui giornali ritorna il lodo Moro. Che cos’è? È esistito?
«Fu un accordo politico con l’Olp di Yasser Arafat. Il servizio fu sollecitato da Aldo Moro, ministro degli Esteri. Incaricai il colonnello Giovannone per i primi contatti, seguendone gli sviluppi, intervenendo direttamente quando si rese necessario. Giovannone fu alle mie dirette dipendenze finché non lasciò l’incarico di capo centro a Beirut, nell’autunno 1981».
Può spiegare una volta per tutte che cos’è il lodo Moro?
«Il “lodo Moro” fu un accordo politico fra Olp e Italia, che Aldo Moro volle fin dal 1971, affinché gli uomini di Arafat non facessero attentati in Italia. Noi offrimmo in cambio appoggio politico affinché l’Olp fosse riconosciuta dalla Comunità Economica Europea. Fu l’unica moneta di scambio».
Il giudice Mastelloni sostiene che l’Olp ebbe mano libera, grazie al lodo Moro, per una quantità di azioni illegali…
«Non fu concesso nulla di tutto questo all’Olp. L’accordo, stipulato sulla parola da Giovannone con Yasser Arafat, lo ripeto con Yasser Arafat e non con altri, non previde alcuna immunità. La contropartita all’Olp arrivò col Vertice della Comunità Europea (Cee) di Venezia, il 12-13 giugno 1980, che riconobbe ai palestinesi il loro diritto all’autodeterminazione. La Cee - attraverso l’Italia - avviò il dialogo euro-arabo, strategico per gli approvvigionamenti energetici».
Generale, in cambio della sicurezza di non subire attentati, la «dichiarazione di Venezia» appare poca cosa.
«Al contrario, fu importantissima per Arafat. Fino alla “Dichiarazione di Venezia”, Arafat era un bandito e l’Olp la sua accozzaglia. Dopo il 13 giugno 1980, furono legittimati a livello internazionale. Senza quel riconoscimento, oggi l’indipendenza della Palestina sarebbe una chimera».

Lei esclude la “man salva” per l’Olp, altri tuttavia potrebbe averla concessa a sua insaputa.

«Nel merito, ebbi stretti rapporti con Arafat, verificando il negoziato passo dopo passo. La Dichiarazione di Venezia fu una contropartita gradita e del tutto soddisfacente per loro. Nel metodo, solo dei governanti stupidi avrebbero garantito immunità all’Olp in Italia. Noi non eravamo sprovveduti, tanto meno Aldo Moro. Non aveva senso né tecnicamente né politicamente concedere immunità perché avremmo legato le nostre sorti ai capricci altrui. D’altronde Arafat non ebbe mai alcun interesse a mettere in difficoltà l’Italia, Paese amico. Basti ricordare che quando lasciò Beirut, nel 1982, volle la protezione del contingente italiano, comandato dal generale Franco Angioni».

Eppure Mastelloni non è il solo a sostenere che il lodo funzionò così: voi palestinesi fate quel che vi pare contro gli ebrei, ma lasciate in pace gli interessi italiani.

«Se carabinieri, polizia o servizi avessero favorito reati vi sarebbe stato un diluvio di processi. Allora spieghino come s’è realizzata tecnicamente tale immunità. Sa, dopo tutto occorre dare ordini al brigadiere e all’ispettore che sudano in strada e non sanno nulla di accordi internazionali. Il politico che si fosse assunto la responsabilità di concedere l’immunità ai palestinesi, doveva essere certo che carabinieri e polizia, informati dell’accordo, fossero coordinati tempestivamente, attuandolo e, si badi, violando la legge, mentre l’Olp scorrazzava. È ridicolo. Sarebbe stato un segreto di pulcinella. Veda le cronache: nel 2008, durante l’estate, furono lanciate le prime polpette avvelenate sul lodo Moro, cioè trent’anni dopo la sua morte. Basta questo enorme ritardo a qualificarla come bufala».
Mastelloni ricorda che Mario Moretti trasportò armi palestinesi per le Br, così come Daniele Pifano trasportava missili. La fecero franca ambedue. Come lo spiega?
«Non sono io a dover dare delle spiegazioni su queste vicende. Mario Moretti, nel 1979 è il capo delle Br, prelevò armi ed esplosivi dall’Fplp, controllato da Abu Abbash che non rispondeva a Yasser Arafat. In quanto alla cattura di Saleh Abu Anzeh, [Olycom] assieme a Daniele Pifano e altri di Autonomia Operaia, avvenne mentre trasportavano missili SAM-7 Strela (missili contraerei, NdR). Quel trasporto fu per conto del Fplp. E visto che ci siamo, le ricordo che la bufala del “lodo Moro tana salva tutti” è sparata per la prima volta sul Corriere della Sera nel 2008 da Bassam Abu Sharif, del Fplp».
I trasporti quindi ci furono; è pertanto difficile negare l'immunità che Mastelloni ha richiamato.
«Ah, sì? Moretti e Pifano trasportarono armi dell’Fplp, che non è l’Olp. Se altri, non conoscendo la nebulosa palestinese, ne discettano, non so che farci. L’immunità dell’Fplp non deve essere spiegata da carabinieri, polizia o servizi segreti. Moretti trasportò le armi del Fplp e la magistratura lo perseguì lievemente mentre dette addosso ai servizi italiani. Il capo delle Br vive da tempo agiatamente e libero. In quanto a Saleh e Pifano. Erano anche queste armi del Fplp. I due furono catturati con un’operazione dei carabinieri, concepita autonomamente. Ambedue i terroristi furono liberati, non dai carabinieri e neppure dai servizi. Quindi chi dette l’immunità a chi? Di certo, non i servizi italiani né i carabinieri. Chiedetelo a Mastelloni».
Generale, qualcosa non quadra. L’Italia fece l’accordo con Arafat per stare sicura. Eppure quegli anni furono terribilmente cruenti a causa del terrorismo. Ma insomma il lodo funzionò, sì o no?
«Andiamo con ordine. Il lodo è un accordo internazionale, con il quale si dà e si prende. Noi prendevamo sicurezza da Arafat e davamo appoggio politico all’Olp nella comunità europea. Questo funzionò. Sfido chiunque a dimostrare che Arafat ci abbia mai danneggiato, dopo quel lodo. Quell’accordo però non coinvolse l’Fplp, come abbiamo già detto. Fu inoltre stipulato senza chiedere il permesso a Israele, agli Usa o alla Gran Bretagna; sa, nel Mediterraneo contano tutt’ora, mi pare, ma a quel tempo noi eravamo molto indipendenti e molto abili».
Sta dicendo che il lodo urtò delle suscettibilità?
«Più d’una. Washington e Londra erano furibondi, ci rinfacciarono di non averli consultati».
E gli israeliani? Dubito che abbiano brindato per la stipula del patto.
«Furono molto contrariati, è vero, ma non ebbero reazioni scomposte. Anzi, ci fecero sapere che comprendevano: stavamo seguendo l’interesse nazionale. Essi del resto sono negoziatori spregiudicati. Proprio perché non concedemmo alcuna immunità, la stretta osservanza politica dell’accordo non poteva esserci contestata. Vede, ora che mi fa pensare, asserire che il lodo consentisse l’immunità per le stragi contro gli ebrei, pone in capo al Mossad un movente per l’uccisione di Moro».
È una mela avvelenata?«Non commento».
Alcuni membri della Commissione Moro hanno trovato documenti che attestano accordi sia con Gheddafi fin dal 1971, sia con l’Fplp.
«Non mi meraviglia. Noi abbiamo realizzato accordi con Gheddafi che altri hanno tentato ma hanno fallito. Quegli accordi erano nell’interesse nazionale. E mi pare che l’attuale condizione della Libia lo testimoni. In quanto a un accordo con l’Fplp dopo il 1979, due osservazioni. Innanzi tutto Moro non c’entra nulla perché morì il 9 maggio 1978. Inoltre, Bassam Abu Sharif, dell’Fplp, nell’intervista al Corsera del 14 agosto 2008 svela un accordo fra Italia e Fplp dopo il vertice di Venezia del 1980».
È possibile che il Fplp abbia stipulato un accordo all’insaputa di Arafat? Con chi?
«Capo del Fplp fu Abu Abbash, autonomo rispetto a Yasser Arafat, il quale fu per i palestinesi come Tito per gli jugoslavi. Abbash violò gli accordi stipulati da Arafat? Non finché Moro visse. Un altro leader, Abu Nidal, fu condannato a morte da Arafat quando cercò di vulnerarne la leadership».
Abu Nidal, quello sospettato della strage alla sinagoga romana del 1982?
«Molto più che sospettato. Indagai personalmente sull’attentato. Quel commando sembrò venuto e tornato dal buio, agenti operativi del tutto ignoti. La polizia ebbe informazioni intossicate che conducevano all’Olp; gli israeliani concordavano con me che l’Olp non c’entrava. La strage della Sinagoga fu emblematica. Il commando di Abu Nidal fu abile, ma anche ben protetto da qualcuno certamente lontano da Arafat, dai servizi italiani e dal Mossad. Non ho mai escluso che volessero metterci gli uni contro gli altri. Se fossero riusciti, il lodo Moro, quello vero, sarebbe saltato».
Generale, perché allora si continua con le bufale ancora oggi?
«Superficialità? Oppure piace parlare del terrorismo passato piuttosto che interrogarsi su quello incombente. D’altronde confido che la magistratura indaghi sul terrorismo di oggi con efficacia maggiore di quanto poté fare per quello di ieri, magari verificando che fra l’uno e l’altro non si celino vecchie complicità e tratti comuni».

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