mercoledì 26 ottobre 2016

L'olocausto e la diaspora palestinese nella mostra degli archivi dell'OLP in Libano

SEA OF STORIES: VOYAGES OF THE PALESTINIAN ARCHIVES


Segnato da ritorni impossibili, il Mediterraneo che interroga il mondo 

MOSTRE. «Mare di storie» al Museo libanese Dar El-Nimer For Arts and Culture di Beirut fino al 31 ottobre nell'ambito della biennale Qalandiya International, giunta alla terza edizione. Un denso viaggio attraverso gli archivi del movimento palestinese
Sonia Grieco Manifesto 26.10.2016, 17:58 
A bordo delle navi che all’inizio del settembre 1982 salparono dal porto di Beirut, Libano, non c’erano soltanto Yasser Arafat e circa 15mila guerriglieri dell’Olp, ma anche molti documenti, fotografie e video che componevano un archivio sulla permanenza dei rifugiati palestinesi nel Paese dei cedri e, più in generale, sulla storia di questo popolo. 
Il materiale seguì le rotte della diaspora palestinese nel Mediterraneo, disseminandosi e perdendosi per il mondo. Il viaggio degli archivi del movimento nazionale palestinese in Libano apre la mostra Mare di storie, organizzata al museo Dar El-Nimer for Arts and Culture di Beirut nell’ambito della biennale Qalandiya International (QI), giunta alla terza edizione. 
Il titolo scelto quest’anno, «Questo mare è mio», fa riferimento al Mediterraneo: il mare negato alla Palestina (a Gaza è un accesso bloccato), solcato dai palestinesi in viaggi di sola andata e oggi teatro di nuove diaspore e tragedie. Fino al 31 ottobre, 16 organizzazioni artistiche e culturali organizzano mostre, proiezioni, performance, workshop, incontri e tour nelle città e nei villaggi palestinesi (Haifa, Gaza, Gerusalemme, Ramallah, Betlemme) e all’estero (Amman, Londra, Beirut) sui temi del diritto al ritorno e dell’esilio. 
I porti libanesi sono stati l’approdo di molti palestinesi sin dal 1948 (anno della fondazione di Israele e dell’esodo dei palestinesi) e tanti campi palestinesi si trovano nelle città costiere, o persino a ridosso della spiaggia. Il Mediterraneo è stato «arato» (nelle parole del poeta Tawfiq Zayyad) molte volte dai palestinesi, nell’attesa e nella speranza del ritorno, e anche la storia degli archivi del movimento nazionale palestinese racconta l’esilio e la frammentazione che segnano gli ultimi settant’anni di questo popolo. Partendo dalla storica data del 1982, la mostra «Mare di storie» inizia con la ricostruzione del viaggio di questi archivi attraverso il Mediterraneo, spiegando quanto di questo materiale è andato perso o diviso in diverse località. 
«Forse si pensa che l’Olp trascurasse questo aspetto, invece negli anni libanesi aveva raccolto e organizzato in maniera professionale molto materiale. Tutto è stato documentato molto bene», spiega Rasha Salah, curatrice della mostra. «Era stata compresa l’importanza degli archivi e quelli libanesi (e giordani) sono gli anni meglio documentati della storia palestinese».
Le vicende di questi archivi e il tema del ritorno, sempre presente nella comunità palestinese del Libano, che è quella che patisce di più l’esilio tra quelle disperse nel mondo, sono raccontati attraverso una combinazione d’installazioni e progetti digitali. 
In una sala di controllo, opera interattiva degli artisti Ahmad Barclay e Hana Sleiman, si può visionare su un maxischermo quanto rimasto degli archivi scegliendo fra tre percorsi: quello del Palestinian cinema institute, quello del Centro di ricerca dell’Olp e quello dell’agenzia stampa palestinese Wafa. «Molti fotografi dell’agenzia lasciarono il Libano portando con sé i negativi delle foto scattate, tanti sono andati perduti», spiega Rasha Salah. 
L’opera prosegue in un corridoio sulla cui parete è proiettato il video della stretta di mano tra Arafat e il presidente Usa Bill Clinton, che suggella gli Accordi di Oslo. «Da questo momento in poi i palestinesi sono stati messi di fronte a una scelta: ricordare o dimenticare», continua la curatrice. La porta alla destra del filmato è quella del ricordo, degli archivi sparsi negli anni tra Gaza, Gerusalemme, Ramallah, l’Algeria, l’Italia e altri paesi. A Roma la filmaker Monica Maurer porta avanti un progetto di digitalizzazione di bobine che documentano la storia del movimento di liberazione palestinese in Libano. Nella stanza sulla sinistra, quella dell’oblio, è stata ricostruita la sala conferenze degli Archivi nazionali palestinesi: una stanza vuota.
«Stiamo perdendo i nostri archivi, sono disseminati ovunque nel mondo. È un disastro. Se perdiamo questi documenti, mentre i testimoni dell’esodo stanno scomparendo, perdiamo parte della nostra storia e non è possibile immaginare il ritorno senza la memoria», dice Salah. 
Il tour della mostra prosegue con «L’onda», installazione dell’artista palestinese nato e cresciuto a Sabra, Beirut. Un’onda di filo spinato, il materiale delle barriere innalzate ai confini, che parla di un mare diventato luogo di morte per i rifugiati odierni. Mentre Kamal Aljafari nel filmato «Recollection» ha affidato all’immaginazione la riappropriazione dei luoghi perduti. L’artista ha selezionato cinquanta filmati israeliani e statunitensi girati a Jaffa tra gli anni Sessanta e Novanta e ha rimosso manualmente gli attori israeliani. I filmati che dovevano servire a giustificare la presenza israeliana in Palestina diventano il set di un sogno: il ritorno, quello immaginato dalla personale prospettiva dell’artista. 
La relazione con il mare, come via di un ritorno impossibile, è al centro della performance «Camp pause», un progetto del gruppo Dictaphone realizzato nel campo palestinese di Rashidieh, sul mare a sud di Tiro. Il più vicino alla Palestina. Quattro abitanti del campo raccontano la propria vita quotidiana, il proprio rapporto con il mare e come immaginano il proprio ritorno. I racconti si ascoltano individualmente seduti al centro di una stanza sulle cui pareti scorrono i video girati nel campo. 
La mostra si conclude con alcuni pezzi dell’esposizione permanente del museo, tra cui l’autoritratto fotografico di Tarek Al-Ghoussein, in cui l’artista palestinese che vive in Kuwait dà le spalle alla camera (come Hanzala, il personaggio delle vignette di Naji Salim al-Ali) mentre, con indosso la kefiah, dalla Giordania rivolge lo sguardo alla Palestina sull’altra sponda del mar Morto.

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