Nel frattempo, altri, in fede un po' peggiore, festeggiano pensando che è finalmente tornato il momento di compilare le liste elettorali [SGA].
Quel premio per chi arriva al 40% è quasi irraggiungibile, almeno secondo alcuni dei principali sondaggisti e studiosi di dinamiche elettorali e, se il Parlamento non rimetterà mano alla legge elettorale, il prossimo governo sarà di nuovo di larghe intese o, comunque, sostenuto da partiti che erano rivali alle elezioni. Roberto D’Alimonte, Nicola Piepoli e Roberto Weber analizzano il sistema che esce dalla sentenza della Consulta - l’Italicum corretto o il «Legalicum», per dirla alla maniera di M5S - e tutti concordano sul fatto che anche provando a mettere insieme delle alleanze, il premio di maggioranza sarà difficile da ottenere.
D’Alimonte, che dell’Italicum è un po’ l’ideatore, non è affatto sorpreso della decisione della Corte («L’avevo anticipata ampiamente») e sottolinea innanzitutto l’aspetto che più interessava a Matteo Renzi: «Si potrebbe andare a votare senza ulteriori interventi del Parlamento. Credo che Renzi possa essere soddisfatto, perché rimane un elemento maggioritario (il premio di maggioranza alla Camera, ndr) e i capilista bloccati che gli danno uno strumento molto importante per gestire il partito ».
I veri problemi, spiega, li avrà Silvio Berlusconi, perché «la presenza del premio gli pone un dilemma: vorrebbe correre da solo, ma così si condannerebbe a un ruolo secondario, perché non potrebbe partecipare alla corsa per il premio. E se si alleasse con Salvini e Meloni dopo sarebbe difficile fare il governo con Renzi, come è nelle sue intenzioni». In ogni caso, aggiunge D’Alimonte, «nessuno avrà la maggioranza assoluta e servirà un governo di coalizione», perché il premio è previsto solo alla Camera, mentre al Senato «le soglie (all’8% per chi non è alleato, ndr) potrebbero produrre un effetto maggioritario, ma difficilmente tale da dare una maggioranza assoluta».
Secondo Piepoli, poi, la sentenza dovrebbe allontanare il voto: «Questa legge incasina i partiti, li costringe a ragionare in termini maggioritari. Nessuno può vincere da solo, nemmeno Pd o M5S. Bisogna coalizzarsi, ma così i grandi partiti subirebbero i ricatti dei piccoli». Peraltro, aggiunge, « è comunque molto improbabile raggiungere il 40%». Insomma, «la situazione è così caotica che, per conto mio, non si va alle elezioni ». Lo stesso Renzi, «secondo me non ha troppa voglia di votare, lascia governare Gentiloni, che sa governare, e il Pd ne guadagna». Piepoli cita un dato: «La fiducia degli italiani in Gentiloni è aumentata di 4 punti in due settimane ».
Difficile raggiungere il premio anche secondo Weber: «Mi pare assai improbabile, anche ricorrendo ad una lista-coalizione (come pensa di fare il Pd, ndr). Peraltro, a destra credo che non raggiungeranno un accordo e avremo un sistema quadripartito, di fatto un proporzionale puro». In questo contesto, scordiamoci di «sapere subito chi ha vinto le elezioni». Semmai bisognerà provvedere ad operazioni di «costruzione politica» ma «Grillo e Salvini non hanno mostrato qualità da questo punto di vista. Renzi, mi pare più capace di cucire».
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L’ex premier soddisfatto: confermata la validità dell’impianto. Anche nel Pd c’è chi frena sui tempi Renzi vede le urne più vicine “Trattiamo, ma ora la legge c’è” Berlusconi prepara la trincea TOMMASO CIRIACO CARMELO LOPAPA Rep
ROMA. È il calcio d’inizio della partita elettorale, il segnale che diceva di aspettare. Matteo Renzi la vive così e scalda i muscoli. «Calma e gesso - predica quasi euforico ai suoi al Nazareno - Tenteremo di tornare al Mattarellum, ma con queste leggi della Consulta si può già andare a votare». Non più tardi di giugno, anche se il “partito del rinvio” resta sempre in agguato.
Per come si erano messe le cose dopo il referendum, la Corte non poteva fare altro che cancellare il ballottaggio. «Il doppio turno - confida l’ex premier - era già morto il 4 dicembre». La sentenza, nell’ottica renziana, diventa un punto a favore. Di più, un punto a favore delle urne. Non è il solo a pensarla così, dato che pochi minuti dopo il responso Grillo e Salvini (non Luigi Di Maio, che chiede «correttivi al Senato») urlavano già “al voto, al voto” con il “Legalicum”. Resta fuori, si mette di traverso e minaccia barricate soltanto Silvio Berlusconi.
L’ex premier, tornato in maniche di camicia, è chiuso nella stanza da segretario al Nazareno. Intorno alla scrivania, nel giorno in cui licenzia con un sms l’intera segreteria, resta la cerchia davvero ristretta dei fedelissimi. Niente trionfalismi, è la parola d’ordine, non tira aria di questi tempi. E poi non è il momento di far rullare i tamburi, con i terremotati da assistere, le banche da tenere d’occhio, gli importanti dossier che il governo Gentiloni deve mettere al sicuro, primo tra tutti quello dei conti pubblici. Detto questo, per Renzi il pronunciamento dei tredici giudici della Corte è né più né meno che la conferma della tenuta costituzionale della sua legge elettorale. Resta in piedi il premio di maggioranza, sopravvivono perfino le pluricandidature. Ci sono insomma le condizioni per andare a votare così, per il leader dem. Tanto più con la Lega e il Movimento che si agitano nelle piazze: «Non possiamo dare l’impressione di essere quelli che hanno paura del voto - è il ragionamento del segretario - anche perché non è così e siamo ancora il primo partito».
Ci saranno dei passaggi da consumare e saranno consumati. Il Pd attenderà senza eccessive forzature le motivazioni della Consulta, entro il 25 febbraio, sarà aperto un tavolo con le altre forze politiche, «vedremo se davvero hanno intenzione di cambiare le regole o piuttosto di tirare per le lunghe». Se andrà bene, qualche ritocco lo si farà in poche settimane, altrimenti dritti al voto. Renzi, d’altra parte, si sente già in campagna elettorale. Prima tappa, la due giorni di Rimini di domani e domenica con gli amministratori, alla quale potrebbe fare la sua comparsa anche il premier Paolo Gentiloni. E se è per questo, il segretario ha deciso perfino dove si misurerà: collegio senatoriale in Toscana, perché vuole entrare in Parlamento «a suon di preferenze».
L’umore è schizzato a mille, la sentenza vissuta come una rivincita sulla sinistra interna. I volti dei big della minoranza, ieri in Transatlantico, non sprizzavano certo gioia. Con questo sistema, per loro, le vie di fuga sembrano minime. «A dire il vero - sostiene Miguel Gotor - cade l’idea renziana iper maggioritaria della democrazia del capo». Il problema è che proprio il capo avrà in mano le liste elettorali. «Me l’ha detto anche un leader che ho sentito oggi - racconta in privato l’ex premier - “Matteo, ora avete il coltello dalla parte del manico”». Vale anche nei confronti degli altri capicorrente. I cento capilista li selezionerà il segretario, mentre gli altri dovranno combattere furiosamente a colpi di preferenze per un esiguo bottino di seggi. Ed è proprio in questo delicato braccio di ferro tutto interno al Pd che si decideranno i tempi del ritorno alle urne. Serve un patto tra le diverse anime, oppure sarà scontro. E se Matteo Orfini è al fianco del leader, Andrea Orlando ha qualche dubbio in più sulla rincorsa elettorale. Per non parlare di Dario Franceschini e del resto del “partito del rinvio”.
E Forza Italia? «Renzi farà “’o pazz” per andare a votare, ma lui non è il Pd», provoca a Montecitorio Renato Brunetta, reduce da cinque minuti di colloquio in buvette con il ministro pd Anna Finocchiaro. Il fatto è che per Silvio Berlusconi l’affare si complica non poco. Il Cavaliere - che ieri è finito di nuovo al San Raffaele per esami - ha l’esigenza primaria di guadagnare tempo e di allontanare le elezioni, nell’attesa della sentenza della Corte europea sulla sua candidabilità che dovrebbe arrivare entro il 2017. Altro che urne subito, insomma. Prima del ricovero i big riescono a sentirlo. E la linea non cambia: «Questo sistema non ci favorisce », detta il Cavaliere. Ha il vantaggio dei capilista bloccati, ma tiene in vita le odiate preferenze. Con la bozza che hanno invece messo a punto Ghedini e Letta un mix di mini collegi e proporzionale - sogna di riportare in Parlamento almeno 150 fedelissimi. Sfilandosi dalla stretta di Salvini.
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Pd, blog e squadra nuova per il voto Renzi cita gli scout e riparte con lo slogan: “Il futuro prima o poi torna”. Richetti entra nella segreteriaGIOVANNA CASADIO Rep
ROMA. Nel giorno della sentenza della Consulta, Matteo Renzi lancia il suo blog e saluta la vecchia squadra dem, annunciando che a ore ci sarà la nuova segreteria del Pd. Un gruppetto di centometristi: è la battuta che circola al Nazareno, la sede del partito, per dire che è la squadra che deve preparare il partito nell’orizzonte di elezioni a breve. A giugno, preferibilmente.
La giornata è cruciale. Renzi decide due mosse. La prima è mandare sulla chat della segreteria su WhatsApp un messaggio: «Care amiche e amici, grazie a tutti per quanto avete fatto... riorganizzeremo il partito con una nuova segreteria ma continueremo a combattere insieme ». Qualcuno lo interpreta come un benservito senza neppure una convocazione. Comunque rispondono: «Un onore lavorare con te». La seconda mossa è quella che segna la riscossa social e il primo passo della nuova strategia politica: un blog per comunicare senza intermediari, come fa Beppe Grillo col suo di blog. Il titolo del primo post: «Il futuro, prima o poi, torna». E però subito la precisazione che non si tratta di un blog per reduci: «Ci sono molti modi di cominciare. E di ricominciare. Chi è cresciuto con l’esperienza scout sa che il modo più bello è mettersi in cammino...Noi siamo fieri dei nostri mille giorni. Ma, ragazzi, anche basta. Quello è il passato, ormai. E questo blog non è pensato per i reduci. È un luogo in cui camminare insieme in tanti». Di certo con quei «milioni e milioni di italiani che hanno votato Sì al referendum costituzionale e anche di chi ha votato No e ha voglia di confrontarsi». E poi una stoccata dell’ex premier e segretario del Pd all’Europa: «A cosa serve l’idea dell’Europa nata a Ventotene? A inviare letterine ridicole per chiedere assurde correzioni sul deficit, come quelle che ci hanno inviato senza risultati per tre anni?». Ce n’è per tutti nel blog studiato nei dettagli con una grafica da “Italian Graffiti”, maniche di camicia, cravatta rossa e un sbaffo di bandiera del Pd sotto la firma Matteo Renzi.
Il blog si porta dietro polemiche che vengono dalla minoranza del Pd, del tipo: «Ma non avevi detto propri tu a Grillo di uscire dal blog?». Però i dem sono concentrati sul partito e su come risalire la china dei consensi. Quindi, i nomi della squadra della segreteria praticamente certi: Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, i vice segretari, dovrebbero restare. All’organizzazione del partito arriva Andrea Rossi, braccio destro del governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini. L’ultima novità sarebbe Matteo Richetti, il “figliol prodigo”, fu definito, che dopo tanti conflitti con Renzi si è buttato a capofitto nella campagna referendaria. Entra Tommaso Nannicini che si occuperà del programma. Piero Fassino, l’ex sindaco di Torino e segretario dei Ds, sarà responsabile Esteri. Ci sarà con molta probabilità anche Maurizio Martina, ministro dell’Agricoltura e leader della corrente “Sinistra è cambiamento”. Restano Matteo Ricci, vice presidente del partito, Andrea De Maria, cuperliano, Alessia Rotta, Emanuele Fiano. Infine i sidaci, che dovranno portare l’esperienza e i problemi locali: Mattia Palazzi, primo cittadino di Mantova e per il Sud, o il sindaco di Ercolano, Ciro Buonajuto o Giuseppe Falcomatà di Reggio Calabria.
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