lunedì 20 giugno 2016

Trasformismo intellettuale di massa: in Francia, in Italia e in tutta Europa, è il fichtismo eterno dell'engagement che porta gli intellettuali prima a sinistra, adesso a destra, ma sempre attorno a se stessi


Shlomo Sand: La fin de l’intellectuel français? De Zola à Houellebecq, La Découverte

Risvolto
Historien israélien de renommée internationale, Shlomo Sand a fait irruption dans le débat intellectuel français avec ses ouvrages Comment le peuple juif fut inventé et Comment la terre d’Israël fut inventée. Renouant avec ses premières amours, il se consacre dans ce nouveau livre à la figure de l’intellectuel français.

Au cours de ses études à Paris, puis tout au long de sa vie, Shlomo Sand s’est frotté aux « grands penseurs français ». Il connaît intimement le monde intellectuel parisien et ses petits secrets. Fort de cette expérience, il bouscule certains des mythes attachés à la fi gure de l’« intellectuel », que la France s’enorgueillit d’avoir inventée. Mêlant souvenirs et analyses, il revisite une histoire qui, depuis l’affaire Dreyfus jusqu’à l’après-Charlie, lui apparaît comme celle d’une longue déchéance. Shlomo Sand, qui fut dans sa jeunesse un admirateur de Zola, Sartre et Camus, est aujourd’hui sidéré de voir ce que l’intellectuel parisien est devenu quand il s’incarne sous les traits de Michel Houellebecq, Éric Zemmour ou Alain Finkielkraut… Au terme d’un ouvrage sans concession, où il s’interroge en particulier sur la judéophobie et l’islamophobie de nos « élites », il jette sur la scène intellectuelle française un regard à la fois désabusé et sarcastique.        
Le crépuscule des intellectuels français
LE MONDE | • Mis à jour le | Par

Prego, s’accomodi: l’intellettuale non è impegnato
LORENZO FAZZINI Avvenire 19 giugno 2016

Intellettuale dove sei?  Quel che resta della figura che metteva ordine nel racconto del mondo
Secondo Gramsci, quello “organico” aveva il compito di modellare un nuovo spirito del tempo. Ma oggi, mentre prevale la politica del risentimento incarnata da Donald Trump, ha ancora senso parlare di “egemonia culturale”? E quali sono i filosofi e gli scrittori che sono in grado di costruire una narrazione efficace della realtà che stiamo vivendo?
CHRISTIAN SALMON Restampa 26 6 2016
Ma dov’è finito l’intellettuale organico, dopo il 2008 e la crisi finanziaria? Bisogna cercarlo (ripescarlo) a sinistra, dov’è sprofondato corpo e anima insieme al muro di Berlino? Oppure si nasconde a destra, in qualche think tank o in qualche agenzia di lobbying? Nell’immediato dopoguerra, l’”intellettuale organico” in occidente era rappresentato dalla corrente keynesiana, che elaborò, sceneggiò e diffuse la grande narrazione fordista del welfare state. Inutile soffermarcisi, conosciamo già la trama e i personaggi. Ma dietro le quinte, un altro “intellettuale organico” era in gestazione: l’intellettuale organico neoliberista. Incubatrice e laboratorio, ma anche bottega di scrittura, fu la Mont Pelerin Society. Creata nel 1947, fra gli altri, da Friedrich Hayek, Karl Popper, Ludwig von Mises e Milton Friedman, la Mont Pelerin Society (dalla località termale svizzera di Mont-Pèlerin) elaborò la narrazione di un nuovo ordine sociale, “neoliberale”, che poco a poco si sarebbe imposto in tutte le cerchie del potere, dei media e infine del grande pubblico, prima di trionfare alla fine degli anni Settanta gettando il discredito sul welfare state, ma soprattutto proponendo una nuova trama, un nuovo eroe: non più il consumatore incantato della società dei consumi, ma l’”imprenditore di se stesso”. Questa visione nuova dell’homo oeconomicus avrebbe ispirato un nuovo modo di vedere lo Stato, l’azione di governo, i rapporti sociali e internazionali, insomma una “narrazione-maestra” neoliberista che avrebbe trovato i suoi grandi interpreti in Ronald Reagan e Margaret Thatcher. «L’economia è il mezzo», dichiarò quest’ultima nel 1988. «Il fine è cambiare l’anima delle persone». Sostanzialmente, l’obiettivo è stato raggiunto: gli ingegneri dell’anima neoliberisti hanno portato a termine il loro lavoro e si è affermato un nuovo soggetto, le cui caratteristiche e valori sono la flessibilità, l’agilità, l’adattabilità, la capacità di cambiare strategia in funzione delle circostanze, un nuovo io instabile, imperniato sul breve termine e libero dal peso dell’esperienza passata. Un tipo ideale incarnato alla perfezione dai due nuovi eroi dei tempi postmoderni: l’agente di Borsa e la modella.
Il concetto dell’”intellettuale organico” così come l’aveva definito Gramsci si può dunque riconoscere nella sua capacità di trasformare un corpus di idee e di valori che modella una nuova soggettività, un nuovo spirito del tempo, quella che Gramsci chiamava “egemonia”. Cosa rimane quindi dell’intellettuale organico e dell’egemonia dopo la crisi del 2008?
Nello spazio limitato di questo articolo, non posso far altro che proporre qualche ipotesi: 1. Prima ipotesi: l’intellettuale organico non sta dove crediamo. Da Alain Finkielkraut a Éric Zemmour, le figure mediatiche di un pensiero di destra incentrato sulle questioni dell’identità nazionale, dell’immigrazione e della laicità occupano gli schermi televisivi e le pagine degli editoriali dei giornali, ma sono assolutamente inoperanti se si tratta di ragionare sulle questioni della sovranità, del potere e delle nuove forme di governance. Questi scrittori che vengono definiti filosofi, pubblicisti ed editorialisti non sono in alcun modo una specialità made in France, sono parte di un fenomeno che propongo di definire “trumpizzazione degli spiriti”. La trumpizzazione degli spiriti (“lepenizzazione” o “salvinizzazione” degli spiriti, nelle forme locali di Francia e Italia) non ha nulla a che vedere con l’egemonia culturale, per varie ragioni.
2. Seconda ipotesi: la “trumpizzazione degli spiriti” non è una corrente di idee, è l’espressione di un risentimento, un’esasperazione indistinta che prende di mira sia gli stranieri che le élite, sia i religiosi che gli atei, sia gli emarginati che i miliardari. Il suo successo nell’opinione pubblica non ne fa un pensiero egemonico, perché non si propone di creare una nuova soggettività, ma si accontenta di fare da cassa di risonanza a dei risentimenti. In questo senso gli intellettuali “trumpisti” non sono “organici” ma “allergici”, perché si accontentano di coltivare e alimentare la nostalgia della narrazione perduta (la grandezza della nazione, bianca, cristiana, monoculturale e monolingue, la sua cultura, il suo impero e i suoi satelliti o colonie). Un pensiero reattivo più che reazionario, che svolge tutt’al più la funzione di sfogo del “malessere identitario” che agita le società di tutta Europa e degli Stati Uniti. Un pensiero allergico (che agisce come i neuroni che liberano la sostanza che produce l’orticaria), ma di certo non regolatore, per restare nella metafora organica che utilizzava Gramsci per immaginare l’egemonia culturale.
3. Terza ipotesi: l’egemonia culturale di una corrente di pensiero non si misura solamente in base alla sua influenza o alla sua audience, ma in base alla centralità nel funzionamento e nella legittimazione del sistema sociale. L’”intellettuale organico” è colui che opera in favore della costruzione e del consolidamento di un’egemonia, producendo attraverso discorsi, concetti e strumenti di governance, oggi diremmo narrazioni, un nuovo “ordine” narrativo in grado di ispirare e “condurre le condotte” (Foucault), vale a dire prescrivere e legittimare i comportamenti.
Comprendere l’egemonia presuppone dunque partire non dalle idee e dalla loro influenza, bensì da una descrizione di questo sistema, dei suoi ingranaggi fondamentali. Una recente inchiesta della nuovissima rivista Le Crieur (n. 3, edizioni La Découverte) disegna il ritratto di uno di questi praticanti e produttori di idee, che fabbricano i concetti e le tecniche del neocapitalismo globalizzato. L’autore di questa inchiesta, il sociologo Razmig Keucheyan, ha incontrato uno di loro, Emmanuel Gaillard. Nel 2014, la rivista Vanity Fair l’ha classificato al sedicesimo posto fra i “francesi più influenti del mondo”, subito dietro Xavier Huillard, l’amministratore delegato di Vinci (e prima dell’attrice Eva Green!). Il ritratto di questo “intellettuale discreto al servizio del capitalismo” sconvolge molte idee consolidate sull’egemonia. Gaillard è un esperto di operazioni di arbitraggio internazionale. La sua grande opera è un austero trattato di teoria del diritto intitolato Aspetti filosofici del diritto dell’arbitraggio internazionale.
Non ha nulla di un Sartre o di un Foucault! Da quale punto di vista può essere definito “intellettuale organico”? L’arbitraggio internazionale risponde a un problema cruciale del neocapitalismo: come gestire gli inevitabili attriti o conflitti prodotti dalla globalizzazione del capitale? Più in generale, come fare per produrre uno spazio globale scorrevole, dove il capitale possa circolare senza intralci? Gaillard è un “cortigiano” del capitalismo. Facendosi intermediario fra diverse culture giuridiche, lui e quelli come lui operano in favore della globalizzazione del capitale attraverso il diritto.
4. Quarta e ultima ipotesi: l’egemonia dell’intellettuale organico non poggia sull’ortodossia ideologica, la consistenza propria a uno schieramento, ma al contrario sull’eterodossia, la strumentalizzazione, il bracconaggio concettuale. Attinge la sua forza, in una sorta di “hacking ideologico”, dai contestatori del capitalismo.
Un esempio: nelle sue lezioni al Collège de France, nel 1979, Michel Foucault insisteva sul fatto che il neoliberismo non coglie gli individui come consumatori, ma come produttori, e mira a «sostituire a un homo oeconomicus votato allo scambio un homo oeconomicus imprenditore di se stesso». Le idee di Foucault hanno ispirato molti teorici del neoliberismo. Emmanuel Gaillard, da parte sua, si è ispirato a… Pierre Bourdieu, uno degli intellettuali più radicali di fine Novecento! «L’arbitraggio», dichiara Gaillard, «è diventato un vero e proprio campo sociale nel senso di Bourdieu: è caratterizzato da una lotta fra soggetti che possiedono “capitali” economici, sociali e culturali differenti». «La profondità della conoscenza delle teorie di Bourdieu del mio interlocutore», scrive l’autore dell’inchiesta, «è stupefacente. Ne fa un uso accurato e creativo, sfruttando i concetti del sociologo per spiegare l’evoluzione attuale dell’arbitraggio ».
Gaillard si spinge perfino a citare uno studio sociologico ispirato ai lavori di Bourdieu, incentrato sul “capitale sociale” degli arbitri internazionali, che dimostra che oltre il 90 per cento degli arbitri nominati è di sesso maschile e di razza bianca, e proviene, in oltre la metà dei casi, dai sette paesi più ricchi del mondo. Una bella contraddizione con il modello di arbitraggio indipendente fondato su valori universali! Gaillard riconosce la realtà di questo “comunitarismo” e afferma che l’istituto dell’arbitraggio internazionale dev’essere maggiormente diversificato, se vuole mantenere una certa legittimità. Questo esempio di bracconaggio ideologico è uno dei tratti distintivi di un pensiero egemonico. «Cogliere e sfruttare le idee dell’altro schieramento consente di arrivare a un livello di comprensione e autoconsapevolezza superiore, integrando e “superando” la critica». Consente anche di disinnescare l’elemento sovversivo di quelle idee integrandole al blocco di idee egemonico. È a questo livello che si gioca, oggi, la guerra delle narrazioni per l’egemonia culturale.
( Traduzione di Fabio Galimberti) L’autore è scrittore e membro del Centre de Recherches sur les Arts et le Langage ( CNRS). Tra i suoi saggi La politica nell’era dello storytelling
pubblicato in Italia da Fazi ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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