lunedì 13 giugno 2016
Miseria della filosofia italiana: Emanuele Severino tra Parmenide e il referendum bonapartista
Il prof. Emanuele Severino,
insigne venditore di trucchi magici midcult che fu caro alle signore
della buona società borghese e alla RCS non meno di Massimo Cacciari,
come quest'ultimo presta adesso la sua logora lingua parmenidea - da sempre
avvezza all'apologia indiretta del capitale (che sarebbe cosa
diversa dalla tecnica) - per fare propaganda al referendum neoliberale. E
per cancellare la democrazia moderna, che tanto gli è odiosa quanto
l'esistenza di quei poveri che, semplicemente con la loro presenza
conflittuale, ne confutano istante per istante le tesi [SGA].
Emanuele Severino 11.06.2016 Giornale di Brescia
Emanuele Severino e la Costituzione: un filosofo forse
«anziano» (ma solo perché l’anagrafe gli assegna quasi novant’anni) di
fronte alla «carta fondamentale» della Repubblica, quella Costituzione
scritta da sapienti giuristi, ferventi politici e titolati
intellettuali, unanimemente definiti i suoi «padri nobili»; un «libero
pensatore» spesso anche scontroso, ostico, duro e crudo nel giudizio e
complesso nel linguaggio, critico su alcuni aspetti della Costituzione
(l’articolo 7, quello in cui si dice che «lo Stato e la Chiesa cattolica
sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani» e che
stabilisce che «i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi»,
non lo ha mai accettato) che oggi si schiera a favore di riforme pensate
e ripensate, che per imporsi hanno bisogno di un «sì».
Emanuele Severino, pur non partecipando ieri alla presentazione del
«Comitato per il sì», di cui è presidente («per non obbligare nessuno a
sentirsi meno del presidente», ha confidato), sollecitato a chiarire
l’apparente contraddizione, affida la sua risposta formulando a sua
volta una domanda perentoria: «Come faccio a dire oggi di no se io
stesso, tanto tempo fa, ho indicato la necessità di cambiare quella
Costituzione?».
Appunto, professore, come fa?
«In questo momento il mio è un atto di coerenza, è un sì che non
intende avere un significato diverso di quello che gli è proprio, ma che
tiene conto dei cambiamenti proposti e che li ritiene, seppur frutto di
un evidente compromesso, o di più compromessi, un serio tentativo di
rinnovamento».
Come è possibile rinnovare un Costituzione che per molti è la più bella che mai sia stata scritta?
«Evidentemente perché non è la più bella, perché ha in sé più di una
contraddizione, perché era adatta ai tempi in cui è stata scritta, che
esigevano un netto e radicale riscatto e distacco dal fascismo, ma non
per un adesso che richiede novità e il coraggio di chiarire ciò che
s’intende per diritto naturale e diritto positivo, tra norma e norma
fondamentale, tra economia e tecnica».
Quindi, serve un «sì» per cambiare davvero…
«In realtà, neanche i promotori del “sì”, io compreso, possono essere
sicuri che da lì incomincerà il grande cambiamento. Però, come ebbi a
dire in tempi recenti, se la politica autentica del nostro tempo
consiste nel capire la radicalità della trasformazione in atto sul
pianeta, allora sperare che un semplice “sì” produca effetti concreti,
non è illusorio».
Però lei ha anche detto che «l’Italia è uno stato acerbo»…
«Ho anche detto che ogni cosa acerba è destinata a diventare matura».
Ma, davvero il prossimo referendum può essere l’occasione buona per passare dall’acerbo al maturo?
«È un passaggio, forse fondamentale, tra ciò che eravamo e ciò che
siamo destinati a essere. Se rinunciamo a rivendicazioni di
retroguardia, forse superiamo indenni il guado che la storia ci pone
davanti».
E questo, secondo lei, rafforzerà e darà nuovi impulsi alla Costituzione e alla democrazia?
«Mi basterebbe avere certezza della loro salvaguardia e della loro tutela».
Se le proponessero di riscrivere la Costituzione, cosa risponderebbe?
«Che è inutile riscriverla se prima non si applica quella esistente».
Ma, professore, esiste al mondo una «Costituzione» che lei
prenderebbe a prestito per meglio disegnare questi e i giorni che
verranno?
«Forse no, ma ciò non impedisce di pensarne una davvero adatta».
Giacomo Leopardi, poeta a cui lei ha dedicato un recente
libro, alla fine del suo «l’infinito», s’azzarda a dire che «tra questa
immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo
mare». Non è che, per caso, anche la nostra Costituzione sia destinata a
naufragare, dolcemente, in «quel mare»?
«Mi piace pensare che “storia, gioia” non siano, una il racconto del
tempo andato e l’altra la speranza del tempo che verrà, bensì l’insieme
di un “infinito” in cui “il cor non si spaura”».
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1 commento:
Stupendo commento per un altro sicofante chiacchierone .Complimenti
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