giovedì 12 gennaio 2017

Onfray, la scimmia di Spengler allo scontro di civiltà


Intervista al filosofo francese Michel Onfray “La nostra civiltà muoia con eleganza”
La demografia annuncia il primato di Asia e Africa sulla tradizione giudaico-cristiana europea
VINCENT TREMOLET DE VILLERS Corriere 14 1 2017Décadence, la seconda parte della sua “Brève encyclopédie du monde”, ripercorre la nascita, l’apogeo e la fine della civiltà giudaico-cristiana. Non è, scrive il filosofo Michel Onfray, né una soddisfazione, né una disgrazia, ma un dato di fatto. A quale data fa risalire l’inizio di questa decadenza? «Dal momento in cui nasce, un bambino è già abbastanza vecchio per morire. Il mio schema è vitalista, suppone che, così come un vulcano o delle placche
tettoniche hanno vita propria, ci sia una vita delle civiltà. Questa vita può essere interrotta da un evento. Una civiltà, dico una verità lapalissiana, vive in quanto resiste a ciò che vuole la sua morte. Indebolita, un giorno non ce la fa più a resistere e muore. La nostra civiltà ha duemila anni, un’età onorevole per affrontare il trapasso ».
Il cristianesimo si è molto indebolito in Europa, ma ci sono un miliardo di cristiani al mondo. Papa Francesco è più popolare che mai. Questa religione è in via di estinzione?
«Bisogna precisare di quale cristianesimo si tratta! Sono lontani i tempi in cui la religione cattolica raccoglieva dei fedeli che credevano nell’Immacolata Concezione o nella transustanziazione. Il cattolicesimo post-Vaticano II ha laicizzato la fede cattolica dando al popolo dei fedeli una forza di verità quasi uguale a quella del pastore.
Il sacro e la trascendenza spesso sono scomparsi a vantaggio di una morale da boy-scout come regola del gioco contrattuale. Benedetto XVI, che sosteneva un ritorno discreto a ciò che aveva contribuito a distruggere con il Vaticano II, si è trovato nella condizione di doversi dimettere. La sua sostituzione con un papa gesuita, talmente gesuita da prendere un nome francescano, ha anch’essa un senso. Il cattolicesimo trionfa mediaticamente perché il Papa sa usare i media, ma non perché raccoglie attorno a sé dei discepoli di un cattolicesimo esausto. La quantità mediatica e il numero dei fedeli non dicono nulla sulla qualità teologica delle credenze. Quando Papa Francesco dice: “Se un grande amico offende mia madre, si aspetti un pugno”, non sono molto sicuro che Roma sia ancora a Roma».
Da che cosa può essere sostituita la nostra civiltà?
«Da ciò che si dimostrerà più forte di lei e contro cui non potrà combattere. La demografia ci dice che la Francia bianca e cattolica si avvia a scomparire. La cosa non mi indispone, non propongo nessuna politica reazionaria per impedire che questo avvenga, non mi unisco al coro di prefiche, di cui tutti conosciamo i nomi, constato, così come Michel Foucault annunciava la morte dell’uomo il cui volto svanirà sulla sabbia di una spiaggia coperta dal mare, che possiamo annunciare con lo stesso spirito la morte dell’uomo europeo che una volta era prevalentemente bianco e giudeo-cristiano. È così, al di là del bene e del male. La demografia testimonia a favore dell’Africa, della Cina, dell’India e dell’Asia. La risposta alla sua domanda è in quei paesi».
Lei è un materialista eppure scrive che non c’è civiltà senza religione. Dunque riconosce che l’uomo è assillato da un’inquietudine spirituale. Come spiega la contraddizione?
«L’ateismo non è maggioritario nella nostra civiltà. È perfino raro. La negazione di Dio, spiegarlo come una finzione degli uomini per sopportare l’evidenza di essere destinati a morire, riguarda pochi. Ognuno ha a sua disposizione una religione che gli permette di credere in qualcosa dopo la morte. Questa paura della miseria dell’uomo senza Dio, ben analizzata da Pascal quando dice che la condizione umana è simile a quella di uomini incatenati in un sotterraneo, la cui porta non si apre e non fa passare la luce se non quando il carnefice viene a prendere colui che sarà messo a morte, mi sembra giusta. La religione si nutre di questa paura, vuole che il reale non sia vero e che la finzione sia più vera del reale: la morte che è vera non esiste, ma l’immortalità che non esiste è vera: così è ogni religione. La civiltà si cristallizza intorno a questo bisogno ontologico».
All’ateismo religioso, associa l’ateismo sociale. Lei è spietato con le ideologie e il progressismo: con il comunismo, ma anche con il consumismo. Non è, in definitiva, un anarchico?
«La parola “anarchico” ha una connotazione negativa: è l’epiteto che caratterizza i bombaroli del secolo XIX. Vi è un secondo senso, un po’ tecnico, che rimanda a Proudhon, per il quale l’”anarchia positiva” è un modo di organizzazione contrattuale della società. È l’autogestione, il potere orizzontale, la creazione della libertà con formule concrete, pratiche e non violente. Questo è il mio modo di sentire. Il mio anarchismo sociale riguarda le credenze liberali di destra e di sinistra, che sono sbagliate perché credono che lo Stato giacobino è la meccanica ideale, mentre bisogna restituire il potere al popolo perché possa gestire da sé la sua vita comunale, locale, dipartimentale, regionale, e possa poi, con un sistema di parlamenti regionali che designano delle persone secondo la logica del mandato imperativo, gestire la sua vita nazionale e internazionale. Pubblico a marzo un libro su questo argomento: decolonizzare la provincia. Sarà il mio contributo alle presidenziali».
Molti politici e intellettuali ritengono che la nostalgia abbia un aspetto patologico. Lei non nasconde una serie di legami umani, regionali, artistici, politici. È un nostalgico?
«Quando è necessario, sì: la perdita di ciò che era buono e migliore di oggi può legittimamente suscitare rimpianti. Un periodo di pace nel passato è migliore di un periodo di guerra attuale, un periodo antico di intelligenza è migliore di un periodo odierno di idiozia, un’epoca di libertà è migliore di un’epoca di servitù nei nostri giorni, un tempo di amore per le lettere è migliore del disprezzo per le lettere di oggi. Ma se l’oggi è meglio di ieri, preferisco l’oggi: una medicina più efficace per una maggiore salute, delle tecniche digitali di facile apprendimento e uso che consentono l’accesso alla cultura, la scomparsa di indebite gerarchie che permette delle relazioni veramente contrattuali e immanenti, una condizione della donna meno feudale che prima del Maggio del ’68 e tante altre cose. Chi sa essere solo conservatore sbaglia, chi sa essere solo progressista sbaglia: bisogna preservare l’eccellenza e diffidare di ciò che spinge verso il basso».
Lei scrive che il nostro mondo sta crollando e che questo crollo potrebbe travolgere tutto. Perché, nonostante questa cupa constatazione, continua ancora a scrivere, a partecipare attivamente alla vita intellettuale?
«Perché non ci rimane che l’eleganza. Morire in piedi, con il sorriso sulle labbra, dopo aver personalmente contribuito il meno possibile al naufragio».
© Le Figaro / LENA, Leading European Newspaper Alliance Traduzione di Luis E. Moriones

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