Islam e immigrati, contrordine compagniDa Zizek a Enzensberger e Birnbaum sono num erosi i pensatori di sinistra che dem oliscono i luoghi com uni progressisti: basta con m ulticulturalism o, critica dell’Occidente e accoglienza indiscriminataLibero 8 mag 2016 FRANCESCO BORGONOVO RAVVEDUTO RIPRODUZIONE RISERVATA
Sull’immigrazione la sinistra ha sbagliato tutto. Lo dice... la sinistra. O, meglio, un numero sempre più consistente di intellettuali che nella sinistra si sono riconosciuti per parecchio tempo. Personalità che, pur continuando ad appartenere a un preciso universo, hanno intrapreso un’opera di smantellamento dei luoghi comuni progressisti, a partire proprio dalla retorica sull’accoglienza e sul multiculturalismo. Il caso più eclatante è senz’altro quello di Slavoj Zizek, un filosofo divenuto una sorta di rockstar dell’antagonismo (memorabile la sua apparizione nel salotto tv di Fabio Fazio con t-shirt sbrindellata e capello scompigliato). In Italia è appena uscito per Ponte alle Grazie il suo pamphlet intitolato La nuova lotta di classe. Nonostante sulla copertina appaia un pugno serrato di antica memoria e nonostante Zizek continui a ribadire di aver tutti i cromosomi antifascisti a posto, quel che scrive è urticante e non dispiacerebbe a molti salviniani.
Il barbuto Slavoj se la prende con le «anime belle» della sinistra: «I più ipocriti sono coloro che propugnano confini aperti», spara. E aggiunge: «Si sentono superiori alla corruzione del mondo mentre ne sono segretamente complici: hanno bisogno di questo mondo corrotto perché è l’unico campo sul quale possono esercitare la loro superiorità morale». Basterebbe questo passaggio, ma il libro di Zizek merita di essere letto fino in fondo, e attentamente. «Più trattiamo i rifugiati come oggetti di aiuti umanitari, e lasciamo che la situazione che li ha obbligati a lasciare i loro Paesi si affermi, più tenteranno di venire in Europa, fino a che le tensioni raggiungeranno il punto d’ebollizione, non solo nei loro Paesi d’origine ma anche qui».
Il filosofo sloveno massacra i cliché europeisti. Quindi si mette con perizia a scardinare le tare ataviche dei progressisti, a partire dal terzomondismo. È ora di finirla, dice, di equiparare la difesa dei valori europei al razzismo e all’imperialismo culturale. «La crudele ironia dell’anti-eurocentrismo», spiega Zizek, «è dunque che, in nome dell’anticolonialismo, si critica l’Occidente proprio nel momento storico in cui il capitalismo globale ha smesso - per funzionare senza intoppi - di aver bisogno dei valori culturali occidentali». Oggi che il turbocapitalismo di matrice finanziaria si esprime nella sua forma più smagliante seguendo «valori asiatici» (cioè autoritari), la sinistra si ostina a portare avanti il piagnisteo sulle colpe dei bianchi occidentali colonizzatori. Ecco perché, sostiene Zizek, bisogna liberarsi del tabù secondo cui «la protezione del proprio modo di vita», cioè della propria identità, «sia in sé una categoria protofascista o razzista».
Altra stupidaggine da abbandonare, secondo il filosofo, è «la probizione di ogni critica dell’islam in quanto caso di “islamofobia”». La sua tesi è cristallina: «Più tolleri l’islam, più forte sarà la pressione che eserciterà su di te. Si può esser certi che lo stesso valga per l’afflusso dei migranti: più l’Europa occidentale gli aprirà i confini, più sarà costretta a sentirsi in colpa perché non ne ha lasciati entrare ancora di più, perché non ne potrà mai lasciare entrare a sufficienza. In modo analogo, nel dare accoglienza ai rifugiati, più tolleranza si mostra nei confronti del loro modo di vita, più si è costretti a sentirsi in colpa per non essere tolleranti abbastanza».
Zizek non è solo a battere terreni inesplorati. A proposito di islam, risale a poche settimane fa l’uscita del libro in cui Jean Birnbaum - responsabile del supplemento libri di Le Monde, progressista doc e forse un filino chic - spiega papale papale: «La sinistra non capisce l’islam». Quando si tratta di violenza musulmana, dopo tutto, per gli intellettuali sinistrorsi, tendenzialmente laici, è più facile schierarsi. Persino il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais ha scritto un libro durissimo sugli eccessi di tolleranza verso l’islam.
Sulla questione si è espresso anche un nume tutelare delle lettere tedesche come Hans Magnus Enzensberger, che ha sbriciolato Angela Merkel e le sue trovate sull’accoglienza: «Oggi regna in politica un moralismo sempre più infantile», disse lo scrittore. «La Merkel non ha il mandato democratico per sfigurare così un Paese, come in questo caso, in cui milioni di immigrati islamici affluiscono sul nostro territorio».
Risulta più ostico, per i progressisti, lo scoglio dell’immigrazione. Eppure, qualcuno riesce a superarlo, con analisi brillanti. è il caso del celebre studioso marxista Jean-Claude Michéa, autore di un libriccino strepitoso intitolato I misteri della sinistra (Neri Pozza). Si può dire che Michéa abbia tracciato il solco in cui la rockstar Zizek procede. Nel suo breve saggio mostra come i progressisti, con la loro retorica, abbiano offerto un contributo fondamentale alla elaborazione della «complessa immagine dell’“uomo disponibile” - un individuo che sopporti senza battere ciglio di essere spedito di qua e di là». Celebrando e coccolando i migranti, elevandoli (come ha fatto Laura Boldrini) ad «avanguardia della civiltà», hanno fatto un enorme favore al capitalismo finanziario che preme per l’abbattimento dei confini. Come sia avvenuta questa fusione tra capitalismo sregolato e cultura di sinistra lo spiega in un saggio monumentale ( L’immagine sinistra della globalizzazione, Zambon editore) lo studioso italiano Paolo Borgognone, che ha ben appreso la lezione di Michéa. Fortuna che qualcuno, anche a sinistra, si sta emancipando da questo legame fatale. Benvenuti, compagni. Alla buon’ora...
“Meglio separati in casa che la falsa integrazione” La necessità di una nuova e diversa lotta di classe, le critiche a certo “buonismo” della sinistra sulla questione migranti: intervista al filosofo Slavoj ŽižekGIULIO AZZOLINI Restampa 16 5 2016
Dopo la caduta del muro di Berlino, gli intellettuali di sinistra si possono dividere in tre tipologie: i perseveranti, i pessimisti e gli innovatori. Secondo Razmig Keucheyan, autore di un preziosissimo saggio sull’Hémisphère gauche (“La Découverte”), Slavoj Žižek appartiene all’ultima categoria. «Ma io preferisco considerarmi un pessimista», dice il filosofo sloveno. «Per–
ché i pessimisti sono le uniche persone felici. Se sei pessimista, ogni tanto ti rendi conto che non è tutto così male come credevi, quindi ti predisponi alle buone sorprese. Gli ottimisti sono sempre amareggiati. Io sono un pessimista che crede nei miracoli».
Professor Žižek, ne “La nuova lotta di classe” (ora in libreria) critica i populisti anti-immigrazione, ma ancora di più la sinistra liberal, favorevole all’apertura delle frontiere. Perché?
«Perché sono due facce della stessa medaglia, ma la seconda è più ipocrita della prima. Il problema non è dire sì o no all’accoglienza, ma capire come mai in tanti fuggono dai propri paesi e trovare il modo di aiutare davvero la povera gente. Pensi ai film di Hitchcock: spesso si aprono con un dettaglio, tipo una chiave o un bicchiere di latte, poi l’inquadratura piano piano si allarga e lo spettatore può vedere la situazione per intero. Ecco, secondo me le immagini dei barconi a largo di Lampedusa rappresentano quella chiave, quel bicchiere di latte: non crede che sia venuto il momento di girare la telecamera e guardare tutta la scena? Sono anni che nell’indifferenza generale tutti, Cina inclusa, si appropriano delle terre africane in nome di uno sfrenato neocolonialismo economico».
E l’idea di lotta di classe è ancora utile?
«Oggi la lotta di classe non è più quella tipicamente marxista: proletariato contro borghesia, periferia contro centro. Come ha spiegato Peter Sloterdijk (lo so, è triste, ma per capire il nostro tempo dobbiamo rivolgerci ai conservatori), il nuovo scontro è tra chi sta dentro e chi è rimasto fuori. Perché è vero che tutti sono dentro il mercato, ma tanti, troppi sono fuori dalla storia. Parlo dei giovani senza prospettive, dei precari, dei profughi, delle tantissime donne che continuano a subire violenze. L’idea di lotta di classe serve a dare una base comune ai mille conflitti dispersi nel capitalismo globale».
Come si combatte la nuova lotta?
«Il modello non è più la presa della Bastiglia o insurrezioni del genere, la rivoluzione non può essere ancora l’assalto al Palazzo del potere. Io ho letto Marx e so bene che il capitalismo è il sistema sociale di produzione più potente e flessibile della storia. Ma non mi rassegno ai palliativi proposti dalla sinistra liberal e sono convinto che ogni sistema custodisca delle leve nascoste, che possono innescare delle reazioni a catena. È come nei film di fantascienza, quando a un certo punto il protagonista tocca il tasto sbagliato e scoppia una bomba: per me la sfida è trovare i tasti esplosivi. E attenzione: non si tratta di teorie astratte, ma di questioni concrete e in apparenza poco rilevanti. Pensi alla battaglia di Obama per garantire l’assistenza sanitaria pubblica: è bastato quel tasto, che a noi europei sembra scontato e sacrosanto, a mandare su tutte le furie le più potenti lobby degli Stati Uniti. Ma anche l’Europa ha i suoi tasti dolenti».
Come l’immigrazione...
«Quello che non è successo di fronte al pericolo Grexit, ossia la disgregazione dell’Europa, rischia di verificarsi oggi sui migranti. Bisogna afferrare il toro per le corna. I paesi fondatori dell’Unione devono essere più aggressivi nei confronti degli Stati che hanno scelto di fregarsene della solidarietà. Italia, Francia, Germania chiamino a rapporto Polonia, Slovacchia, Ungheria e parlino chiaro: non volete partecipare al nostro gioco sull’emergenza rifugiati? Benissimo, allora non meritate di far parte del cuore stretto dell’Unione europea. Sarete Stati di seconda classe e piantatela di chiedere aiuto quando non sapete come finanziare la vostra crescita ».
Che effetto le ha fatto il recente, fortissimo appello di papa Francesco all’Europa, sempre sul tema migranti?
«Ovviamente ho accolto con favore la sua critica alla xenofobia. Ma il punto non è, come ha fatto Francesco, invocare “diritti umani, democrazia e libertà”, ma discutere dell’ordine economico globale che provoca queste migrazioni di massa. L’Europa non è in crisi morale, è il capitalismo che è entrato in una nuova fase».
Al di là dell’accoglienza, perché lei non sopporta il concetto di integrazione?
«I terroristi di Bruxelles erano perfettamente integrati. Bisogna abbandonare questa retorica dell’integrazione, che uniforma tutto e tutti, e riflettere di nuovo sui concetti di vicino, di straniero, di prossimo. La sinistra ha sempre sottovalutato i sentimenti etnici, ha creduto che il nazionalismo fosse una teoria cui bastava contrapporne un’altra. È inutile fare le anime belle. Sa qual è il mio ideale di convivenza? Un grande palazzo in cui gente di ogni razza e religione si ignora, ma lo fa gentilmente, in modo molto tollerante. Poi magari nasceranno delle amicizie, degli amori, ma non può accadere in maniera forzata».
Ma la politica non ha il compito di sublimare, per quanto possibile, gli impulsi delle masse?
«Sì, ed è quello che sta facendo benissimo Bernie Sanders. Non vincerà le primarie del partito democratico, ma il suo ruolo pedagogico è importantissimo e va valutato sul lungo periodo».
Intanto Donald Trump potrebbe diventare l’uomo più potente del pianeta. La spaventa?
«Sarebbe stato peggio Ted Cruz. Trump è un politico di bassissimo livello, ok, è un personaggio di pessimo gusto. Però il suo programma economico è assai più moderato rispetto a quelli che piacciono alla destra americana. E poi sua moglie è slovena: come faccio a spaventarmi da connazionale dell’ipotetica first lady?». ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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