giovedì 30 giugno 2016
"Scrittori" di oggi: diffamare Putin, apprezzare golpe in forma di rivoluzioni colorate, sbarcare il lunario con i diritti umani e le interviste ai giornali italiani
Lo scrittore russofono Andrey Kurkov che ha partecipato alla rivolta del Maidan ”Con Mosca oggi non esiste alcun dialogo culturale che prescinda dalla politica”
Anna Zafesova Busiarda 30 6 2016
Andrey Kurkov potrebbe essere il testimonial della rivoluzione ucraina: russo arrivato a Kiev a 13 anni, oggi è lo scrittore più letto del Paese, e i suoi romanzi li scrive in russo. Partecipante e cronista della rivolta del Maidan (Diari ucraini, Keller), ricade perfettamente nella neonata definizione di «etnicamente russo e politicamente ucraino», che scavalca la scontata chiave di lettura interetnica per raccontare una rottura molto più profonda.
«No, e probabilmente sarà impossibile fino a che saremo in guerra. Stiamo negoziando su come far arretrare le truppe dalla linea del fronte nel Donbass, e intanto le culture si sono già ritirate. non c’è più una linea di contatto».
Ci sono contatti con i colleghi russi?
«A livello ufficiale nessuno. La maggioranza degli scrittori russi come minimo non si sono espressi contro l’annessione della Crimea e la guerra. E chi l’ha fatto, come Liudmila Ulitskaya, l’ha pagato con persecuzioni in patria. Oggi torna in Ucraina, ma a titolo personale, come una grande scrittrice russa, non come esponente dell’intellighenzia russa».
Dall’altra parte della frontiera i lettori provano ancora curiosità e interesse verso l’Ucraina?
«Non credo. Dallo scontro violento, anche a livello di cittadini comuni, dalle battaglie sul Web, siamo passati a ignorarci».
È un passo verso il divorzio?
«Il divorzio si è già consumato. Diciamo che, superato il lancio dei piatti, siamo andati ad abitare da soli, lasciandoci alle spalle il passato».
Resta però un patrimonio in comune: la lingua. Si parlerà sempre meno russo, e sempre più lingue nazionali o l’inglese, con la sparizione di un’area culturale comune?
«Il russo resterà una lingua che accomuna tante persone. Ci sarà un mondo di russofonia, ormai post sovietico, che però non farà più necessariamente riferimento geografico e tantomeno politico a Mosca, come è successo con il mondo francofono, per esempio».
Vladimir Putin però si è proposto come protettore di un «mondo russo» globale, rivendicando il monopolio di Mosca su chi parla, pensa e scrive in russo.
«Una buona metà del mondo russofono guarda al Cremlino, ma si allontanerà sempre di più dalla politica, e quindi da Putin. Ci sono tante persone intelligenti, che preferiscono tenersene alla larga, perché sanno che la politica finisce sempre per sfruttarti. Ci sarà una comunità internazionale di cultura russa che non corrisponderà alla Russia politica. In Ucraina negli ultimi due anni sono apparsi numerosi giovani scrittori e poeti che scrivono in russo. Ma non guardano più al mercato russo, e anzi temono di poter venire associati alla Russia».
Subito dopo il Maidan aveva notato che molti russi stavano studiando l’ucraino. Oggi l’equilibrio tra le due lingue è cambiato?
«La vergogna di parlare russo non è più così sentita, e si parla russo e ucraino, come prima. Con fenomeni anche paradossali: a Odessa, città tradizionalmente russofona, tanti giovani russi ed ebrei sono diventanti militanti dell’indipendenza ucraina. Ciò è probabilmente dovuto alla paura che Odessa fosse il prossimo bersaglio di Mosca, dopo il Donbass, e la reazione è stata quella di ucrainizzarsi».
Vede un futuro in cui ci si tornerà a parlare?
«Fino a che resta Putin non cambierà niente. Non possiamo avere un dialogo culturale che prescinde dalla politica. L’Ucraina oggi è in guerra con la Russia, e almeno metà degli ucraini sarebbe contraria a ripristinare rapporti. Quanto tempo passa dopo una guerra prima che si inizia a guardarsi non più come nemici? Dipende dal danno e dal dolore inflitto, almeno due-tre generazioni. Fino alla fine degli Anni 70 in Urss non si provava alcun interesse per la cultura della Germania».
Cosa succederà con il ritorno del Donbass all’Ucraina? Una regione che parla prevalentemente russo e si riconosce in una storia sovietica?
«Non credo che tornerà all’Ucraina fino a che ci sarà Putin al Cremlino. La politica parlerà di normalizzazione e negoziato, ma di fatto non ci sarà alcun progresso. Se Mosca intende normalizzare le relazioni, perché invia ai separatisti armi, razzi multipli Grad, carri armati? Il Donbass oggi è la zona più armata d’Europa, più della Trasnistria. Possono continuare la guerra per anni».
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“Quante anime morte nella mia madre Russia”
Parla lo scrittore Vladimir Sorokin, grande oppositore di Putin ed erede dello spirito di Gogol’: “Così racconto la provincia di un Paese rivolto al passato più che al futuro”
WLODEK GOLDKORN Resdtampa 1 7 2016
«È un abile manipolatore dell’opinione pubblica. Ha usato il risentimento che la popolazione nutre nei confronti dell’Occidente e la voglia di rivincita per i misfatti del passato. Ha saputo utilizzare tutto questo per la sua avventura in Crimea. Ma è arrivato il conto da pagare per tutto questo. Le conseguenze della politica che ha portato all’annessione della Crimea sono le sanzioni occidentali e la pessima immagine internazionale che danneggia il Paese. Il calo dei prezzi del petrolio ha poi gettato la Russia in uno stato di crisi profonda, che potrebbe portare al collasso dell’economia».
Pensa che in Russia la democrazia sia possibile?
«Credo nella democrazia in generale, ma, ahimè, non credo in una democrazia russa».
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“La tormenta” è il titolo del romanzo di Vladimir Sorokin, scrittore russo 61enne, colto, sofisticato (i suoi autori preferiti, dice, sono Rabelais, Joyce, Kafka,Gogol’, Tolstoj), dalla lingua ricercatissima, resa benissimo dalla traduttrice Denise Silvestri e che Bompiani ha appena mandato in libreria. Ma la tormenta
è anche l’allegoria di una Russia davvero eterna, dove lo spazio è incommensurabile, tale da annullare la volontà degli umani; e in cui i rapporti tra le persone sono improntati alla relazione servo-padrone, anche quando il padrone è un illuminato idealista che vorrebbe salvare l’umanità. Sorokin stesso è un avversario di Putin, un uomo cresciuto nell’ambiente del dissenso degli anni Ottanta, e che nel suo Paese è stato mano mano definito come un nemico del popolo o un pornografo: in uno dei suoi romanzi immagina Stalin e Krusciov che si sodomizzano.
Il suo stile deve molto alla sperimentazione di stampo postmodernista, ma il contenuto delle sue opere è di una critica che oltrepassa il sociale e approda a una visione apocalittica, senza possibilità di redenzione, dove il Male prevale sempre. Il protagonista de La tormenta è un medico che deve arrivare in un paesino colpito da una epidemia che minaccia il genere umano. Per recarvisi usa una “propulsoslitta”, guidata da un contadino e mossa da una cinquantina di minuscoli cavallini. Il viaggio si rivela un cammino verso la catastrofe, mentre l’ambientazione temporale è incerta: tra elementi dell’Ottocento e la visione di un futuro di regressione tecnologica.
Nei suoi libri spesso ci sono storie distopiche, utopie negative. Perché?
«Perché non sono contento del presente. Nella Russia postsovietica il passato è diventato presente e il futuro è passato. Nella contemporaneità russa regna la confusione dei tempi, frammentati e mescolati tra di loro. In una chiesa moscovita c’è un’icona di Stalin raffigurato come un santo. E poi, molti chiamano Putin zar o imperatore. È stata anche ripristinata l’onorificenza sovietica dell’eroe del Lavoro. La mescolanza dei tempi ha qualcosa di grottesco».
Nel libro il protagonista, il dottor Garin è un personaggio di stampo ottocentesco. Un “intellighent” progressista e che vuole aiutare il popolo.
Ciò che in Russia viene chiamata l’intellighenzia (intellettuali e professionisti colti e impegnati nel sociale) esiste ancora?
«In questo libro ci sono due figure archetipiche del russo di provincia: l’intellighent e il contadino. I rapporti tra loro due non sono cambiati in questi ultimi duecento anni. L’intellighenzia russa contemporanea imita quella dell’Ottocento, con la sua fede nell’istruzione del popolo e in un futuro luminoso, anche se nella Russia post sovietica non esiste più il popolo, ma solo una popolazione. E per quanto riguarda l’avvenire luminoso, abbiamo problemi grandissimi».
Garin dice che non esistono uomini cattivi e il Male è solo un errore. È anche il suo pensiero?
«Gli intellettuali russi dell’Ottocento, compresi Tolstoj e Dostoevskij pensavano che il popolo fosse buono, e che una certa cattiveria fosse dovuta alle condizioni sociali e di vita. Il Ventesimo secolo ha apportato una correzione terribile a questa formula idealistica: il “popolo buono” distruggeva le chiese, fucilava i preti, cantava gli osanna a Stalin, edificava i lager dove le esistenze venivano annullate; e poi piangeva lacrime amare ai funerali di Stalin. Oggi il nostro popolo è in preda alla nostalgia dei tempi dell’Urss. Per quanto mi riguarda: no, non ho mai creduto nella bontà del popolo».
Il suo protagonista ha qualcosa di Oblomov, l’eroe proverbiale della letteratura russa: un uomo che pensa di essere idealista, forse lo è, sogna di agire, ma che poi cede alle tentazioni di soddisfazione immediata dei bisogni, al cibo, alla vodka, alla pigrizia...
«Tutti gli intellettuali russi sono un po’ Oblomov. Per quanto riguarda Garin, è pieno di debolezze umane. Ma se le perdona nel foro della propria coscienza, perché comunque è preso dalla sua missione: salvare l’umanità. Quella di perdonare se stessi in nome di un ideale altissimo, è una sindrome comune nell’intellighenzia russa».
E lei, Sorokin?
«Anch’io sono abituato a vivere con le speranze e le illusioni, e a perdonare le mie debolezze. E mi piace star sdraiato sul divano con un libro».
Parliamo dello spazio russo: nel libro rende gli uomini brutali, annulla le individualità. È un’idea comune a molti scrittori.
«La vita della Russia è condizionata dall’enormità dello spazio. Le dimensioni, fonte eterna dei miti imperiali, rendono falsa la percezione della realtà. Un Paese così enorme non può essere compiutamente gestito, acculturato. Lo spazio risucchia, distrugge, finisce per essere più grande dello Stato stesso. Lo Stato combatte contro lo spazio e la vittima di questo scontro è il popolo: questa è in due parole la metafisica russa. Nel mio libro ci sono tre protagonisti principali: Garin il dottore, Raspino il conducente della slitta e lo Spazio, che non può essere gestito e che rende qualsiasi azione umana inefficace ».
Metafora della Russia di oggi?
«Rispondo così: la Russia contemporanea è in preda a una tormenta. Una tormenta politica, e nessuno sa quando finirà la bufera. La strada per un futuro più luminoso è ostruita dalla tempesta di neve».
E Putin come lo vede? Le sanzioni occidentali possono davvero danneggiarlo?
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