Pierre Dardot e Christian Laval: Guerra alla democrazia, DeriveApprodi, pp. 140, euro 15
Il respiro breve di un pamphlet
LO SFONDO di Guerra alla democrazia è definito dal processo di radicalizzazione e rafforzamento del «neoliberalismo» negli anni successivi all’inizio della grande crisi economica e finanziaria nel 2007/8. È un processo che andrebbe indagato sulla scala globale che il «neoliberalismo» ha assunto come riferimento fondamentale fin dalla sua origine. Qui tuttavia, coerentemente con i loro obiettivi, Dardot e Laval si soffermano in particolare sull’Europa. Centrale è per loro, del tutto comprensibilmente, la «lezione greca», ovvero la sconfitta del tentativo di Syriza – nella prima metà del 2015 – di rompere politicamente con la continuità neoliberale dell’austerity. Il giudizio è molto netto: «vista da oggi, la partita sembrava truccata. La lezione greca dimostra che nessuna inflessione può venire davvero dall’interno del gioco istituzionale europeo, proprio per la forza del ricatto che viene esercitato sui recalcitranti nei confronti della linea dominante».
QUESTO «RICATTO» ricapitola nella prospettiva di Dardot e Laval i capisaldi del neoliberalismo (in particolare nella sua variante «ordoliberale»), esasperandone le caratteristiche «anti-democratiche» e «oligarchiche». Sono qui ripresi i tratti fondamentali della ricostruzione «genealogica» del neoliberalismo proposta – innestando significative integrazioni e correzioni su una traccia foucaultiana – in La nuova ragione del mondo.
Con quel libro Dardot e Laval hanno contribuito a «spiazzare» l’immagine dominante a «sinistra» del neoliberalismo, criticandone in particolare l’interpretazione puramente «negativa» (smantellamento delle regole, riduzione dei margini d’azione dello Stato). Il neoliberalismo è piuttosto a loro giudizio «una forma di potere positiva e originale», capace di plasmare le «forme di vita» e le «condotte» sincronizzandole alla «logica del capitale». Il nuovo libro di Dardot e Laval è in particolare molto efficace nell’analizzare il radicale svuotamento della democrazia rappresentativa che si è determinato negli ultimi anni in Europa, nel segno dell’affermarsi di quel «nuovo concetto di sovranità» di cui parlò nel dicembre 2011 (dopo la destituzione di Papandreu in Grecia) l’allora presidente della Bce Jean-Claude Trichet.
Il fatto è, tuttavia, che la parte «propositiva» del manifesto di Dardot e Laval, interamente ritagliata attorno a un’intransigente «rivendicazione di democrazia», non mi pare davvero all’altezza delle stesse sfide indicate nella parte analitica. Il problema, del resto, era già presente – sotto il profilo teorico – in La nuova ragione del mondo, dove gli stessi Dardot e Laval scrivevano che «che è più facile evadere da una prigione che uscire da una razionalità».
ORA, CHIUNQUE ABBIA VISTO ad esempio Papillon sa che per progettare un’evasione è fondamentale lo sguardo che si getta ai muri della propria prigione. E ho l’impressione che la particolare interpretazione della categoria foucualtiana di «governamentalità» proposta da Dardot e Laval finisca per fare velo alle crepe di quei muri ben più di quanto non contribuisca a individuarle e ad allargarle. Tanto è vero che i riferimenti alla «promozione di forme di soggettivazione alternative» e alle «contro-condotte» come terreno di lotta e resistenza, nelle ultime pagine di quel libro, lasciava un po’ spiazzati. Né il successivo Del comune ha contribuito a risolvere il problema di comprendere – per dirla nel modo più semplice possibile – da dove e come possano emergere queste contro-condotte capaci di definire un’alternativa al neoliberalismo.
Abbiamo ora, in un testo più esplicitamente politico, una risposta a questo problema? «L’unica alternativa possibile al neoliberalismo», scrivono in Guerra alla democrazia Dardot e Laval, «parte dall’immaginario». Ok, suona bene «immaginario». Né mi sogno di contestare la potenza politica dell’immaginazione – al contrario. Ma questa potenza dovrà ben essere materialmente qualificata e impiantata in processi sociali e politici determinati – dovrà essere nutrita da e a sua volta nutrire lotte. Qui si parla di un «blocco democratico internazionale», di una «federazione europea e mondiale» di «coalizioni democratiche». Se ne può dire qualcosa di più?
I LORO «CONTORNI programmatici» non si possono definire, perché – ci informano i due autori in modo un po’ sorprendente – «averne la pretesa significherebbe contravvenire al principio stesso della democrazia». Si può dire allora qualcosa sulla loro composizione e organizzazione? Solo in negativo, sembrerebbe: occorre «rompere una volta per tutte con la logica del partito e degli spauracchi della rappresentanza». Alla fine, tuttavia, proprio nell’ultima pagina del libro un paio di regole «non negoziabili» vengono pur sempre formulate: la «rotazione delle cariche» e la «non rieleggibilità nelle funzioni pubbliche». Chissà che ne direbbe, in Italia, il movimento 5 stelle…
Vi sono molti passaggi interessanti e originali in Guerra alla democrazia, ad esempio la ripresa della definizione aristotelica di democrazia come potere dei poveri, e dunque di «una parte della polis». Ripeto tuttavia che lo svolgimento di una proposta politica che si vorrebbe radicalmente democratica, federativa e cooperativa è davvero molto debole, se non evanescente, in questo libro. Completamente eluso, in particolare, rimane nella «pars construens» il problema del potere – della costruzione di un rapporto di forza che consenta appunto di «immaginare» (e dunque di praticare) un’«alternativa possibile».
DARDOT E LAVAL sono autori di libri importanti, sono schierati politicamente da quella che io considero essere la «parte giusta». La loro critica, sulla base di un’analisi realistica di quel che è diventato lo Stato nel tempo neoliberale, di ogni «statualismo» e «nazionalismo» di sinistra è oggi davvero preziosa in Europa – così come la loro insistenza sulla necessità di tenere aperta la «questione europea» pur criticando a fondo l’Unione europea «per come esiste oggi». E trovo condivisibile la loro insistenza sull’importanza, nella prospettiva di una reinvenzione dell’«internazionalismo», di un lavoro sulle norme e sulle istituzioni del «comune».
SE DARDOT E LAVAL criticano tuttavia con qualche ragione gli approcci «economicistici» alla crisi contemporanea in Europa, a me pare che il loro approccio sconti un «riduzionismo» di segno opposto – finendo per nutrire una teoria della «pura politica», dove il riferimento alla democrazia appare svuotato di ogni determinazione materiale. A me pare, al contrario, che la teoria politica di cui abbiamo bisogno oggi – come esito di un lavoro collettivo in cui Dardot e Laval sono interlocutori fondamentali – debba necessariamente articolarsi con una nuova critica dell’economia politica. Letta in una chiave politica, e rinnovata a fronte dell’attuale realtà del capitalismo, una categoria «antica» – quella di lotta di classe – potrebbe mettere al riparo da ogni rischio di «riduzionismo», tanto «economico» quanto «politico».
La versione integrale di questo articolo si può leggere nel sito www.euronomade.info
Le illusioni di Dardot e Laval
Nella transizione che stiamo vivendo la democrazia si presenta come crisi, come un sistema che inibisce ulteriori processi di democratizzazione impedendo a nuovi soggetti di prendervi parte e limitando gli ambiti d’azione di chi vi è incluso. Essa è perciò lontana tanto dal populismo quanto dal fascismo, che necessitano di qualche forma di mobilitazione. La crisi non riguarda il sistema politico, che funziona proprio per impedire che essa deflagri. Il neoliberalismo produce una nuova forma di governo che si fonda sulla tensione costante a cui sottopone la società. Basandosi su processi di soggettivazione individuali, esso è costretto a limitare costantemente e con ogni mezzo lo sviluppo di quelli collettivi.
Affinché la democrazia sia uno spazio di azione politica, il problema di chi ne è il soggetto va posto dentro alla stessa democrazia per disinnescarne la logica universalistica. Per non ridurla a una strategia difensiva contro le oligarchie e i loro abusi bisogna determinare le posizioni soggettive capaci di «istituire» uno spazio di iniziativa politica autonomo, cioè di scegliere i punti di impatto con le altre forze che attraversano quello spazio. Dardot e Laval delineano puntualmente il campo di forze in cui il progetto democratico si pone, ma non nominano mai i suoi soggetti. I poveri, la cui presenza sarebbe decisiva sin dai tempi della democrazia greca, scompaiono dopo le prime pagine, ed è lecito chiedersi se la democrazia praticabile nello Stato globale non debba essere pensata al di fuori della sua stessa tradizione.
In maniera persino sorprendente Dardot e Laval scelgono di non attraversare le contraddizioni che il capitalismo produce, ma di muovere direttamente dalla composizione delle risposte politiche esistenti al potere delle oligarchie. Possono così scrivere che l’Europa può essere rifondata solo da una cittadinanza democratica transnazionale, ovvero dagli stessi cittadini europei. Non tutti gli individui che vivono in Europa, però, sono cittadini. Salvo mio errore, i migranti non sono mai nominati. Se dall’Europa si passa al piano globale, parlare di cittadini o degli appartenenti alla società rischia di reintrodurre l’universalismo che si voleva criticare denunciando la logica della rappresentanza.
La stessa proposta della coalizione antioligarchica corre questo rischio, perché ha come riferimento una condizione generalizzata e non le condizioni materiali di esistenza che determinano l’esplosione delle lotte. La coalizione non può essere l’opposto simmetrico dell’oligarchia, ma può solo assumersi il rischio politico di esprimere una logica di parte. Questa dovrebbe esprimere la pratica di un comune politico che non si limiti all’articolazione di beni pubblici e democrazia partecipativa. Se non vuole essere un ingranaggio dello Stato globale, la democrazia come governo deve essere all’altezza del processo paradossale che, mentre punta a istituzionalizzare il movimento che la produce, contribuisce a decostituzionalizzare lo Stato di cui pure fa parte.
Una versione più estesa di questo commento è sul sito internet: connessioniprecarie.org
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