Era il 31 ottobre 1517 quando il monaco agostiniano Martin Lutero
affisse sul portale della chiesa del castello di Wittenberg – anche se
non tutti sono concordi sulla storicità dell’episodio – le 95 tesi sulle
indulgenze, dando il via alla Riforma protestante.
Domani l’evento sarà ricordato in Svezia, a Lund, sede della
Federazione luterana mondiale (Flm), con un incontro ecumenico che
aprirà gli eventi ufficiali del Cinquecentenario della Riforma. Nella
cattedrale luterana di Lund si ritroveranno insieme il pastore cileno
Martin Junge, segretario generale della Flm, l’arcivescova di Upssala
primate della Chiesa luterana svedese Antje Jackélen, e papa Francesco,
per una commemorazione e una preghiera comune che non sancirà la
ritrovata unità fra protestanti e cattolici – troppi i nodi teologici ed
ecclesiali che separano le due confessioni – ma che sarà un ulteriore
tassello del dialogo cominciato cinquanta anni fa.
Nella Chiesa «costantiniana» collusa con il potere e diventata
mondana, ricca e corrotta, della necessità di una riforma si parlava già
nel XII secolo, con i «pionieri» Valdo di Lione e Francesco d’Assisi,
il primo dichiarato eretico, il secondo ricondotto all’ordine e
«normalizzato» post mortem. Poi nel ‘500 partì la grande campagna di
vendita delle indulgenze per costruire la basilica di San Pietro, e in
Germania, dove il monaco domenicano Johann Tetzel (in accordo con papa
Leone X e l’arcivescovo di Magdeburgo Alberto di Hohenzollern) predicava
che «quando il soldo suona nella cassetta, l’anima in cielo sale
benedetta», Lutero prese posizione, per riportare il Vangelo alla sua
essenzialità, affermando che la salvezza non si comprava, ma si
raggiungeva solo con la fede e per grazia di Dio. Fu scomunicato da
Leone X e di lì a poco, nel contesto decisivo dello scontro fra papato,
impero e principi tedeschi – durante il quale furono massacrati anche
migliaia di contadini, la cui rivolta venne condannata da Lutero –,
nacquero le Chiese protestanti.
Dopo secoli di conflitti e scontri, con il Concilio Vaticano II il
dialogo fra protestanti e cattolici fu avviato, e domani il papa va a
Lund, riconoscendo con questo gesto il valore di Lutero, tanto che i
cattolici più reazionari sono critici: è una resa, crea confusione e
alimenta il relativismo.
Non era scontato che il papa partecipasse all’anniversario della
Riforma. Del resto nel 1985, quando era ancora in Argentina, Bergoglio
parlava di Lutero come di un «eretico» e di Calvino come di uno
«scismatico» e di un «boia spirituale», sposando di fatto le tesi
controriformistiche (il testo di Bergoglio, «Chi sono i Gesuiti. Storia
della Compagnia di Gesù», tratto da una conferenza sui gesuiti, è stato
pubblicato in Italia dalla Emi nel 2014).
Ma negli anni ha rielaborato le proprie posizioni. Tornando dal
viaggio in Armenia, nello scorso giugno, il papa ha definito Lutero un
«riformatore» e una «medicina» per tutta la Chiesa. E in un’intervista
al gesuita svedese Ulf Jonsson, pubblicata l’altro ieri su Civilità
Cattolica, ha attribuito a Lutero il merito di «mettere la Parola di Dio
nelle mani del popolo». Tanto che il teologo valdese Paolo Ricca può
affermare che la presenza del papa a Lund «è il riconoscimento che la
Riforma è stata un evento positivo per il cristianesimo nel suo
insieme».
Molte cose dividono protestanti e cattolici. Nodi teologici e
questioni ecclesiali, a partire dal ruolo delle persone omosessuali e
delle donne nelle Chiese protestanti, in cui ricoprono ruoli
ministeriali anche di vertice, come dimostra che ad accogliere il papa a
Lund ci sarà una donna arcivescova, primate della Chiesa luterana
svedese. Ma anche sui temi etici le distanze sono notevoli, basti
pensare alle idee quasi in antitesi su bioetica, fine-vita (in molte
Chiese protestanti si sottoscrivono testamenti biologici) e famiglia. Da
questo punto di vista non sono previsti cambi di direzione di nessun
tipo. Si proseguirà però sulla via dell’ecumenismo «pratico», a partire
dalle emergenze sociali: domani pomeriggio, nella Malmö Arena, sarà
firmato un accordo di cooperazione fra Federazione luterana mondiale e
Caritas internazionale per l’assistenza ai rifugiati di tutto il mondo.
Ritorno a WittenbergDomani papa Francesco ricorderà la Riforma protestante. Noi siamo andati dove tutto iniziò
La cittadina tedesca si prepara ad accogliere i pellegrini. Ma pensando più al business che a DioTONIA MASTROBUONI Reo 30 10 2016
SOTTO QUEI TETTI BUCATI, tra quei muri mangiati dalla muffa, in mezzo alla polvere e ai mattoni sparsi a terra, è nato un pezzo di modernità. Cinquecento anni prima, in quella casa che sembra ormai un rudere, Cranach ha dipinto con i suoi figli alcuni capolavori del secolo. E al pianoterra, nelle sue officine, è stata stampata la prima Bibbia tradotta in tedesco da Martin Lutero. Quel 7 novembre del 1989, il gruppetto di indignati protesta contro la Germania comunista, colpevole di aver disprezzato quei luoghi, di averli ridotti in rovina. Ormai la città di Wittenberg, un luogo dello spirito per milioni di persone, è un buco in provincia, è una grigia striscia di case in cui nessuno dei luoghi deputati della Riforma protestante sembra destinato a sopravvivere.
Due giorni dopo, cade il Muro. L’evoluzione successiva ha consentito di recuperare quei posti — oggi la città è patrimonio dell’Unesco — di ricostruire mattone dopo mattone la storia di un piccolo villaggio della Sassonia che cinquecento anni fa divise il cristianesimo regalando ai tedeschi la loro lingua e un pezzo importante della loro cultura. Come scrisse Thomas Mann in un’introduzione al Faust goethiano: per capire Hitler bisogna capire Lutero. L’insanabile contrasto tra la libertà interiore che il Riformatore regalò ai tedeschi quando tradusse la Bibbia nella loro lingua e la libertà esteriore che gli negò quando ordinò ai principi di soffocare la rivolta dei contadini nel sangue, è anche l’eterno dilemma tedesco.
Ma anche con i cantieri e le gru, gli architetti, i sindaci democratici, le strette di mano e i giornali indipendenti, la sostanza non è cambiata. Anche l’arrivo dell’occidente capitalista non ha ripescato l’anima di Wittenberg. «I comunisti ci hanno fatto dimenticare chi eravamo, ma neanche dopo ce ne siamo più ricordati »: Hannah scuote la testa. Ha ottantatré anni, lo sguardo fiero e i capelli un po’ lilla delle tinte fatte in casa. Avanza lentamente col suo girello verso il centro della città. Non è bastato dipingere di colori pastello la fila di case lungo la Collegienstrasse, la via che collega la dimora di Lutero alla Schlosskirche, dove il monaco affisse nel 1517 le novantacinque tesi con cui avviò la sua rivoluzione. Né è bastato prepararsi al cinquecentesimo anniversario riempiendo le vetrine di cappellini, magliette, portachiavi o boccali di birra con l’effigie della “volpe nel vigneto”, come lo definì la bolla papale che lo scomunicò nel 1521. «Dell’anniversario di Lutero mi importa molto perché sarà bellissimo e ci aspettiamo pellegrini da tutto il mondo», ci dice Joachim, proprietario di uno dei negozi che vende gadget con il volto austero del Riformatore. Ma della religione, ammette, «non mi importa nulla».
Johannes Bloch, parroco della Stadtkirche è un uomo dall’aria mite: «Wittenberg è il nostro Vaticano», spiega, ma a parte i gadget di Lutero, di spiritualità se ne coglie un po’ poca. I tempi in cui gli studenti di Lutero scendevano in piazza a difendere le sue tesi contro i suoi oppositori anche a suon di schiaffoni, in cui bruciavano gli scritti di Johannes Eck in piazza (all’epoca bruciare libri era prassi), in cui una comunità intera, dal principe elettore Federico il Savio all’ultimo degli artigiani, si stringeva attorno all’”eretico”, sono tramontati. Anche la caduta del muro di Berlino e la fine dell’ateismo di Stato non sono riusciti a recuperarla. Ma forse molti fedeli erano spariti prima, nei lunghi secoli in cui Wittenberg è ripiombata nell’oblìo dopo l’incredibile fiammata cinquecentesca in cui era diventata il centro del mondo.
Oggi la Sassonia-Anhalt, lo dicono i dati del censimento del 2011, è la regione più atea della Germania. Nel Land dove Lutero avviò la sua rivoluzione, neanche il quindici per cento degli abitanti è protestante. In particolare Wittenberg, la città dove il teologo agostiniano scrisse le sue opere principali, dove insegnò per decenni, la soprintendenza ecclesiastica ci ha informato che sono appena ottomila i protestanti, su cinquantamila abitanti. Il sedici per cento della popolazione. E la chiesa dove Lutero predicò per la prima volta in tedesco, la Stadtkirche, la chiesa di Bloch che vanta tuttora la comunità più ampia, conta appena tremilacinquecento fedeli.
All’interno della chiesa, quasi interamente ricostruita, la pala dell’altare sembra la perfetta rappresentazione della Sternstunde, l’ora stellare di Wittenberg, come l’avrebbe definita Stefan Zweig. È il famoso altare di Cranach, molto probabilmente dipinto dal figlio Lucas, e vi compaiono tutti i protagonisti di quella brevissima ma intensa stagione che coincise con il governo di Federico il Savio. Un allineamento fortunato di pianeti che produsse l’ora stellare della Riforma. Fu il principe elettore sassone a scegliere Wittenberg come residenza di corte, a chiamare Cranach padre come suo pittore, a costruire l’università Leucorea, ad ampliare la Schlosskirche dove furono affisse le novantacinque tesi di Lutero. In quegli anni fu chiamato a Wittenberg un enfant prodige di cui parlava già tutto il regno, un grecista prodigioso, il ventunenne Filippo Melantone, che fece parte della cerchia di Lutero e che ne soffrì talmente l’esilio sulla Wartburg, dove il Riformatore scappò dal bando papale per tradurre la Bibbia, da definirne la lontananza «insopportabile ». Fu sempre Federico a favorire uno straordinario intreccio di relazioni che trasformarono quel piccolo villaggio di duemila anime — dove Lutero arrivò nel 1508 lamentandosi di essere stato mandato in termino civilitatis, alla “fine della civilità” mentre Melantone parlò di un “deserto” — in pochissimi anni nel centro del mondo. Oggi il periodo del Riformatore a Wittenberg può essere paragonato con quello di Goethe a Weimar. E Lutero non era un monaco solitario: padrino di Lucas Cranach, di cui fu a sua volta testimone di nozze, legatissimo a Melantone, in costante dialogo con il principe attraverso Spalatino (Lutero e Federico non si incontrarono mai), si costruì una fitta rete di intrecci in città che fu la base ideale per la Riforma. Con la morte del principe, si chiusero anche quegli straordinari decenni, quella Sternstunde. Al suo successore fu strappato il titolo di elettore e Wittenberg riprecipitò nell’oblìo.
In vista dell’anniversario delle novantacinque tesi, la città è ridiventata un cantiere. Poco dopo la stazione centrale che un piccolo esercito di operai sta ampliando, sulla strada che porta alla casa di Lutero, ci si imbatte in un gigantesco cilindro rosso che vuol essere il benvenuto ai pellegrini e ai turisti. All’interno, l’artista iraniano Yadegar Asisi ha ricostruito la città cinquecentesca a trecentosessanta gradi, in un gigantesco panorama che rappresenta le scene salienti della vita di Lutero. Qualche metro più in là, la casa del monaco. Purtroppo sarà chiusa per restauri fino a marzo del 2017, nel bel mezzo dell’anniversario. Forse ci si poteva muovere un po’ prima del quattrocentonovantanovesimo anno e mezzo per cominciare i lavori.
Una delle iniziative di cui gli organizzatori del “Lutherjahr”, l’anno di Lutero, vanno più fieri è il trucktour. Una ventina di volontari giovanissimi faranno un giro dell’Europa in sessantotto tappe con un camion speciale per raccogliere storie sulla Riforma. Il camion, dipinto di blu come i colori dell’Europa, si apre di lato e diventa un piccolo palcoscenico per discussioni pubbliche, per la raccolta delle storie o per informarsi sul Riformatore. Christof Vetter, direttore marketing delle celebrazioni dell’anniversario, spiega che il truck si fermerà anche a Roma. Incontrerete il Papa?, chiediamo. «No, ma una comunità cattolica e una protestante». Spontaneo domandare se il Papa è stato invitato a Wittenberg. Pausa. Vetter fissa un punto imprecisato sul tetto del camion. «L’anno prossimo», scandisce lentamente, «tutti i cristiani saranno i benvenuti, qui a Wittenberg». Anche il Papa? «Persino il Papa». ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Lutero superstar
AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI Rep 30 10 2016
LUTERO SFERRÒ QUINDI UN ATTACCO FRONTALE contro uno dei principali sostegni del sistema finanziario della Chiesa di allora, delegittimando nello stesso tempo la funzione di mediazione spirituale e sacramentale del papato. Ed è per questo duplice motivo che le “tesi di Wittenberg” ebbero uno straordinario successo. Non a caso, Silvestro Mazzolini da Prieiro, maestro del sacro palazzo vaticano, il cui compito era analogo a quello che svolge oggi il prefetto della Congregazione per la dottrina della Chiesa (l’ex Sant’Uffizio), polemizzò con Lutero pubblicando a Roma, già nel 1518, un Dialogo contro le conclusioni presuntuose di Lutero intorno al potere papale.
Ad Augsburg, ai margini della Dieta imperiale (ottobre 1518), Lutero ebbe un incontro con un altro ben più celebre domenicano, il cardinale legato Tommaso De Vio, il quale chiese a Lutero di ritrattare. L’agostiniano preferì però appellarsi direttamente a Leone X, perché, disse, «è stato male informato». Lutero non ruppe allora con Roma, ma discusse sempre più apertamente la legittimità dell’autorità papale. A Lipsia, durante una disputa (giugno-luglio 1519), dichiarò che la Chiesa non ha bisogno di un capo terreno, perché Cristo è il suo capo e la roccia sulla quale si fonda la fede è Cristo e non il successore di Pietro.
Roma reagì allora ufficialmente. Il 15 giugno 1520 Leone X autorizzò l’apertura di un processo contro Lutero che fu chiamato nuovamente a ritrattare, non tutte, bensì quarantuno tesi di Wittenberg entro sessanta giorni, pena la scomunica. Le tesi condannate erano soprattutto quelle che mettevano in discussione i sacramenti e la mediazione spirituale del papato. Furono lasciate fuori tesi ripetitive o che non toccavano temi così fondamentali. Lutero non si recò a Roma per il processo, preferendo rimanere sotto la protezione del principe di Sassonia. Al Papa inviò il Trattato della libertà cristiana con una lunga lettera dedicatoria in cui espose la sua visione della Chiesa. Al Papa, Lutero riservò parole di rispetto e di elogio: «Il tuo buon nome e la fama della tua vita irreprensibile... non possono essere attaccati da nessuno». Feroce fu invece la polemica nei confronti della curia: il Papa «non può negare sia più corrotta di qualunque Babilonia o Sodoma» e «Satana in persona... regna... su questa Babilonia ».
Due mesi dopo (10 dicembre) Lutero diede pubblicamente fuoco alla bolla papale. Il 3 gennaio 1521 Leone X scomunicò l’agostiniano e alla Dieta imperiale di Worms (26 aprile) Carlo V fece mettere il frate al bando dell’Impero, una decisione che contribuì a politicizzare lo scontro tra Lutero e la Chiesa. Con straordinaria rapidità le idee di Lutero si stavano diffondendo nelle città libere dell’Impero, da Norimberga a Strasburgo, o a Zurigo, dove il teologo svizzero Ulrich Zwingli organizzò già nel 1523 una disputa per discutere settantasette tesi secondo cui la fede è suscitata nell’uomo direttamente dallo Spirito. Spettacolare, il successo della traduzione di Lutero della Bibbia — nel 1522 il Nuovo Testamento fu pubblicato in tremila esemplari — non si spiega soltanto perché fu un capolavoro sul piano linguistico. Per Lutero — e per la Riforma in generale — la Bibbia è l’unica fonte della Rivelazione, il che elimina la necessità di una mediazione dottrinale della Chiesa. In pochi anni, le differenze con i cattolici si erano dunque acuite: se per Lutero soltanto Cristo è il capo della Chiesa, e non il Papa, la sola autorità che conta non deriva dall’autorità della Chiesa ma dalla Parola di Dio che ogni fedele riceve dalla lettura della Bibbia. Fu con questi argomenti che, fin dagli anni 1517-1522, si venne a costruire il profondo diverbio tra cattolicesimo e luteranesimo che si affermò a macchia d’olio in gran parte dell’Europa. Contro il papato di Roma, fondato dal demonio è il titolo di una delle sue ultime opere, scritta un anno prima della sua morte (1545).
La Riforma si affermò anche per motivi politici. Numerosi Stati territoriali tedeschi, dalla Pomerania alla Sassia, potevano così manifestare la loro indipendenza verso l’imperatore. In Danimarca, la Riforma prese piede grazie all’appoggio del re Federico I, e da qui in Norvegia e in Islanda, paesi allora sottomessi alla corona danese. In Svezia, Gustavo I Vasa fece decretare la libera circolazione del Vangelo (1527). A Basilea, Calvino pubblicò la Istituzione della religione cristiana proprio nell’anno in cui (1536) impose la Riforma a Ginevra, che diventò una «Roma protestante ». Già nel 1530 il re d’Inghilterra Enrico VIII fece accettare dal Parlamento il titolo di capo supremo della Chiesa di Inghilterra, e quando l’unione segreta del re con Anna Bolena fu resa pubblica, papa Clemente VII lo minacciò di scomunica. Il re rispose facendo votare dal Parlamento l’Atto di Supremazia (1534). Nel 1538 Paolo III scomunicò il re sciogliendo i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà. Sotto Maria Tudor alcuni credettero che l’Inghilterra sarebbe tornata alla fedeltà verso Roma, ma il lungo regno di Elisabetta I d’Inghilterra (1558-1603) consolidò definitivamente la riforma anglicana.
Insomma, nel corso di pochi decenni l’Europa cristiana si divise profondamente, con regioni dominate dalla Riforma, irrimediabilmente separate da Roma, dove si continuò però a sperare di poter ristabilire l’unità della Chiesa. Convocato dapprima nel 1536 e poi nel 1545, il concilio di Trento si concentrò sui problemi teologici posti da Lutero. Sotto Giulio III una delegazione di protestanti tedeschi partecipò (1551-1552) al concilio ma senza risultati. Dopo una lunga pausa — per Paolo IV il compito di riformare la Chiesa spettava alla Sede apostolica — il Concilio riprese sotto Pio IV e si concluse nel 1563.
Proprio allora (1562) la Francia iniziò a essere dilaniata da una serie di guerre di religione. L’evento più tragico avvenne nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572, festa di san Bartolomeo. Numerosi protestanti erano venuti a Parigi per assistere, il 18 agosto, al matrimonio tra Margherita di Valois (la regina Margot) e il futuro re di Francia Enrico IV, una «unione esecranda » secondo l’espressione del generale dei Gesuiti. Il massacro di san Bartolomeo — così è passato alla storia — fu una strage. Si calcola che furono allora uccisi cinquemila ugonotti.
Con l’editto di Nantes (30 aprile 1598) Enrico IV porrà fine alle sanguinose guerre di religione riconoscendo ai protestanti la libertà di culto nei territori dove erano già insediati, tranne che a Parigi e in alcune città. Due decenni dopo, tra il 1618 e il 1648, fu l’Europa centrale a essere attraversata da uno dei più sanguinosi conflitti della storia europea, la Guerra dei trent’anni. Mezzo secolo dopo, con la revoca dell’editto di Nantes da parte di Luigi XIV (18
ottobre 1685), ripresero in Francia le persecuzioni contro i protestanti. Ventimila ugonotti fuggirono verso l’Inghilterra, la Virginia e la Carolina del Sud, la Germania, la Svizzera e i Paesi Bassi. Anche nello Stato sabaudo i valdesi furono cacciati dalle loro valli. Più di duemila persone trovarono rifugio nella Ginevra protestante, e altri nella Germania luterana.
Sono episodi tragici che fanno parte della nostra memoria collettiva, a ricordo — ora che si celebra il cinquecentesimo anniversario dell’inizio della Riforma protestante — di quei lunghi decenni di storia dell’Europa moderna, in cui incomprensioni e polemiche, stragi e massacri, migrazioni e esodi erano all’ordine del giorno, per ragioni profondamente religiose oltre che politiche.
Lutero, un’eredità nel sociale Manifesto Alberto Corsani 26.10.2017, 0:04
Nel 1917, a 400 anni dalle 95 Tesi di Lutero, varie chiese sorte dalla Riforma si trovarono di fronte a un problema: sentirsi unite da una celebrazione che era motivo di coesione identitaria o prendere atto del fatto che i loro Paesi erano nel bel mezzo di una guerra mondiale? Accettare l’eredità del monaco agostiniano, che fece da cerniera tra il tardo Medioevo e la modernità, o adeguarsi alla politica drammatica di guerra che poneva come prima esigenza quella di combattere il nemico? Per la prima volta, forse, le chiese luterane degli Stati Uniti si sentirono pienamente americane, nonostante la filiazione diretta dalle «chiese sorelle» di Germania. E che dire dei protestanti che in Europa videro i propri territori occupati dalla Germania nazista? Puoi condividere la stessa fede in Dio con coloro che stai combattendo?
FARE I CONTI, oggi, con cinque secoli di Riforma protestante comprende anche questa presa d’atto: per quanto il messaggio della fede in Gesù Cristo sia universale e rivolto all’umanità intera, la famiglia protestante nel mondo, rispetto alla chiesa cattolica romana si vede frazionata, anche se chiunque, a qualunque latitudine può sentirsi partecipe di una comunità cristiana; certo, riunirsi nell’alveo di una chiesa significa pur sempre fare i conti con la dimensione terrena dell’esistenza, dimensione ben lontana dall’essere perfetta; ma d’altra parte nessuna chiesa, nella visione protestante, può pensare di essere l’unica. E infatti quelle nate dalla Riforma hanno anche una identità nazionale, a partire dai valdesi, diffusi come movimento già tre secoli prima di Lutero.
Il concilio di Trento nella chiesa di santa Maria Maggiore
La consapevolezza dei propri limiti caratterizza l’essere protestante: una cognizione di sé che trova il suo naturale sbocco nel radicamento sociale. Se questo per i valdesi si tradusse nella difesa strenua della propria terra di montagna, per tutti tale atteggiamento significò e significa tuttora inserirsi nella società e spendere nella comunità civile la personale risposta alla chiamata (vocazione) ricevuta da parte di Dio, attuando opere mirabili, ma anche nefandezze come il regime sudafricano dell’apartheid, che bestemmiò la dottrina calvinista.
Tuttavia alle infezioni si possono opporre degli anticorpi: è quanto avvenne quando l’Alleanza riformata mondiale (oggi Comunione mondiale di Chiese riformate – ramo calvinista della Riforma) sospese negli anni ottanta due chiese sudafricane di origine olandese, per il sostegno dato al regime razzista; persasene una per strada, l’altra è stata riammessa avendo condannato le proprie posizioni.
Ognuno di noi – a partire dalla definizione di Lutero – è simul iustus et peccator, a un tempo reso giusto da Dio e però pur sempre umano e incline al peccato.
INTORNO A QUESTA dialettica tra universalità e radicamento si sono sviluppate anche le iniziative del 500/mo anniversario, cominciate invero il 31 ottobre 2016 nella cattedrale luterana di Lund in Svezia, con la partecipazione di papa Bergoglio a significare un’auspicata nuova stagione di rapporti fra cattolicesimo e chiese nate dalla Riforma. La sua presenza presso la «famiglia luterana mondiale», pur ponendo problemi a qualche oppositore in casa cattolica, che vedono la Chiesa di Roma «protestantizzarsi», ha fatto capire come vi siano le condizioni per avviare una lettura il più possibile condivisa del passato.
UNO SGUARDO NUOVO per una comprensione nuova, come testimoniato dal bel convegno organizzato nel novembre scorso dalla Conferenza episcopale e dalle chiese evangeliche, proprio nella Trento che fu sede del Concilio, da parte di chiese che hanno un problema in comune: parrocchie cattoliche e chiese del protestantesimo storico si vanno svuotando, sotto l’influsso incrociato di secolarizzazione e progresso scientifico.
LA NATURALE TENDENZA protestante alla coscienza critica (per secoli rubricata alla voce «individualismo protestante») finisce per esporre le chiese della Riforma a un’autocritica serrata, non avvistata per ora all’orizzonte di altre formazioni neo-protestanti (evangelical) che vedono aumentare i fedeli e le presenze ai servizi liturgici, sia in Asia e Africa sia in paesi come il nostro, che accolgono (quando lo fanno) immigrati evangelici di provenienza terzomondiale.
Vi sono anche altri ambiti in cui le chiese nate dalla Riforma si affacciano e dialogano con la Chiesa cattolica (e in parte anche con il mondo ortodosso). Bene avviati ormai da decenni gli studi teologici comuni con le Università cattoliche e le traduzioni e studi filologici sulla Bibbia, sono sotto gli occhi di tutti le sinergie nei settori di accoglienza e assistenza, come testimoniato dai «corridoi umanitari» per richiedenti asilo, avviati nel marzo 2016 dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia con la Comunità di S. Egidio e la Tavola valdese, attraverso un protocollo siglato con i ministeri dell’Interno e degli Esteri, modello ripreso nel corso dell’estate dai protestanti francesi.
LE NOTE DOLENTI si situano a un livello più ecclesiologico che teologico: la strutturazione gerarchica della Chiesa cattolica, nonostante l’opera pluridecennale di alcuni ambiti di avanguardia (per esempio nel campo dei matrimoni interconfessionali), le rende difficile pensare alle altre chiese come sullo stesso piano rispetto a lei. E poi è il piano etico quello che fa più parlare di sé.
Il carattere più normativo che dialogante della Chiesa di Roma è respinto in quanto «impositivo» da parte della cultura laica: procreazione assistita, fine-vita, eutanasia e suicidio assistito, etica sessuale, a fronte di posizioni abbastanza rigide da parte cattolica, fanno registrare una tendenza delle chiese protestanti a puntare molto sull’autonomia e sulla coscienza dell’individuo, in linea con la consuetudine del libero accesso al fondamento della vita cristiana, cioè le Scritture bibliche, sede della rivelazione di Dio all’umanità. Capita però che il mondo non-cattolico in Italia interpreti questa accentuazione di libertà dell’individuo spingendolo «oltre».
IL CREDENTE PROTESTANTE è infatti sì libero, ma «libero per servire», cioè per servire, amandolo, il proprio prossimo (Epistola ai Galati 5, 13): e questo avviene con la cura dei propri simili, all’interno della società e non ai margini di essa; inoltre, è nella società e nella politica che si spende l’esistenza del o della credente protestante, alle prese con la propria coscienza e consapevole di non rappresentare un’intera chiesa.
Alla base di questo atteggiamento, però, è la convinzione che questa libertà non è frutto di nostre conquiste, ma ci è stata data. Più che libero o libera, il (la) protestante sa di essere stato «reso libero», e di questo è grato o grata a Dio. Essere stati resi liberi significa sapere che di questa autonomia un giorno saremo chiamati a rispondere a chi l’ha donata gratuitamente. Ogni risultato è provvisorio, come lo è questo anno di celebrazioni, da intendersi come nuova, ulteriore ripartenza.
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