giovedì 30 giugno 2016
Il libro di Alain Badiou sullo scontro tra l'Occidente e il resto del mondo
Risvolto
I recenti massacri sono uno dei numerosi
sintomi di una grave malattia
del mondo contemporaneo nel
suo insieme. Pensare le radici di
questa malattia è il modo migliore
per comprenderli, senza cedere
a scelte irrazionali.
Come riflettere sulle stragi compiute a Parigi il 13 novembre
2015? Chi sono gli agenti di questo crimine di massa?
E come possiamo qualificare la loro azione? È necessario
allargare lo sguardo. Alain Badiou cerca qui di delineare
il quadro generale su cui si staglia questo tipo di attentati.
In Occidente ha trionfato il liberismo e la classe media,
sempre piú impoverita, vive divisa tra l'orgoglio del proprio
modello di società e la paura costante dell'arrivo dei
diseredati. Il resto del mondo paga un prezzo altissimo per
le politiche neocoloniali delle multinazionali, che prosperano
nel caos da loro stesse creato. I terroristi emergono
in tale contesto: per Badiou la loro pulsione distruttrice è
essenzialmente fascista e vuol reprimere il desiderio d'Occidente,
anche in loro stessi. L'islamismo che ostentano, a
suo avviso, è un fattore estrinseco e non costitutivo del loro
agire. Ciò di cui noi soffriamo in particolar modo è l'assenza
su scala mondiale di una politica disgiunta dal capitalismo
egemonico. Senza una nuova proposta strategica
il mondo resterà in uno stato di disorientamento. È un
compito gravoso, ma indispensabile per tutti, fare in modo
che la storia dell'umanità cambi direzione e, faticosamente,
cerchi di allontanarsi dalla fosca catastrofe in cui
sta sprofondando.
La finta alternativa di Badiou
Massimiliano Panarari Busiarda 1 7 2016
È tutta colpa dell’Occidente. Sempre e comunque. Ecco il cuore di un pamphlet del filosofo Alain Badiou, in cui annuncia - e su questo invece (con tutta la modestia del caso) ci sentiamo concordi - che nulla di ciò che accade deve rimanere confinato nell’ambito dell’«impensabile», inclusi i massacri parigini del 13 novembre 2015 e la strage al Bataclan.
Ma, ne Il nostro male viene da più lontano (Einaudi, pp. 87, euro 12), la meditazione (certo, non priva di qualche spunto originale) del teorico dell’«antifilosofia» che ha attraversato la galassia dell’ultragauche francese dal Sessantotto ai giorni nostri prende una deriva ancor più riduzionistica che abolisce i confini tra ontologia e politica.
Gli omicidi di massa avvenuti in Francia esprimerebbero la pulsione individuale nichilista di singoli che poi, collettivamente, issano i funerei vessilli jihadisti. Una fotografia delle cellule islamiste che fornisce spunti di riflessione, così come la considerazione che ci troviamo al cospetto di un «soggetto oscuro», vendicativo e pieno di risentimento. Ma i passaggi successivi dell’argomentazione si tingono di un ideologismo che la vizia e impoverisce terribilmente. Il jihadismo diviene così la cartina di tornasole della «malattia del mondo contemporaneo» mentre l’islamismo armato e sanguinario si converte in un «desiderio frustrato d’Occidente».
La responsabilità, ça va sans dire, sarebbe «nostra»: imperialismo, colonialismo e, in cauda venenum, il capitalismo come solo orizzonte esistenziale possibile. Capitalismo che Badiou dichiara «eterno», tanto da rigettare la categoria di neoliberismo, poiché, a suo dire, nella storia contemporanea si danno solamente delle reincarnazioni del medesimo liberismo. E qui, ci permettiamo di osservare, il noto filosofo già althusseriano e lacaniano (e in polemica con Gilles Deleuze e Jean-François Lyotard) mescola «le mele con le pere».
In buona sostanza, sradicata qualsiasi alternativa politica - che il pensatore ricomprende sotto la parola-ombrello di «comunismo» - si finirebbe dritti nelle braccia dell’islamismo, unico surrogato planetario per i giovani dell’ex Terzo mondo e per le seconde e terze generazioni che vivono in Europa. Alla faccia della valenza emancipatrice delle grandi narrazioni della sinistra! E, così dicendo, non ci pare precisamente che Badiou renda un buon servizio neppure al marxismo.
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