martedì 25 ottobre 2016
«Da bambina l’umiltà era il mio unico vizio»: storia narcisistica della matematica
Risvolto
I matematici sono uomini come tutti gli altri,
alle prese con un talento spesso precoce, imperativo
e solitario. Cosí le loro grandi scoperte sono anche
vicende di padri e figli, balistica e cibernetica, amori
e fallimenti, ostinazione e fortuna.
Attraverso le storie di sei matematici veri
e uno finto, Chiara Valerio ci racconta la seduzione
della piú inafferrabile delle scienze esatte.
Se la letteratura nasce quando qualcuno
urla al lupo e il lupo non c'è, e la fisica
comincia quando qualcuno capisce come
accendere il fuoco strofinando le pietre,
la matematica quando nasce?
La matematica nasce perché gli esseri
umani sono impazienti. Torneranno i
lupi, saranno piú di noi? Quanto ci vuole
per accendere il fuoco con i sassi? Gli
esseri umani hanno bisogno di segnare il
tempo, un prima un dopo. E per segnare
il tempo si sono inventati i numeri: allineare
sassolini uno dietro l'altro, annodare
un filo, stabilire una successione.
È questa la storia avvincente e vertiginosa
che ci racconta Chiara Valerio, attraverso
le vite di sette matematici - sei veri
e uno finto. Perché la matematica è una
forma di immaginazione che educa all'invisibile,
e allora ripercorrere le vite di chi
ha così esercitato la fantasia ci permette
di capire quella grammatica che descrive e
costruisce il mondo ricordandoci costantemente
che siamo umani.
Per capire come János Bolyai, matematico,
abbia risolto il problema delle parallele,
bisogna tornare indietro di una vita,
a Farkas Bolyai, suo padre, matematico.
Senza Mauro Picone, giovane matematico,
sull'altopiano della Bainsizza - lo
stesso di Emilio Lussu - l'esercito italiano
non avrebbe mai potuto fare la guerra.
Se Alan Turing, il risolutore di Enigma,
desiderava ardentemente essere una
macchina, Norbert Wiener, il padre della
cibernetica, non avrebbe mai e poi mai
voluto essere un bambino prodigio: entrambi
tuttavia progettavano automi. Se Lev Landau, fisico e matematico valentissimo,
non muore in un incidente sulla
strada che da Mosca porta a Dubna,
è perché in ospedale, oltre ai medici migliori
di tutte le Russie, arrivano i fisici
piú preparati di tutte le Russie.
Chiara Valerio ci dimostra come ragione
e sentimento, irrazionale e razionale,
reale e immaginario non siano concetti
opposti ma possibilità dell'essere. La capacità
di calcolare il mondo lo determina
nel momento stesso in cui lo descrive,
attraversando i confini, le epoche storiche
e le generazioni. La matematica nasce
perché gli esseri umani sono fatti della
stessa sostanza di cui è fatto il tempo.
di Umberto Bottazzini Domenicale 09 settembre 2016
Il congedo dall’assoluto è una luminosa combinazione
SCAFFALE. «Storia umana della matematica» di Chiara Valerio, per Einaudi. Da Bolyai a Picone, Landau e Wiener, tra comprensione del mondo e biografie illustri
Alessandra Pigliaru Manifesto 25.10.2016, 23:43
Nell’incipit del film Drowning by numbers, Peter Greenaway affida a una bambina la nominazione delle stelle. Mentre salta la corda, lei le conta una per una fino ad arrivare a cento. Un cielo notturno e gravido sovrasta quella assorta figuretta, soccorsa da una memoria formidabile e dall’idea che debba andare fino in fondo per sistemare addirittura il firmamento. O forse per decifrarne il peso. Storia umana della matematica (Einaudi, pp. 162, euro 18), l’ultimo libro di Chiara Valerio, ha al fondo lo stesso dolente stupore. A differenza di Greenaway, qui non si ha però paura di affogare nei numeri.
La matematica, «questa immaginazione che educa all’invisibile, dunque all’amore e ai morti, alle utopie e ai fantasmi», consente all’autrice di rispondere alla propria impazienza riguardo la realtà e la verità. Le teorie, e soprattutto le vicende, di sei grandi matematici servono così per declinare il corso della comprensione del mondo; l’intreccio, non solo in exitu, con la biografia di Chiara Valerio riferisce un oggetto letterario che non può essere rubricato in una semplice opera divulgativa di ammirazione verso i maestri. Storia umana della matematica spalanca piuttosto all’intrusione irriducibile che è la vita stessa. Dalla fine del Settecento e lungo due secoli, viene segnato il passaggio dall’assoluto di tempo e spazio, individuato da kantiani di ferro come Farkas e János Bolyai, padre e figlio, alla percezione di dimensioni più umane da parte di Bernard Rimenann che riequilibra l’ordito rilanciato poi da Pierre Simon-Laplace nel suo sistema dell’universo e del caso. Si arriva a Mauro Picone per cui il calcolo, compreso quello differenziale, può essere uno strumento utile alla risoluzione di problemi pratici, infine il fisico Lev Landau e Norbert Wiener che con la cibernetica e le sue ricerche sul linguaggio ha fornito nitido il nodo tra umano e macchina.
In questo passaggio, di epoca, di modello culturale e sociale, di contesto materiale e di letture, Chiara Valerio racconta la storia della perdita degli assoluti e della ragazzina che ci giocava intorno prima con fiducia imperitura e poi, cioè ora, con disincanto più appropriato. È la storia non di un liscio progresso scientifico bensì di un percorso a inciampi in cui l’errore e l’imperfezione mettono al sicuro dall’onnipotenza, corroborando o confutando lo stato delle cose.
E «se la matematica è la scienza degli occhi», l’atto dell’attraversare le cose è per Chiara Valerio molto simile a quello dello sguardo, stupefatto sottofondo in cui esistere significa fare i conti con il proprio apprendistato all’attenzione, consapevoli che la qualità del vedere e del guardare non è provvista della stessa stoffa. Nella prima sta la matematica come forma della chiarezza e distinzione, della battaglia delle certezze acquisite messe costantemente alla prova dal tribunale della ragione. La matematica in quella prima forma e qualità è simile all’entusiasmo della sedia vicina alla porta di casa da cui Chiara Valerio, piccola, si sollevava in piedi per le scoperte da comunicare al padre appena rientrato dal lavoro. Quella minuscola sedia che, mano a mano, assume una proporzione più scomoda quando il corpo comincia a crescere. Nella seconda qualità, dello sguardo, dimora invece qualcosa di più imprendibile perché si sottrae all’ansia spiegatizia e fa franare ciò che si credeva non negoziabile: la scoperta del proprio sé, un sentiero in cui la relazione invisibile è tra intelligenza e amore. Non solo per la devozione contagiosa che l’autrice dedica ai libri che hanno segnato la sua formazione, piuttosto per una lotta con la fame di conoscenza, languore strenuo e dotato di candore con cui cerca di fare ordine nel caos; è il rintocco della tigre desiderata nell’infanzia e poi trasformata in metafora. Perché la letteratura si occupa della misura, seppure nel perturbante dell’inaddomesticato.
Numeri e parole sono allora limitrofi più di quanto si immagini. È ciò che resta dell’a priori alla prova dello strappo della presa di coscienza. Quando si comprende che le forme non tradiscono mai, solo a patto di non essere incarnate. Quando cioè si abbandona l’illusione di controllare l’immutabile e si accetta la transitorietà. Il momento del lasciare andare ci tiene al sicuro, perché finalmente «gli altri ci salvano dall’impazzire (…), sono il faticoso modo per non perdere il senso delle proporzioni». E la bambina che contava con diligenza il firmamento sceglie l’invenzione amorosa del mondo e diventa una scrittrice.
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