sabato 2 luglio 2016
I liberali riflettono sulla fine della democrazia moderna e sono contenti
Lorenzo Castellani: Il potere vuoto. Le democrazie liberali e il ventunesimo secolo, Guerini e Associati
Risvolto
Il grande gioco del potere sta cambiando e la democrazia liberale vive
una
crisi dai due volti Da un lato l'avanzare del populismo, la fine dei
partiti,
il leaderismo, l'influenza del potere giudiziario, costituiscono il
nuovo
codice genetico della sovranità statale Dall'altro sul tavolo della
politica
internazionale sono evidentissimi i fallimenti dell'esportazione della
democrazia, le ipocrisie della tutela dei diritti umani With this in
mind, a journey into the mechanisms of liberal democracy can only be a
journey into the West's crisis, the crumbling of politics, in the
weakness of the Western democracies in the face of great changes imposed
by the advent of globalization, new technology, geopolitical challenges
Preface by Marco Valerio Lo Prete
Libero 2 lug 2016 GIANLUCA VENEZIANI
Dopo la fine della storia è tempo di annunciare anche la fine della democrazia liberale? Con un approccio scientifico, quasi clinico, Lorenzo Castellani, nel saggio densissimo ( Guerini e Associati, pp. 160, euro 16) tasta il polso alle democrazie occidentali, ne registra i sintomi di malessere e ne prescrive le possibili cure.
L’analisi dell'autore è realista, tutt’altro che ideologica. Innanzitutto, si fonda sul concetto che le democrazie liberali, come ogni altra realtà storica, siano un’invenzione umana e possano finire. In secondo luogo, parte dalla convinzione che sia fallito il progetto di esportare la democrazia liberale nel mondo, essendo questa «un regime politico ben delimitato geograficamente». In terza istanza, muove dalla tesi che non esista una connessione necessaria - parafrasando Max Weber - tra «etica liberale» e «spirito del capitalismo» (e, a riprova, Castellani cita i casi di «capitalismo autoritario» quali la Cina, Singapore ecc.).
Poste queste premesse, l’autore si inoltra nella diagnosi delle patologie. La democrazia - sostiene - è affetta innanzitutto da «vetocrazia», cioè dall’incapacità strutturale di prendere decisioni e di farlo in tempi rapidi; è poi malata di burocrazia, che rallenta ulteriormente i tempi della politica, causa sprechi ed è oggetto di clientelismo; soffre quindi di una giustizia ingombrante, che mette sotto processo la politica, pretende di farne le veci e ne modifica la natura: da qui il «potere vuoto» di cui parla il titolo (quello legislativo ed esecutivo), rimpiazzato dal potere giudiziario; ed è infine portatrice insana di corruzione, per via dell’eccessiva commistione tra Stato e mercato.
A questi malesseri si aggiungono altri fenomeni sintomatici come la scomparsa delle mediazioni tra potere ed elettore, favorita dagli strumenti tecnologici, con conseguente svuotamento della forma partito tradizionale: da qui il rafforzamento della leadership e la personalizzazione del processo elettorale. Ma pesano anche il ruolo decisionale assunto, grazie alla globalizzazione, da organi indipendenti ( authorities e banche centrali), esterni sia alla politica che ai confini nazionali; nonché l’opera di supplenza svolta dai tecnici, che accentuano la tendenza verso la depoliticizzazione.
Questa dinamica, secondo Castellani, non va fermata ma adattata alle strutture delle democrazie liberali, attraverso un loro aggiornamento. Ne deriva un decalogo finale, che suona come un vademecum per curare il “malato”. Si va dal rafforzamento dell’esecutivo, tramite presidenzialismo e sistema maggioritario, al decentramento dei luoghi di potere grazie a governance multilivello, fino alla velocità decisionale assicurata dalla capacità di fissare pochi grandi obiettivi e portarli a termine (la cosiddetta «deliverology) e al ripensamento della struttura-partito nei suoi strumenti e procedure (più Internet e più primarie).
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