giovedì 3 novembre 2016

Una "sconfinata brama di potere e avventurismo narcisistico". Intanto il perfido Putin si ingerisce nella politica italiana e ci minaccia, mentre Obama e Merkel danno solo degli utili suggerimenti


Referendum, altolà di Renzi “Non ci sarà alcun rinvio” I rischi del ricorso Onida 
Lo stop ad Alfano che ipotizza lo slittamento “se lo chiede l’opposizione” No di M5S e FI. In settimana il tribunale di Milano decide sulla sospensiva
TOMMASO CIRIACO LIANA MILELLA Rep 3 11 2016
ROMA. Rinviare il referendum per concentrarsi sull’emergenza terremoto in centro Italia. È il ministro dell’Interno Angelino Alfano a lanciare una proposta che fa rumore. E che raccoglie soltanto stroncature, a partire da quella, definitiva, di Matteo Renzi: «Non esiste, punto», afferma lapidario.
La sortita del responsabile del Viminale, da cui dipende il corretto svolgimento di ogni tornata elettorale, è certamente irrituale. «Il governo - premette Alfano ai microfoni di Rtl - non farà alcuna richiesta di rinvio. Qualora però una parte dell’opposizione fosse disponibile a valutare un’ipotesi del genere, sono convinto che sarebbe un gesto da prendere in altissima considerazione». In particolare, il leader dell’Ncd bussa alla porta degli ex compagni di partito, ricordando che fu Silvio Berlusconi a gestire l’emergenza dell’Aquila: «È difficile una campagna elettorale che separa un Paese che ha bisogno invece di essere unito». Il dubbio di qualcuno è che ci sia dietro un input del premier. Scenario demolito poco dopo proprio da Renzi: «Lo spostamento non esiste – sostiene a Radio 24 -. Non perdiamo tempo, è un dibattito surreale. È legittimo che il ministro abbia dato una disponibilità alle minoranze, ma si vota il 4 dicembre. Non incrociamo referendum e terremoto: non hanno niente a che vedere».
Troppo tardi, però, perché le opposizioni sono già scatenate. «Il premier ci lasci votare – intima Beppe Grillo sul blog - un ulteriore rinvio sarebbe insopportabile. Non azzardatevi, dovete rispettare i vostri datori di lavoro. Renzi sulla riforma ci ha messo la faccia e pure il culo: ora rischia entrambi». E pure Renato Brunetta chiude la porta, a nome di Forza Italia: «Un’ipotesi assurda, subdolamente cavalcata da Alfano. Per noi rinviare sarebbe da folli e irresponsabili».
A confidare invece su un slittamento deciso dalla Consulta è Valerio Onida: l’ex presidente della Corte costituzionale si è rivolto al tribunale civile di Milano per contestare la legittimità di un referendum su un quesito unico. Si tratta tra l’altro della stessa richiesta avanzata anche da un pool di avvocati, tra cui Aldo Bozzi - famoso per aver cancellato il Porcellum - e Felice Besostri, che ha portato l’Italicum sul tavolo dei giudici costituzionali. Tutto dipende da quello che deciderà la giudice Loreta Dorigo, che non ha voluto riunire i due ricorsi e che potrebbe decidere già questa settimana se il quesito del 4 dicembre (e quindi la legge 352 del 1970 che non obbliga allo spacchettamento) è destinato a fare i conti con la Consulta. L’ex presidente va oltre, chiedendo che la Corte sospenda il referendum. Per Besostri non ci sono i tempi tecnici per farlo, ma Onida - che non ha alcuna indiscrezione dal tribunale e attende una mail sulla sua posta certificata - è convinto che «la sospensione sia possibile». Di parere opposto l’Avvocatura dello Stato. Per Gabriella Vanadia non solo i ricorsi vanno bocciati, ma comunque la Corte non avrebbe alcun potere di sospendere il referendum.

IL SEGNO DELLA DEBOLEZZA 
STEFANO FOLLI Rep 3 11 2016
NON ci sarà il rinvio dell’ultim’ora del referendum, ma lo psicodramma riserva ancora bizzarre sorprese. La storia, peraltro, è senza precedenti: una campagna elettorale cominciata in maggio, a cavallo delle amministrative.
SEGUE A PAGINA 30
EPROSEGUITA in estate con l’argomento che non c’era tempo da perdere poiché la data del voto era dietro l’angolo, giusto ai primi di ottobre. Poi invece si comincia a scivolare in avanti e si arriva a fissare le urne per il 4 dicembre, ossia quasi a Natale. Nel frattempo gli italiani sono estenuati e in ogni caso si sono accorti che esistono problemi più pressanti: la “crescita zero”, la disoccupazione, ora anche il terremoto.
È a questo punto che irrompe sulla scena il tema del rinvio. Se ne è parlato per alcuni giorni, senza che fosse chiaro quale era l’origine dei suggerimenti o delle pressioni in favore dello slittamento. Diciamo che tutto nasce da una preoccupazione, quella a cui ha dato voce ieri il ministro dell’Interno Alfano: nell’ora in cui un Paese sconvolto per le conseguenze del sisma è chiamato a uno sforzo solidale, ecco che s’introduce con il referendum un fattore “divisivo” e quindi lacerante. Alfano usa proprio il termine “divisivo”, come se potesse esistere una consultazione giocata sul Sì contro il No che non lo è.
Il motivo è quindi fragile. Tuttavia il responsabile del Viminale, che non è l’ultimo arrivato, ha voluto farvi ricorso sfidando il rischio — o meglio, la certezza — di essere smentito. Diciamo che Alfano si è sforzato di parlare come uomo delle istituzioni più che come capo di un partito. La sua è infatti una preoccupazione di tipo istituzionale che fa seguito a quella espressa da Castagnetti e da altri esponenti sia dell’area centrista sia del mondo cattolico aderente al Pd. È un ambiente trasversale, abbastanza forte nelle aule parlamentari, senza dubbio a favore del Sì, ma inquieto su cosa potrà accadere dopo il referendum se ad affermarsi sarà il No, magari in un clima di radicalizzazione del confronto.
È probabile che Alfano si rivolgesse anche, se non soprattutto, ai settori di Forza Italia più a disagio di fronte alla prospettiva di una stretta alleanza con Salvini. E infatti egli ha insistito sul punto: oggi il governo non pensa di rinviare il referendum, ma se glielo chiedesse una componente significativa dell’opposizione il quadro potrebbe cambiare. Anche in questo caso l’argomento è vagamente surreale. Non è nemmeno immaginabile che il governo Renzi, di sua iniziativa, decida il rinvio del referendum; ed è anche fuori della realtà che i cosiddetti “moderati” di Forza Italia spezzino il fronte degli oppositori per unirsi alla maggioranza e ottenere lo slittamento per via parlamentare. Una simile ipotesi potrebbe prendere corpo solo davanti a un’emergenza nazionale ancora più grave del terremoto in Umbria e Marche: in quel caso l’iniziativa, imposta dall’urgenza e sotto forma di appello al Parlamento, potrebbe venire solo dal Quirinale. Tuttavia Mattarella, pur sollecitando a più riprese uno slancio di coesione nazionale, non si è mai spinto a suggerire, nemmeno fra le righe, uno slittamento del referendum. Quanto meno, mai nelle sedi ufficiali.
Alla fine, la vicenda si conclude come è cominciata. Allo stato delle cose, il rinvio non è praticabile. Tuttavia un tentativo c’è stato, forse non solo mediatico, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. A cominciare dalla divergenza palese fra il ministro dell’Interno e il presidente del Consiglio. Una divergenza che in condizioni normali non sarebbe ammissibile e darebbe luogo a un chiarimento fra i due. Viceversa, tutto sarà derubricato come un contrasto fra diverse sensibilità; quando invece il problema riguarda l’incertezza del governo. Si è trasmessa all’opinione pubblica l’idea che nel cuore dell’esecutivo e della maggioranza prevale il timore del risultato elettorale. E che si cerca un appiglio o un pretesto per rimandare le urne a tempi più propizi. Di qui il sondaggio svolto a favore dello slittamento e rapidamente fallito. Ma l’impressione di debolezza resta ed è un grave errore.
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Il premier infastidito per le voci “Si sposta solo se decide il giudice” Il clima del voto agita il Quirinale 
Dal leader Ncd un invito a Berlusconi La tesi di Palazzo Chigi: “L’incertezza non aiuta il Sì”

GOFFREDO DE MARCHIS Rep 3 11 2'16
ROMA. Il «buonsenso» della proposta, racconta Angelino Alfano, è testimoniato dalla sua giornata. «Adesso (è metà pomeriggio ndr) sono impegnato in una riunione operativa per la gestione del dopo terremoto. E il referendum, com’è ovvio, è l’ultimo dei miei pensieri». Così il ministro dell’Interno spiega le sue parole sull’eventuale rinvio del voto sulla riforma costituzionale (4 dicembre) a causa dei problemi nelle zone colpite dal sisma. Nessuno vuole giocare sulla pelle di chi vive la tragedia di lasciare la propria terra. «Naturalmente, ci vorrebbe una richiesta delle opposizioni perché il governo, sul referendum, è proponente e questo esclude che sia anche rinviante », dice ancora Alfano. Ma dietro al “buonsenso” si nascondono anche motivazioni politiche, così come esistono ragioni strategiche nella bocciatura secca e definitiva di Matteo Renzi.
La questione sollevata per primo da Pierluigi Castagnetti, ovvero come calibrare una dura campagna elettorale di fronte a 40 mila sfollati, come garantire il diritto al voto in quelle aree, resta il punto di fondo del dibattito sul rinvio. Ma non è un caso che Alfano si sia rivolto direttamente a Berlusconi, durante l’intervista a Rtl. Cioè, a un ex premier che conosce gli effetti del sisma (L’Aquila). Ma che sul quesito è anche in una posizione di attesa e non sempre è allineato ai falchi di Forza Italia come Brunetta. Parlando da leader dell’Ncd, Alfano ha provato a offrire una sponda al leader di Fi indeciso cercando, attraverso il rinvio, di indicargli una via di fuga che non lo schiacci sulle opposizioni grillina e leghista. Offerta non raccolta però dal Cavalieree e che ha chiuso i giochi sullo slittamento. «Da ministro dell’Interno - dicono infatti fonti del Viminale - Alfano si spenderà per assicurare a tutti il voto, soprattutto alle persone sfollate ».
Renzi non ha mai pensato davvero al rinvio. Perché altre calamità naturali non hanno impedito in passato di svolgere regolari elezioni. Il governo farà uno sforzo per consentire il voto di tutti gli italiani. Ci sono già norme di legge per situazioni di emergenza come quella che ha colpito il centro- Italia. Se sarà necessario si adotteranno altri provvedimenti nel mese che manca al 4 dicembre. Ma si ragiona anche sugli effetti politici di uno voto spostato. «L’incertezza politica legata a un allungamento dei tempi - ha spiegato il premier ai suoi collaboratori - non ci serve. Non è affatto vero che un rinvio ci aiuta, anche se i sondaggi danno il No in testa». Del resto, se il referendum è la madre di tutte le battaglie, cedere alla tentazione di uno spostamento avrebbe significato declassare la riforma a un passaggio normale e non epocale della vita politica. Anche per questo l’ipotesi viene definita «surreale» da Renzi e provoca il suo fastidio fin dal momento in cui è stata affacciata.
Semmai a Palazzo Chigi hanno gli occhi puntati al ricorso di Valerio Onida per lo spacchettamento del quesito. Il tribunale di Milano deve decidere se rinviare gli atti alla Consulta. Non si sa quando prenderà la decisione. Gli spifferi suggeriscono che il ricorso sarà accolto. Significa che una possibilità tecnica di slittamento potrebbe davvero essere messa in moto, con una serie di effetti indesiderati per il presidente del Consiglio.
Il Quirinale sta a guardare e aspetta il corso degli eventi. È vero che Castagnetti è uno dei migliori amici di Sergio Mattarella, ma l’ex leader del Ppi ha precisato di parlare a titolo personale. Potrebbe comunque aver dato voce alla “preoccupazione” del Colle per il clima generale che si respira intorno al referendum. Non un buon clima. Il presidente della Repubblica ha già cercato di smorzare i toni, durante l’intervento all’assemblea dell’Anci il 12 ottobre. «Qualunque sia l’esito del referendum l’interesse comune è la Costituzione», disse allora. Ma la preoccupazione forte rimane, tanto più ora che la campagna entra nel vivo. E al Quirinale non si esclude un nuovo appello alla moderazione nei prossimi giorni.
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Perché Renzi perde anche se a vincere sarà il Sì
Referendum. Ad avvantaggiarsi della devastazione della Carta sarebbe con ogni probabilità il M5S, che già oggi diversi sondaggi danno come primo partito in Italia di Alberto Burgio il manifesto 2.11.17
La battaglia in difesa della Costituzione antifascista si avvale di argomenti fortissimi di natura giuridica e politica, e anche di ragioni per dir così caratteriali. Matteo Renzi si è rivelato (per molti confermato) una seria minaccia per il periclitante equilibrio dei poteri.
Un equilibrio già insidiato da oscene leggi elettorali, pessimi regolamenti e prassi parlamentari e altre improvvide modifiche costituzionali, oltre che dallo spirito di tempi antipolitici inclini a scorciatoie carismatico-plebiscitarie. Non senza un apparente paradosso. Difficilmente l’Uomo forte potrebbe oggi, soprattutto in un paese periferico, contrastare l’erosione della sovranità nazionale da parte di poteri sovranazionali, pubblici e privati. Ma proprio il sentore di questa incontrollata perdita nutre il bisogno di certezze e di vigore nella decisione politica che il complesso apparato delle democrazie costituzionali tende invece a frustrare.
GLI ARGOMENTI A FAVORE del No sono tutti essenziali e più che sufficienti – in linea di principio – a puntellare l’unica possibile scelta di ragione e di salute pubblica in occasione del referendum confermativo. Tant’è che resta in fondo misterioso nelle sue motivazioni l’atteggiamento di chi propende per il Sì. Non sembrano decidere, tra la massa dei favorevoli alla «riforma», considerazioni politiche (l’opzione per un centrosinistra sempre più disgregato e incoerente) né, tanto meno, valutazioni istituzionali, al di là dei frusti slogan governativi sulla semplificazione che spudoratamente ammiccano al qualunquismo diffuso. Anche in questo caso l’aspetto caratteriale sembra determinante.
Renzi è stato criticato da Napolitano per l’eccesso di personalizzazione della campagna referendaria ma non è certo che sia, questa, una critica fondata. La realtà è che tutti in Italia sentono che il referendum è sulla figura del presidente del Consiglio, e non c’è al riguardo contromisura che tenga. Le sorti del Sì (come peraltro quelle contrapposte) dipendono in larga misura da un fattore idiosincratico legato al personaggio. «Mi piace» (o «non mi piace») Renzi è la domanda che terrà banco il 4 dicembre.
E la ripresa del lessico dei social network è da considerarsi tutt’altro che casuale.
EPPURE PROPRIO a tal proposito si pone una questione che tende a sovvertire questa prospettiva, a svuotarla di senso. Una questione che, mentre drammatizza ulteriormente il referendum, pone in tutta evidenza i limiti di Renzi sul terreno decisivo della strategia politica.
RENZI È UN EGOCENTRICO, oltre che un politico sicuro di sé oltre il limite della supponenza. Molti suoi comportamenti sono tipici della personalità narcisistica e l’ultimo suo delirio – quello di un destino che lo porrebbe alla guida del Grande cambiamento – sembra tradire il manifestarsi di un Sé «grandioso e onnipotente». Tutto ciò si traduce in spavalderia e in temerarietà. Porta con sé il vantaggio di ritenersi all’altezza di ogni situazione, come quando Renzi presentò alle Camere il governo parlando a braccio, senza appunti, le mani in tasca nei blue jeans. Ma genera anche l’inconveniente non proprio trascurabile di non accorgersi di essere ridicoli, con una mimica da asilo infantile e un inglese maccheronico. Proprio un tale sentimento deficitario della realtà è forse alla radice di un altrimenti inspiegabile cortocircuito nella strategia politica renziana sottesa alla «riforma» e al referendum.
SI PUÒ DIRE, in due parole, che tra Italicum e modifiche costituzionali Renzi ha costruito una macchina da guerra che assicura o quasi la sua sconfitta, quale che sia l’esito del referendum di dicembre. Se, come speriamo, lo perderà, la sua stella uscirà per sempre appannata da un fallimento paragonabile a quello di Cameron sulla Brexit. Se disgraziatamente dovesse vincerlo, la sua sarebbe una vittoria di Pirro perché ad avvantaggiarsi della devastazione della Carta sarebbe con ogni probabilità il M5S, che già oggi diversi sondaggi danno primo partito in Italia e che in tale scenario potrebbe, per compensazione, incassare nuovi consensi in funzione antirenziana. Con la sua sconfinata brama di potere e il suo avventurismo narcisistico, Renzi insomma non rischia soltanto di minare le fondamenta della democrazia repubblicana. La sua oscena «riforma» minaccia seriamente di compromettere per lungo tempo le sorti del paese spianando la strada a un vero e proprio regime populista. 


Offensiva anti-Renzi della propaganda russa

E il web grillino rilancia  Londra e Berlino: gli hacker di Mosca un pericolo per l’Ue 
Jacopo Iacoboni Busiarda 2 11 2016
Sabato scorso, il giorno della manifestazione per il Sì al referendum in piazza del Popolo, RT, Russia Today, il potente network in lingua inglese finanziato dal governo russo, 2500 dipendenti, uno degli strumenti più virali del sistema di propaganda pro Putin nei Paesi occidentali, ha raccontato così la notizia: «Migliaia di cittadini hanno protestato per le strade di Roma contro il primo ministro italiano Matteo Renzi, che ha lanciato un referendum sulla riforma costituzionale, che si terrà il 4 dicembre.
La gente ha paura che le riforme, mirate a smantellare il Senato, porteranno più potere nelle mani del presidente del Consiglio». Titolo della diretta Facebook: «Proteste in Italia contro il premier italiano». Piccolo particolare: quel giorno c’era stata davvero una manifestazione, ma a favore del sì. Diffondendo una versione completamente opposta della realtà, la diretta della web tv russa ha raggiunto un milione e mezzo di contatti diretti; senza contare la sua viralizzazione. Non si è trattato della prima intrusione nel dibattito politico italiano; per questo, canali diplomatici italiani hanno sollevato il caso e protestato nei giorni scorsi con il Cremlino.
Bugie e propaganda, ovunque prodotte, si irradiano molto bene nell’ambiente web italiano, dominato dai siti dell’universo filo Cinque stelle. Molti account Twitter e Facebook pro M5S, oppure pagine Facebook con migliaia di amici, rilanciano infatti RT, o Ruptly, l’agenzia video del network russo, agenzia che ha sede a Berlino, o bufale anche peggiori, perché meno smaccate all’apparenza. Le bufale poi si propagano dentro un’architettura propizia. Il network russo ha adesso corretto il titolo e sono inaccessibili alcuni degli ultimi articoli postati sull'Italia, ma ne possediamo ovviamente gli screenshot. Tante altre volte la propaganda è più sottile, mixa alcuni elementi (pochi) di verità, e una maggioranza di menzogna. Il 22 ottobre, per dire, RT ha enfatizzato a dismisura una manifestazione dei sindacati di base contro il Jobs Act, raccontando di un’«Italia in rivolta». Quando Renzi ha subìto una contestazione a Napoli, la cosa era stata descritta come «scene da guerra civile». Un’esagerazione grottesca, ma attraente, magari, per i più giovani, o per chi non esce da un ecosistema web.
Il red web, il web di Putin, preoccupa ormai molto diversi governi europei: ieri il capo del MI5, il servizio segreto interno britannico, Andrew Parker, ha dichiarato al «Guardian»: «La Russia sta portando avanti una politica estera con modi sempre più aggressivi», che prevedono il ricorso «alla propaganda, allo spionaggio, a sovvertire l’ordine costituito, e ai cyber-attacchi». Sempre ieri il ministro degli Interni tedesco, Thomas de Maizière, subito demonizzato e bastonato da account chiave filo-grillini, ha denunciato a Sky «gli attacchi su Internet specialmente di provenienza dalla Russia: sono organizzati a livello statale, attacchi alle istituzioni tedesche. Dobbiamo proteggerci, ma è un problema che dovremo superare con la collaborazione dei nostri partner europei». De Maizière denuncia che non si tratta solo di persone, «si tratta anche di algoritmi, macchine che moltiplicano all’ennesima potenza la loro influenza sulla Germania per poter dar ragione a una particolare posizione della Russia sui social tedeschi».
La connessione culturale tra propaganda russa e filo M5S si mostra per varie vie. Siti, non governativi come RT ma decisamente filorussi, come Sputnik Italia, ne sono un esempio. L’ultimo caso: a caldo, dopo il terremoto, un articolo (non un commento) intitolato «Italia, il governo che vive in un altro paese» si introduceva così: «è difficile indovinare dove Renzi e i suoi allegri ministri trovino l’ottimismo da dispensare con ampi sorrisi a ogni incontro pubblico dedicato al Sì al referendum». Sputnik viene ripreso da Tze Tze, principale sito della galassia Casaleggio, che celebra Putin, e dove viaggia molto anche RT; ma anche da siti anonimizzati, assai più opachi. O da un numero delimitato di account Twitter o Facebook, alcuni dei quali configurano a volte gravi ipotesi di reato, su cui torneremo.
L’affinità tra queste due propagande non pare casuale. Né indagata a monte, nell'ingegneria. Né a valle, nelle ideologie: Manlio Di Stefano, deputato M5S già ospite del congresso del partito di Putin, per commentare la loro politica estera sulla Brexit parla a RT. Beppe Grillo nell’aprile 2015, per la prima intervista in cui spiega la tesi del «colpo di stato intelligente» («in Italia è in atto un colpo di Stato intelligente, che consiste nel causare una divisione in Parlamento, infiltrarsi al governo e piazzare un leader forte che andrà a prendere i pieni poteri») sceglie RT. È quella, peraltro, la descrizione della riforma costituzionale che si legge su RT. Solo pochi giorni fa Pietro Dettori, braccio destro di Davide Casaleggio, responsabile dell’Associazione Rousseau (intestataria del blog delle stelle) ha twittato un articolo su Putin dal sito silenziefalsità.it («Putin presenta Satan 2, il missile in grado di incenerire il Texas») che esordiva così: «Sarà la volta buona che le teste calde di Washington e dintorni si raffreddano? Non è molto meglio rischiare un mondo multipolare e rinunciare a qualcosa del proprio potere anziché correre il rischio di perderlo tutto e incenerire il mondo intero?». Per ora, si sta incenerendo la verità.
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Il premier e la «trincea» del ballottaggio
Italicum. La difficile quadra dei vertici Pd con Cuperlo, stasera o domattina la riunione decisiva
Alla Leopolda l’ipotesi di Renzo Piano e Brunello Cucinelli per parlare di ricostruzione
di Emilia Patta Il Sole 2.11.16
Nel partito del premier, impegnato in queste ore nelle visite ai luoghi del Centro Italia nuovamente colpiti dal terremoto (si veda pagina 2), è ancora il “combinato disposto” tra Italicum e superamento del Senato elettivo a tenere banco nella discussione attorno al referendum costituzionale del 4 dicembre. E Matteo Renzi è intenzionato a togliere di mezzo la questione delle modifiche all’Italicum prima dell’inizio della terza Leopolda di governo, venerdì 4 novembre a Firenze. Una Leopolda che sarà più che mai istituzionale e sobria proprio per il rispetto che si deve alle popolazioni del Lazio, dell’Umbria e delle Marche così duramente e ripetutamente colpite dal terremoto negli ultimi tre mesi. E come presidente del Consiglio, prima ancora che come segretario del Pd, Renzi non potrà non occuparsi del tema della ricostruzione. Anche per questo sul palco della Leopolda dovrebbero salire l’architetto e senatore a vita Renzo Piano, incaricato informalmente dallo stesso Renzi di seguire le linee guida del piano Casa Italia, e Brunello Cucinelli, il “re” del cachemire che ha annunciato il suo impegno per la ricostruzione della basilica di San Benedetto a Norcia distrutta della ultime due scosse di domenica scorsa.
Ma naturalmente, al di là del profilo più istituzionale, la Leopolda - a un mese esatto dal voto popolare che dovrà accettare o respingere la riforma del Senato e del Titolo V - sarà l’occasione per dare il via al rush finale della campagna referendaria. Per questo è necessario chiarire prima le posizioni nel Pd. Data ormai per persa la minoranza bersaniana, che con alcuni suoi esponenti sta già facendo campagna attiva per il No al referendum, le trattative di queste ore sono volte a portare verso il Sì Gianni Cuperlo, uno dei leader della sinistra interna assieme al bersaniano Roberto Speranza ed ex competitor di Renzi alle ultime primarie di partito.
Nella commissione che sta tentando di trovare la quadra sulle possibili migliorie all’Italicum, e che dovrebbe riunirsi stasera o al più tardi giovedì mattina, siedono il vicesegretario Lorenzo Guerini, il presidente Matteo Orfini e i capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda. Il “giovane turco” Orfini si è già schierato a favore di un sistema proporzionale con un premio di governabilità del 15%, dunque senza il ballottaggio nazionale tra le prime due liste che non raggiungano il 40% dei voti previsto dall’Italicum. Un sistema che sarebbe gradito a molti della minoranza del Pd, ed anche a Cuperlo. Ma Renzi non sembra intenzionato a prendere ora un impegno così preciso come l’abolizione del ballottaggio, che è l’essenza dell’Italicum e che in un sistema tripolare - come lo stesso premier ha ricordato nelle sue ultime pubbliche sul tema - è l’unica garanzia di avere un vincitore certo. Qualsiasi alternativa è il rischio concretissimo della grande coalizione tra Pd e centrodestra, ossia agli occhi di Renzi un “inciucio” che porterebbe acqua al mulino del Movimento 5 stelle.
Il documento che uscirà dal lavoro della commissione, dunque, aprirà verosimilmente su tre punti importanti: il superamento delle candidature plurime; il superamento dei capilista bloccati tramite l’estensione delle preferenze a tutti i candidati oppure tramite l’introduzione di collegi con ripartizione nazionale dei seggi stile Provincellum; la possibilità di apparentamento tra liste tra il primo e il secondo turno. Ma sulla questione del premio e del ballottaggio la formula dovrebbe essere sufficientemente vaga da lasciare aperte più porte. Né potrebbe essere altrimenti - sottolineano i big del Pd - dal momento che la discussione vera e propria si potrà fare solo dopo il referendum e dopo il pronunciamento della Consulta sull’Italicum. Basterà questa logica a Cuperlo per annunciare il suo Sì al referendum differenziandosi da Pier Luigi Bersani? Con la scelta di partecipare alla manifestazione del Pd sabato scorso a piazza del Popolo, intanto, Cuperlo ha voluto dare un messaggio preciso: lui dentro il Pd vuole restarci in ogni caso. Mentre la sinistra bersaniana ha preso una strada che potrebbe rivelarsi, al di là delle intenzioni, senza ritorno. 

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