giovedì 27 ottobre 2016
L'ultima resistenza della distinzione austera contro la società di massa: Poulet e la plebe
Risvolto
"Qualche riferimento potrà sembrare datato ma
questo libro è il documento di un'epoca e conserva, piaccia o no, quei
difetti che si trovano anche nei classici. Il colpo di fioretto a
Brigitte Bardot, per esempio, il cui culto è considerato da Poulet
l'ultima conseguenza della Rivoluzione Francese, oggi potrebbe essere
decisamente più forte con altri e infimi esempi, anche perché la celebre
attrice ha acquisito negli ultimi decenni una dignità esistenziale e
artistica che nel 1967 era difficile se non impossibile prevedere. Forse
allora l'autore di questo libello la prese di mira per la popolarità
che aveva raggiunto, forse perché era stata intervistata da Simone de
Beauvoir (in un tempo in cui Alberto Moravia firmava un'analoga operetta
con Claudia Cardinale), difficile dirlo con certezza. Ma questo è un
esempio tra i tanti. Fatte le debite proporzioni, ci si accorge che non è
il singolo caso che tiene in piedi l'ideologia di Poulet, ma una
visione delle cose completamente opposta a quella attuale. Il valore del
libro è da cercarsi nella palestra di idee (sbagliate per il nostro
tempo) che l'autore riesce ad attivare in ogni capitolo. Ci sono letture
che sviluppano l'elasticità mentale, magari facendoci ragionare su cose
che rifiutiamo per istinto... Poulet ne raccoglie in gran quantità."
(Armando Torno)
Contro Poulet Maledetto senza rimorsi
Claudio Gallo Busiarda 27 10 2016
Meglio affrettarsi a prendere le distanze: se non si può salvare l’autore, almeno si metta al sicuro il recensore. Contro la plebe (Medusa, pp. 139, € 15), scritto da Robert Poulet nel 1967, è un libro votato al rogo. Pieno di idee stantie di un secolo maledetto, improponibili oggi. Finita qui, allora? No, a leggerlo quasi fosse una raccolta di aforismi, si scopre, tra elucubrazioni confuse e infelici, qualche perla che anacronisticamente ci sussurra qualcosa di oggi. Scatta così un corto circuito ironico, o almeno sarcastico, che ci rammenta di non vivere il presente come una religione.
Non ha una sola carta in regola Poulet: giornalista collaborazionista nel Belgio occupato, monarchico, ammiratore di Maurras, dadaista, ultracattolico, anticomunista viscerale, amico di Céline («rincoglionito carissimo») e del negazionista Faurisson. Condannato a morte e graziato, per un mese non riuscirà a vedere la caduta del muro di Berlino. Se n’è andato lasciando un’autobiografia dal titolo: Questa non è una vita. Contro la plebe fa parte di una serie di pamphlet all’insegna dell’invettiva: contro l’amore, la gioventù, l’automobile, completata nel 1978 da un J’accuse la bourgeoisie.
Al di là del livore antiplebeo, Poulet sembra a tratti riecheggiare posizioni della scuola di Francoforte, anche se le sue idiosincrasie non gli permettono di cogliere chiaramente le dinamiche della società dei consumi. Ma un po’ di fiuto bisogna riconoscerglielo: «Quello che irrita, con la libertà astratta - scrive - è che, quando la si possiede, si smette ben presto di praticare le libertà concrete». Il problema di Poulet è che la sua critica rabbiosa divora qualsiasi cosa, anche se stessa. L’élite che dovrebbe contrapporsi alla plebe alla fine scompare in poche notazioni mitiche, oppure nella serie infinita delle false élite. Gli manca l’equilibrio di un Chesterton quando sentenzia: «La democrazia è il governo degli ineducati, l’aristocrazia quello dei maleducati».
Nell’introduzione, Armando Torno ci dà una chiave di lettura: «Ci sono libri che sviluppano l’elasticità mentale, magari facendoci ragionare su cose che rifiutiamo per istinto, che ci irritano, o che nemmeno riusciremmo a immaginare».
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
Meglio affrettarsi a prendere le distanze: se non si può salvare l’autore, almeno si metta al sicuro il recensore. Contro la plebe (Medusa, pp. 139, € 15), scritto da Robert Poulet nel 1967, è un libro votato al rogo. Pieno di idee stantie di un secolo maledetto, improponibili oggi. Finita qui, allora? No, a leggerlo quasi fosse una raccolta di aforismi, si scopre, tra elucubrazioni confuse e infelici, qualche perla che anacronisticamente ci sussurra qualcosa di oggi. Scatta così un corto circuito ironico, o almeno sarcastico, che ci rammenta di non vivere il presente come una religione.
Non ha una sola carta in regola Poulet: giornalista collaborazionista nel Belgio occupato, monarchico, ammiratore di Maurras, dadaista, ultracattolico, anticomunista viscerale, amico di Céline («rincoglionito carissimo») e del negazionista Faurisson. Condannato a morte e graziato, per un mese non riuscirà a vedere la caduta del muro di Berlino. Se n’è andato lasciando un’autobiografia dal titolo: Questa non è una vita. Contro la plebe fa parte di una serie di pamphlet all’insegna dell’invettiva: contro l’amore, la gioventù, l’automobile, completata nel 1978 da un J’accuse la bourgeoisie.
Al di là del livore antiplebeo, Poulet sembra a tratti riecheggiare posizioni della scuola di Francoforte, anche se le sue idiosincrasie non gli permettono di cogliere chiaramente le dinamiche della società dei consumi. Ma un po’ di fiuto bisogna riconoscerglielo: «Quello che irrita, con la libertà astratta - scrive - è che, quando la si possiede, si smette ben presto di praticare le libertà concrete». Il problema di Poulet è che la sua critica rabbiosa divora qualsiasi cosa, anche se stessa. L’élite che dovrebbe contrapporsi alla plebe alla fine scompare in poche notazioni mitiche, oppure nella serie infinita delle false élite. Gli manca l’equilibrio di un Chesterton quando sentenzia: «La democrazia è il governo degli ineducati, l’aristocrazia quello dei maleducati».
Nell’introduzione, Armando Torno ci dà una chiave di lettura: «Ci sono libri che sviluppano l’elasticità mentale, magari facendoci ragionare su cose che rifiutiamo per istinto, che ci irritano, o che nemmeno riusciremmo a immaginare».
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Meglio affrettarsi a prendere le distanze: se non si può salvare l’autore, almeno si metta al sicuro il recensore. Contro la plebe (Medusa, pp. 139, € 15), scritto da Robert Poulet nel 1967, è un libro votato al rogo. Pieno di idee stantie di un secolo maledetto, improponibili oggi. Finita qui, allora? No, a leggerlo quasi fosse una raccolta di aforismi, si scopre, tra elucubrazioni confuse e infelici, qualche perla che anacronisticamente ci sussurra qualcosa di oggi. Scatta così un corto circuito ironico, o almeno sarcastico, che ci rammenta di non vivere il presente come una religione.
Non ha una sola carta in regola Poulet: giornalista collaborazionista nel Belgio occupato, monarchico, ammiratore di Maurras, dadaista, ultracattolico, anticomunista viscerale, amico di Céline («rincoglionito carissimo») e del negazionista Faurisson. Condannato a morte e graziato, per un mese non riuscirà a vedere la caduta del muro di Berlino. Se n’è andato lasciando un’autobiografia dal titolo: Questa non è una vita. Contro la plebe fa parte di una serie di pamphlet all’insegna dell’invettiva: contro l’amore, la gioventù, l’automobile, completata nel 1978 da un J’accuse la bourgeoisie.
Al di là del livore antiplebeo, Poulet sembra a tratti riecheggiare posizioni della scuola di Francoforte, anche se le sue idiosincrasie non gli permettono di cogliere chiaramente le dinamiche della società dei consumi. Ma un po’ di fiuto bisogna riconoscerglielo: «Quello che irrita, con la libertà astratta - scrive - è che, quando la si possiede, si smette ben presto di praticare le libertà concrete». Il problema di Poulet è che la sua critica rabbiosa divora qualsiasi cosa, anche se stessa. L’élite che dovrebbe contrapporsi alla plebe alla fine scompare in poche notazioni mitiche, oppure nella serie infinita delle false élite. Gli manca l’equilibrio di un Chesterton quando sentenzia: «La democrazia è il governo degli ineducati, l’aristocrazia quello dei maleducati».
Nell’introduzione, Armando Torno ci dà una chiave di lettura: «Ci sono libri che sviluppano l’elasticità mentale, magari facendoci ragionare su cose che rifiutiamo per istinto, che ci irritano, o che nemmeno riusciremmo a immaginare».
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Meglio affrettarsi a prendere le distanze: se non si può salvare l’autore, almeno si metta al sicuro il recensore. Contro la plebe (Medusa, pp. 139, € 15), scritto da Robert Poulet nel 1967, è un libro votato al rogo. Pieno di idee stantie di un secolo maledetto, improponibili oggi. Finita qui, allora? No, a leggerlo quasi fosse una raccolta di aforismi, si scopre, tra elucubrazioni confuse e infelici, qualche perla che anacronisticamente ci sussurra qualcosa di oggi. Scatta così un corto circuito ironico, o almeno sarcastico, che ci rammenta di non vivere il presente come una religione.
Non ha una sola carta in regola Poulet: giornalista collaborazionista nel Belgio occupato, monarchico, ammiratore di Maurras, dadaista, ultracattolico, anticomunista viscerale, amico di Céline («rincoglionito carissimo») e del negazionista Faurisson. Condannato a morte e graziato, per un mese non riuscirà a vedere la caduta del muro di Berlino. Se n’è andato lasciando un’autobiografia dal titolo: Questa non è una vita. Contro la plebe fa parte di una serie di pamphlet all’insegna dell’invettiva: contro l’amore, la gioventù, l’automobile, completata nel 1978 da un J’accuse la bourgeoisie.
Al di là del livore antiplebeo, Poulet sembra a tratti riecheggiare posizioni della scuola di Francoforte, anche se le sue idiosincrasie non gli permettono di cogliere chiaramente le dinamiche della società dei consumi. Ma un po’ di fiuto bisogna riconoscerglielo: «Quello che irrita, con la libertà astratta - scrive - è che, quando la si possiede, si smette ben presto di praticare le libertà concrete». Il problema di Poulet è che la sua critica rabbiosa divora qualsiasi cosa, anche se stessa. L’élite che dovrebbe contrapporsi alla plebe alla fine scompare in poche notazioni mitiche, oppure nella serie infinita delle false élite. Gli manca l’equilibrio di un Chesterton quando sentenzia: «La democrazia è il governo degli ineducati, l’aristocrazia quello dei maleducati».
Nell’introduzione, Armando Torno ci dà una chiave di lettura: «Ci sono libri che sviluppano l’elasticità mentale, magari facendoci ragionare su cose che rifiutiamo per istinto, che ci irritano, o che nemmeno riusciremmo a immaginare».
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