Ma se ora fanno le primarie di coalizione come dice Delrio, il PdCI partecipa di nuovo per votare Bersani? [SGA].
Pisapia, prove di sinistra con Cuperlo “C’è tutto un popolo che cerca casa”
Franco Giubilei Busiarda 20 12 2016
Nella patria dell’Ulivo tornano a risuonare parole di sinistra, non per evocare spettri scissionisti ma per pungolare il malconcio Pd dall’interno, nel segno di «unità e ricostruzione» e con un piccolo manipolo di sindaci o ex sindaci, come Giuliano Pisapia, convocati da Virginio Merola a fare i conti con la disfatta referendaria. Accorrono a centinaia nell’hotel del centro di Bologna, quasi tutti ultra 40enni a confermare la lontananza dei giovani, con Cuperlo che sottolinea: «Abbiamo vinto a Milano, Bologna e Cagliari dove abbiamo avuto il coraggio di tenere il centrosinistra largo, non è stato così dove si è spezzato in più parti. Il Pd è una grande forza ma da solo non è sufficiente. Renzi è stato onesto nell’ammettere che abbiamo straperso, ora vanno approfondite le ragioni. Abbiamo bisogno di un congresso prima delle elezioni».
Pisapia premette che non aspira a ruoli istituzionali, aggiunge che è stato «un referendum contro Renzi e il governo, ora serve uno sguardo verso il futuro e profonda discontinuità rispetto agli ultimi anni». Ambizioso il titolo dell’incontro, «Per un nuovo centrosinistra», officiata da una prodiana Doc come Sandra Zampa, con interventi dell’ex sottosegretario Sandro Gozi e del giovane sindaco di Cagliari Massimo Zedda. Tocca a Cuperlo rivolgersi “al segretario del mio partito per dirgli che una comunità politica si dirige e non si comanda, e basta con l’idea che se esprimi un’idea diversa sei un gufo, ma penso che questo Renzi l’abbia compreso. Il Pd da solo non basta».
Infine Pisapia, l’ospite d’onore: «Ora è evidente a tutti che non saremo la stampella di nessuno, la sinistra è un campo aperto e bisogna chiedere al Pd discontinuità e se vuole guardare a destra o a sinistra. Da questo convegno esce l’idea dell’unità per cambiare».
La rottamazione? Da rottamare, molto meglio «la rotazione», per «dare spazio ai giovani» che al referendum hanno detto «No» nell’80% dei casi.
«Non vogliamo un partito nuovo del 3-4%, ma una rete, guardiamo a sinistra e parliamo col sindacato e i corpi intermedi per una casa comune della sinistra». Un’invenzione a U rispetto alla politica dell’ex premier, ricordando anche che «siamo gli unici argini contro il
populismo. Oggi siamo a un bivio».
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Mattarellum, sì della Lega E Renzi cambia il vertice Pd
Nella nuova segreteria il sindaco di Mantova, Mattia Palazzi Il leader dem sul voto a ottobre: no, ci massacrano sui vitalizi
Francesca Schianchi Busiarda 20 12 2016
Una segreteria rinnovata in cui coinvolgere anche qualche sindaco, come Mattia Palazzi, il 38enne che ha guidato Mantova al primo posto nella classifica delle città più vivibili d’Italia. Per rilanciare il partito, e intanto coltivare nuovi progetti e incontrare persone: qualche giorno in America, un think tank in una Università della West Coast o forse a Chicago, là dove il sindaco, il democratico Rahm Emanuel, è un amico. E poi «buttarsi in mezzo alla gente», girando il Paese ma senza camper e tour organizzati. All’indomani dell’Assemblea nazionale del Pd, contento per come è andata, dalla casa di Pontassieve Matteo Renzi assiste al dibattito sulla legge elettorale e pianifica le prossime settimane lontano da Roma: «Non voglio passare le giornate a fare il controcanto a Grillo o a Salvini», ha detto domenica agli amici.
La proposta di legge elettorale il Pd l’ha fatta: tornare al Mattarellum. Tanto è bastato per far ribollire gli animi della politica. Ok dalla Meloni e Salvini: «Siamo disposti anche a presentarlo insieme al Pd», si sbilancia il leader della Lega. Purché si voti alla svelta, il prima possibile. Una posizione che Renzi condivide, ma che potrebbe metterlo in difficoltà se troppo insistita. Perché sa bene che molti elettori questo vogliono, tornare alle urne, ma il Pd si è preso la responsabilità di sostenere il governo Gentiloni. Con cui i rapporti restano buoni: qualcuno ne ha letto una prova nell’atteggiamento del premier di domenica, quando avrebbe dovuto sedere in prima fila, e invece ha voluto sedersi alla destra di Renzi al tavolo della presidenza.
Fino a quando durerà questo governo, ancora non si sa. «Di certo non possiamo fare come abbiamo fatto nel 2011, quando ci siamo caricati il governo Monti e poi l’abbiamo pagata alle urne», ripete però per l’ennesima volta Renzi. Il segretario-ex premier vorrebbe votare ad aprile, ma non è semplice arrivarci così velocemente. A quel punto, due sono gli slot possibili: giugno 2017, o direttamente febbraio 2018, la fine della legislatura. Non ci sarebbe un’altra soluzione, perché ottobre, ha calcolato il segretario con alcuni collaboratori, è impossibile: non solo perché si affaccerà la legge di bilancio, ma anche perché poco prima, a metà settembre, saranno scattati i vitalizi per i parlamentari di prima nomina: «Il M5S ci farebbe sopra tutta la campagna elettorale».
Anzi, secondo Renzi è proprio lì che Grillo e i suoi vogliono andare a parare: tirare fino a ottobre per poter sfruttare quell’argomento. E andarci col Consultellum. Il segretario del Pd voleva stanare prima di tutti loro proponendo il Mattarellum: le reazioni sono state del tenore «Renzi lo porti con sé in esilio» e «pronti al Vietnam parlamentare contro l’Anticinquestellum». «Ma se si va al voto col proporzionale, il Pd è lì, c’è. Quanto sarà voto del Pd di quel 40 per cento della sconfitta al referendum? Il 33, il 35, il 37? In ogni caso saremo decisivi», ragiona con i suoi, mentre guarda con interesse alla crisi romana. «Se la Raggi alla fine si dimettesse e si votasse a giugno per comune di Roma e politiche, metà campagna elettorale sarebbe già fatta: volete governare il Paese come la capitale?».
Mentre gli altri discutono di Mattarellum sì o no, è tempo anche di mettere mano al partito. A una squadra nuova dove affiancare all’ultimo arrivato, il sindaco di Pesaro Matteo Ricci, altri amministratori locali. Forse avranno spazio anche Piero Fassino agli esteri e Tommaso Nannicini al programma, oltre a qualche altro rappresentante della corrente di Cuperlo e di quella di Martina. Domani Renzi riunirà i segretari provinciali e regionali. Giovedì invece sarebbe dovuto andare a inaugurare l’ultimo tratto della Salerno-Reggio Calabria: ma era un’altra vita.
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Le fragilità dell’Italia
Mario Deaglio Busiarda 20 12 2016
L’erba del vicino sembra sempre meno verde, all’opposto di quanto dice il noto proverbio anglosassone. Talvolta il vicino ha, almeno parzialmente ragione, specie se l’erba è italiana e il vicino è tedesco. Ieri CESifo, il maggior istituto tedesco di analisi della congiuntura, ha diffuso il risultato di un sondaggio condotto tra i professori universitari tedeschi di economia dal quale si apprende che quasi un terzo (il 29 per cento, per la precisione) considererebbe l’uscita dell’Italia dall’euro come un fatto positivo. E più di un quarto (il 24 per cento) ritiene quest’uscita probabile.
CESifo, nel suo commento, afferma che questo è un segnale di fiducia nell’Italia in quanto i due terzi e più degli intervistati si esprime a favore del nostro Paese. In realtà, visto da questa parte delle Alpi, il giudizio appare capovolto, un allarmante campanello d’allarme: deve essere motivo di preoccupazione che una minoranza non trascurabile degli specialisti tedeschi ci vede in uscita dalla moneta unica senza che il tema di un’uscita italiana sia in alcun modo all’ordine del giorno, al di là di dichiarazioni piuttosto vaghe di qualche esponente grillino. E questa minoranza non trascurabile, per di più, se ne rallegra, sostenendo che sarebbe un bene per l’Europa (e la Germania) se l’Italia se ne andasse. Probabilmente questo giudizio è condiviso da una quota molto maggiore dell’opinione pubblica tedesca, percorsa, come tutto il resto dell’Europa, da un’ondata di populismo anti-europeo.
Il commento elenca quelli che considera i tre principali fattori dell’attuale debolezza italiana. Al primo posto pone la crisi bancaria; da noi si esita a chiamare con questo nome le vicende del Montepaschi e affini, e forse i tedeschi esagerano. Tutto ciò non toglie, però, che avvertimenti su Montepaschi siano all’ordine del giorno nella comunità finanziaria internazionale e che noi li trascuriamo allegramente. Al secondo posto è collocato l’alto livello del debito pubblico italiano, da noi ritenuto quasi naturale, da risolvere con la «flessibilità» che gli altri ci concedono assai poco volentieri. Viene infine ricordata, al terzo posto, la scarsa concorrenzialità internazionale dell’Italia (sulla quale c’è stata una piccola inversione di tendenza negli ultimi anni) unita all’elevato livello di disoccupazione e alla crescita economica «da ultima della classe» che caratterizza il Belpaese.
Sarebbe arduo trovare traccia di questi problemi nel ribollente dibattito politico italiano degli ultimi giorni, a cominciare dall’Assemblea del Pd, dove i discorsi di tattica politica hanno pressoché monopolizzato la scena, mentre non v’è quasi traccia di discorsi di strategia economica. Nessuno sembra considerare che, al tavolo in cui si cerca di decidere in materia di leggi elettorali e di fine della legislatura, sta seduto un convitato di pietra che si chiama Estero: in Italia la politica schiaccia l’economia ma i nostri partner internazionali ci giudicano (e comprano i nostri titoli) largamente in base ai nostri risultati economici. Dei loro giudizi a noi non sembra importare nulla.
Per questi motivi la Germania - un Paese in cui i problemi bancari sicuramente non mancano e potrebbero addirittura esplodere - guarda all’Italia con una preoccupazione che non può essere automaticamente classificata come malanimo, anche se la fiducia nell’Italia è sempre stata generalmente scarsa: negli Anni Settanta, il Cancelliere Helmuth Schmidt pretese una garanzia in oro per concedere un prestito all’Italia. E se andiamo ancora più indietro nel tempo, nel suo secondo viaggio in Italia, nel 1790, Goethe parlò dell’Italia come un Paese in cui «i politici fanno i propri affari».
Sulla situazione italiana, forse i tedeschi dovrebbero essere un po’ meno preoccupati visto che alla fine l’Italia è spesso riuscita a «scattare all’insù» ma gli italiani dovrebbero sicuramente interessarsi un po’ meno dei calcoli della politica e un po’ più delle cifre dell’economia. Proprio ieri, lo stesso CESifo ha diffuso la sua consueta analisi sul clima economico del Paese, che mostra un miglioramento al di là delle previsioni. C’è di che fare invidia all’Italia.
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E l’ex premier spariglia con Salvini “Legge insieme e presto alle urne”
IL RETROSCENA. TELEFONATA DI RENZI. NEL CENTRODESTRA L’IRA DI BERLUSCONI SUL LEADER LUMBÀRD
CARMELO LOPAPA Rep
ROMA. «Se tu ci stai, questa partita la chiudiamo davvero in poche settimane, approviamo la legge elettorale e andiamo al voto». La telefonata tra i due Matteo è il colpo di scena delle ultime 48 ore e imprime un’accelerazione inattesa sulla via del ritorno al Mattarellum.
Contatto diretto tra il segretario Pd Matteo Renzi e il leader leghista Matteo Salvini, dopo l’Assemblea democratica di domenica. Una tenaglia nella quale i due intendono stringere le forze che non ci stanno, soprattutto Forza Italia, dato che l’M5S si chiama già fuori dai giochi. E allora eccolo il capo del Carroccio, che non a caso da Milano tende una mano all’acerrimo avversario durante la presentazione del candidato sindaco di Como. «Siamo disposti a presentare la proposta anche insieme al Pd, noi siamo per il Mattarellum spiega conciliante come mai finora - tutelerebbe sia la rappresentanza sia la governabilità e soprattutto non ti devi inventare niente, in 15 giorni la riapprovi, anche prima del parere della Consulta». Lo aveva detto anche Renzi due giorni fa davanti alla platea dei mille dem: «Un solo articolo», basta un solo articolo, si fa in fretta. E adesso entrambi convergono: «Si potrebbe votare in primavera ». Presto, anche ad aprile, dicono gli interessi convergenti. I numeri non ci sono, né alla Camera né al Senato, ma il cantiere è aperto. A destra poi maggioritario vorrebbe dire primarie, Salvini con molta probabilità leader, cessione definitiva dello scettro della coalizione.
Silvio Berlusconi ha già mangiato la foglia e mobilita le sue truppe. Nei ritagli di tempo di ieri tra un vertice familiare e un briefing con i manager aziendali per arginare l’offensiva Vivendi su Mediaset, ha sondato alcuni tra i big di Forza Italia e tutti hanno avvertito la collera del leader: «Il Mattarellum è l’Opa di Salvini e Meloni contro di me, vogliono farmi fuori ancora una volta». Un fiume in piena, il Cavaliere. Che infatti in serata pubblica attraverso il braccio destro Sestino Giacomoni una nota di fuoco. «Gli italiani non mangiano certo pane e legge elettorale. Il Parlamento avrebbe da occuparsi di ben altre priorità», è la premessa. Poi la stroncatura del maggioritario, «una legge che poteva andar bene quando il paese era diviso in due schieramenti», non ora con tre. Forza Italia dunque volta le spalle a Salvini e si schiera per una « legge che possa garantire la governabilità ma anche la rappresentatività», ovvero un proporzionale, più o meno corretto, ma proporzionale. Da lì l’ex premier forzista non si schioda. Anche perché le prime proiezioni fatte elaborare ad Arcore sono da brividi: se col proporzionale vecchio stampo Fi potrebbe sperare in 120-150 parlamentari, con un sistema a base maggioritario, coi collegi da spartirsi con gli alleati (40 per cento al Carroccio, 40 a Fi, 20 a Fdi e Fitto), i forzisti rischiano di ridursi a 65: la metà. Per non dire del tramonto definitivo di qualsiasi velleità di diventare determinanti per la nascita di un governo di larghe intese subito dopo le elezioni - che poi è il vero obiettivo di Berlusconi - e scarse, scarsissime chance di successo in collegi in cui il centrodestra rischia di arrivare terzo, dopo Pd e M5S. Insomma, il baratro. La riunione congiunta dei gruppi parlamentari forzisti con Berlusconi di domani al Senato si trasformerà nella “fossa dei leoni”. Un gruppo di fedelissimi di peso, coordinatori delle regioni più grandi e senatori, alzano già le barricate in nome dell’identità forzista e del «non moriremo leghisti». Da Gelmini (Lombardia) a Marin (Veneto), da Vitali (Puglia) a De Siano (Campania), da Fazzone (Lazio) a Micciché (Sicilia) a Ceroni (Marche). Poco, molto poco invece Berlusconi ha gradito l’uscita del governatore Giovanni Toti, ormai sempre più vicino alle posizioni leghiste, di sostanziale apertura al Mattarellum («Una base di discussione »). Su questo punto tutto il fronte “sovranista” si sta compattando. Così Giorgia Meloni di Fdi («Va bene tutto purché si voti»), così Raffaele Fitto («Punto di partenza »). Berlusconi è circondato, ne va della sua sopravvivenza politica e punta a far saltare il tavolo.
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Mattarellum, proposta Pd alle Camere
Renzi accelera e lavora a un testo da presentare dopo le feste: “Bene la Lega, anche gli altri dicano sì o no” Delrio: serviranno primarie di coalizione. Pisapia, Merola e Cuperlo rilanciano il centrosinistra
GIOVANNA CASADIO SINISTRA Rep
ROMA. Dall’annuncio ai fatti. Il Pd presenterà la legge elettorale Mattarellum in Parlamento subito dopo le ferie natalizie. Oggi intanto la discussione fissata nella riunione ristretta della commissione Affari costituzionali della Camera che potrebbe dare il via libera all’esame a inizio gennaio .
Matteo Renzi insiste e punta a stanare Forza Italia e i 5Stelle: «Ho tutto il Pd con me sulla legge Mattarellum. Significa collegi e territori. Le forze politiche che non la vogliono devono dirlo e prendersene la responsabilità». All’indomani dell’Assemblea dem, il segretario è soddisfatto del risultato portato a casa, almeno sulla carta. «Bene che Lega, a destra, e Giuliano Pisapia, a sinistra, siano d’accordo sul Mattarellum», dice Renzi.
Il percorso della legge potrebbe partire anche dal Senato, che è il terreno più insidioso ma si deve ancora nominare il presidente della commissione Affari costituzionali, poiché Anna Finocchiaro è diventata ministra. E si fa il nome di Luciano Pizzetti, finora sottosegretario alla Riforme, che però assumerebbe un ruolo-chiave in Parlamento.
Renzi ha chiaro tuttavia che non ci sarà un ritorno al Mattarellum del 1993. Non può funzionare in un sistema tripolare, dove non sono più centrodestra e centrosinistra a fronteggiarsi ma sulla scena politica troneggiano anche i 5Stelle. In una partita a tre, col vecchio Mattarellum si correrebbe «il rischio quasi certo dell’ingovernabilità». Il Mattarellum prevede 475 seggi assegnati con i collegi uninominali maggioritari (vince il candidato che ottiene un voto in più) e 155 con il proporzionale. Ma con tre poli non si riesce a fare una maggioranza.
Una correzione è indispensabile. Quale? Per Forza Italia, o almeno per una parte dei forzisti, potrebbe essere attraente un Mattarellum più proporzionale, cioè con un 60% di collegi uninominali e il resto proporzionale. Anche per Sinistra italiana. Per la sinistra dem, che ha presentato il Mattarellum 2.0, la strada da seguire è opposta: premio di maggioranza (90 seggi) per rendere più maggioritario il meccanismo. Federico Fornaro, il dem che l’ha studiato e proposto, ritiene che non ci sia altra soluzione. «Renzi il coraggio lo ha avuto, perché passare dall’Italicum su cui ha posto a fiducia, al modello Mattarellum, non è cosa da poco. Si convinca delle correzioni da apportare».
Però per il Pd e il suo segretario c’è un piano B. Se continua la melina, allora lo start lo darà la sentenza della Consulta del 24 gennaio sull’Italicum, ora in vigore solo per la Camera, poiché si immaginava che il Senato sarebbe stato abolito. E la sentenza della Corte costituzionale potrebbe anche essere “autoapplicativa”, consegnare cioè un modello con il quale si può andare a votare. O sollecitare immediate limature dal Parlamento.
Domani nella riunione della segreteria del Pd al Nazareno, si dovrà riflettere su un punto: il Pd autosufficiente e a vocazione maggioritaria è finito? Il Mattarellum infatti obbliga alle coalizioni. E il ministro Graziano Delrio in tv ieri a La7, ne trae le conseguenze e annuncia: «Se la legge elettorale dovesse prevedere le coalizioni, penso sia assolutamente giusto fare le primarie». Coalizione che per Pisapia ieri a Bologna a una affollata manifestazione con Gianni Cuperlo, leader di sinistra dem, e con il sindaco Virginio Merola - è il centrosinistra da ricostruire. Quindi - sottolinea Pisapia - «il Mattarellum è una prospettiva positiva» per chi, come lui, dice di voler costruire «una casa comune» e non un nuovo partito. Tante le adesioni, da Massimo Zedda a Nicola Zingaretti, da Sandro Gozi a Antonio De Caro.
Già domani Renzi allarga la segreteria ai sindaci, di certo a quelli di Reggio Calabria e di Ercolano, Falcomatà e Bonaiuto.
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