sabato 28 gennaio 2017

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L’AMICA DI LONDRA 
IAN BURUMA Rep 27 1 2017
IN un’intervista rilasciata alla Bbc, la premier britannica Theresa May ha discusso del suo imminente incontro con Donald Trump, mettendo in evidenza il cosiddetto “rapporto speciale” che lega Usa e Regno Unito. Lei e Trump, ha affermato, avrebbero «rafforzato il rapporto speciale».
LO FARANNO soprattutto nell’ottica di mettere a punto un accordo commerciale in grado di controbilanciare i rapporti tesi ed incerti tra Gran Bretagna ed Europa.
L’affermazione di May contiene dei toni di disperazione, o forse addirittura di panico. Il voto a favore della Brexit ha reso la Gran Bretagna assai vulnerabile, con la sterlina che affonda, le banche pronte ad abbandonare la City e i partner dell’Unione Europea che minacciano di imporre al Regno Unito, vieppiù isolato, delle condizioni assai stringenti.
Il panico è stato spesso alla base del “rapporto speciale” a cui tradizionalmente i britannici tengono più degli americani. La definizione di “rapporto speciale” fu introdotta per la prima volta nel 1917, quando la Gran Bretagna voleva disperatamente che gli Usa, riluttanti, aiutassero gli Alleati a sconfiggere la Germania nella prima guerra mondiale. Fu poi invocata nuovamente nel 1941, quando la Gran Bretagna si oppose da sola alla Germania nazista. Winston Churchill dovette supplicare gli Stati Uniti di prestare un aiuto economico, materiale e militare. Dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbor e la dichiarazione di guerra fatta da Hitler agli Stati Uniti, Franklin D. Roosevelt aiutò la Gran Bretagna a vincere il conflitto. Il costo di quell’intervento fu però assai oneroso: la Gran Bretagna era praticamente in bancarotta, e di lì a breve avrebbe perso il suo impero.
All’epoca, tuttavia, lo speciale rapporto che legava inglesi e americani possedeva un che di maestoso — per non dire di nobile. Nel 1941 Churchill e Roosevelt si incontrarono sul ponte di una nave da guerra americana ancorata nella Baia di Terranova per redigere la Carta atlantica, che divenne una sorta di linea guida per il mondo post-conflitto. In quella circostanza i due leader promisero cooperazione internazionale, liberi scambi commerciali facilitati da minori ostacoli tariffari e una maggiore eguaglianza sociale ed economica.
Quel trattato segnò il momento d’oro del rapporto speciale. Un rapporto che Churchill, così come molti dei premier lo hanno seguito, compresa Theresa May, hanno continuato ad invocare lo con orgoglio, pur sapendo quanto il potere della Gran Bretagna fosse decisamente inferiore a quello degli Stati Uniti.
I leader britannici hanno tentato a più riprese di dissimulare il ruolo subordinato del proprio Paese ostentando un atteggiamento di arroganza culturale. A causa del suo provinciale senso di superiorità, il Regno Unito perse però quasi ogni occasione per diventare una parte completamente integrata dell’Europa. Già molto tempo prima della Brexit i britannici nutrivano nei confronti dell’Ue sentimenti a dir poco ambivalenti, preferendo aggrapparsi piuttosto al “rapporto speciale”. Anziché diventare una delle maggiori potenze europee, la Gran Bretagna ha insistito nel voler essere la sorella minore dell’America.
Tale atteggiamento è stato spesso conveniente per gli Stati Uniti. Quando George W. Bush ebbe bisogno di un partner che giustificasse le sue guerre sconsiderate in Iraq e in Afghanistan sapeva di poter contare sull’appoggio di Tony Blair — il quale aveva già deciso che comunque fossero andate le cose la Gran Bretagna si sarebbe schierata a fianco dell’America. Quell’occasione segnò un momento particolarmente poco onorevole del “rapporto speciale”.
Ma l’atteggiamento dell’America nei confronti della Gran Bretagna non si è basato esclusivamente sul pragmatismo. Anche Washington ha dei motivi sentimentali per appoggiare, almeno a parole, il legame che storicamente lega le due nazioni. I presidenti Usa amano citare Winston Churchill ed esibire il suo busto alla Casa Bianca. Molti di loro, da John F. Kennedy a George W. Bush, si ritenevano dei grandi leader del tempo di guerra. Anche quando, come spesso accade, le guerre da loro combattute erano profondamente insensate. E quando il presidente Obama, che non ha partecipato a simili fantasie bellicose, rimosse temporaneamente il busto di Churchill per farlo restaurare, fu accusato dai patrioti della destra americana di essere una sorta di traditore.
Negli anni Ottanta, quando Margaret Thatcher e Ronald Reagan erano al potere, il “rapporto speciale” attraversò un momento degno di Churchill. Entrambi i leader erano convinti di capeggiare il mondo libero nella sua battaglia finale contro le nefandezze del comunismo. E poiché l’impero sovietico crollò di fatto durante il loro mandato, i due scorsero in ciò una vittoria tale da poter essere contrapposta alla sconfitta che nel 1945 fu inflitta alla Germania e al Giappone. La lotta degli angloamericani per la libertà sembrava essersi conclusa ancora una volta con una vittoria.
Anche l’ideologia di Thatcher e Reagan — una sorta di neoliberalismo economico spinto all’estremo e promosso in nome della libertà e della democrazia — produsse delle conseguenze impreviste. Come quella di allargare il divario tra ricchi e poveri, esporre la vecchia classe operaia ai rapidi cambiamenti economici e distruggere quelle istituzioni (non ultimi i sindacati) che ispiravano nei lavoratori un senso di orgoglio e di appartenenza. La rabbia popolare scaturita da simili conseguenze è alla base del populismo di destra oggi così diffuso in tutta Europa, ha indotto molti a votare per la Brexit e ha fatto approdare Donald Trump alla Casa Bianca.
Il primo esponente politico britannico a rendere visita a Trump dopo la sua improbabile vittoria non è stato il primo ministro May bensì Nigel Farage, il demagogico leader del Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip): colui che ha condotto la campagna a favore della Brexit diffondendo bugie di stampo razzista. Farage è piaciuto molto a Trump, al punto da indurlo a chiedere a May di nominarlo ambasciatore a Washington. L’entusiasmo del neo presidente Usa per l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue lo ha addirittura spinto a definirsi “Mister Brexit”. Così come il primo ministro May, anche il presidente Trump ha espresso il desiderio che il “rapporto speciale” continui. Una delle sue prime iniziative nei panni di presidente è stata quella di trasferire il busto di Churchill nell’ufficio ovale della Casa Bianca.
È difficile immaginare un leader più distante da Churchill di quanto non sia Trump. Se Trump e Farage rappresentano i nuovi volti del “rapporto speciale”, potremmo dire che questo ha finito per risolversi in una tragica farsa. Malgrado tutti i suoi difetti (che non erano certo pochi), Churchill non era né un demagogo né un nazionalista spinto. La sua visione del mondo, condivisa da Roosevelt, si basava sulla cooperazione internazionale, ed è sulla scia di quello spirito che sono nate le istituzioni che a partire dal dopoguerra hanno definito l’Occidente.
Lo sciovinismo di Trump e la sua retorica, racchiusa nel motto “L’America prima di tutto” , sono esattamente ciò a cui Churchill e Roosevelt si opponevano. Trump promette di distruggere proprio ciò che la Carta atlantica era nata per sostenere, come il welfare sociale, l’internazionalismo e il libero commercio.
Non vi è motivo di credere che Theresa May, che ha votato contro la Brexit, condivida la visione del mondo di Trump. Tuttavia, il rifiuto britannico dell’Ue la obbliga a cercare amici laddove può trovarli — anche se ciò significa che il rapporto di cui essa parla con tanto affetto si baserà sul risentito disconoscimento di tutto ciò che lei stessa un tempo appoggiava.
Che a Theresa May piaccia o no, Gran Bretagna e America hanno nuovamente trovato una causa comune. E Marine Le Pen, che durante un incontro dei leader dell’estrema destra europea a Coblenza, ha colto al volo la svolta rivolgendo parole di elogio agli “anglosassoni” (cosa assai rara per un esponente politico francese). «Nel 2016 il mondo anglosassone si è svegliato», ha dichiarato. «Sono sicura che il 2017 sarà l’anno in cui i popoli del Continente si solleveranno».
Churchill e Roosevelt si rivoltano nelle loro tombe.
Traduzione di Marzia Porta
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