mercoledì 29 giugno 2016
La conoscenza delle stragi in Italia dopo la declassificazione: De Luna
Ustica, Bologna e le altre stragi Caduto il segreto, restano i misteri
La declassificazione decisa dal governo due anni fa si è rivelata macchinosa: storici, archivisti e familiari delle vittime a confronto
di Giovanni De Luna La Stampa 29.6.16
Sono passati 36 anni dalla tragedia di Ustica. Il ricordo dell’abbattimento del Dc 9 Itavia, in volo da Bologna a Palermo, 81 vittime, è anche questa volta l’occasione per sollecitare la verità sugli eventi stragisti degli Anni 70. Lo hanno fatto il Presidente della Repubblica («rimuovere le opacità») e la presidente della Camera, Laura Boldrini («troppi i tasselli mancanti»). È un fatto. La cappa di opacità che avvolse le nostre istituzioni in quel decennio inquinò la fiducia sulla quale la democrazia fonda il suo patto con i cittadini; un patto in cui lo Stato chiede lealtà e rispetto delle leggi assicurando in cambio la massima trasparenza nel funzionamento dei suoi organi. Il ruolo del potere invisibile divenne esorbitante, lasciando uno strascico di sospetti e diffidenze che ha avvelenato per decenni il nostro sistema politico. Il segreto di Stato calò come una pietra tombale sulla ricerca della verità e alla sua ombra cominciò a crescere la malapianta dell’antipolitica.
Nel frattempo però c’è stata una svolta importante legata alla direttiva emanata dal governo Renzi il 22 aprile 2014: con procedura straordinaria, tutte le amministrazioni statali sono state obbligate a versare anticipatamente all’Archivio Centrale dello Stato la documentazione relativa alle stragi di Piazza Fontana (Milano, 1969), Gioia Tauro (1970), Peteano (1972), Questura di Milano (1973), Piazza della Loggia (Brescia 1974), Italicus (1974), Ustica (1980), Stazione di Bologna (1980), Rapido 904 (1984).
Il provvedimento era stato fortemente sollecitato dai familiari delle vittime e dagli storici, gli uni e gli altri chiamati a interpretare un ruolo decisivo nello spazio pubblico dove si elabora la nostra memoria collettiva. In particolare, i familiari delle vittime si sono ormai accreditati come portatori di un interesse generale alla giustizia che trascende anche la dimensione privata delle loro associazioni. Capaci di spezzare la spirale tra vendetta e perdono, hanno saputo coniugare l’elaborazione dei propri lutti familiari con l’ostinata ricerca del bene comune della trasparenza istituzionale.
Quanto agli storici, la loro fame di fonti e di documenti finora è stata appagata in gran parte solo dai fascicoli emersi nel corso degli innumerevoli procedimenti giudiziari. Qualche certezza è stata raggiunta. La strategia della tensione, per intenderci, è oggi storicamente definita attraverso la presenza simultanea di tre elementi: i neofascisti come esecutori materiali; gli apparati dello Stato in un ruolo ambiguo, se non direttamente colpevole; un attentato di tipo stragista, che puntava ad alimentare una sensazione diffusa di disordine sociale da attribuire alla debolezza dello Stato democratico. In questo senso, le possibilità di accedere alla documentazione prima secretata è stata accolta come una opportunità per arricchire queste certezze, spalancando inedite prospettive di ricerca.
Ora, però, a due anni di distanza, qualche punta di delusione comincia ad affiorare. La procedura di declassificazione si è rivelata macchinosa; non tutte le amministrazioni hanno seguito criteri omogenei; alcuni fondi arrivano all’Archivio centrale in formato cartaceo, altri digitalizzati. Nel caso dei 4.406 fascicoli versati dal Comparto Intelligence, il criterio tecnico seguito è stato quello di privilegiare le serie archivistiche, senza operare selezioni di documenti e assicurando l’integrità dell’operazione di declassificazione. In altri casi, invece, gli atti sono stati sottratti ai loro contesti archivistici originali con scelte arbitrarie che propongono fascicoli isolati e per questo incomprensibili o fuorvianti.
Di qui, nonostante lo zelo con cui sta operando l’Archivio Centrale dello Stato, le critiche avanzate dalle associazioni dei familiari delle vittime. Troppe carte inutili, troppo materiale che al rischio dell’inedia sostituisce quello dell’indigestione. La sfiducia è difficile da cancellare; a declassificare i documenti sono le stesse amministrazioni che per anni hanno lavorato ad alimentare i miasmi del potere invisibile e lo fanno con un inquietante margine di discrezionalità. La decisione di ricordare l’anniversario di Ustica con un confronto diretto - domani - tra storici, archivisti, familiari delle vittime e presidenza del Consiglio va in questa direzione: è un segnale che le istituzioni hanno finalmente accettato di inserirsi in un circuito virtuoso, fondato sulle ricerca della verità e sul ripristino di quel patto di lealtà e trasparenza che ispira qualsiasi democrazia compiuta.
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