giovedì 12 gennaio 2017
Una rilettura di Thomas Hodgskin
Risvolto
Thomas Hodgskin fu una figura anomala e avventurosa, nell'ambiente
culturale britannico. "Consegnato" dal padre alla Royal Navy all'età di
dodici anni, combatté nelle guerre napoleoniche. Rientrato nella vita
civile, scrisse un potente attacco alla disciplina in uso sulle navi
della Marina e alla pratica della coscrizione di mare (impressment).
Quel lavoro lo segnalò ai maggiori intellettuali dell'epoca.
Sostanzialmente autodidatta, Hodgskin divenne giornalista e cronista
parlamentare. Fu per breve tempo assistente di Jeremy Bentham, viaggiò
per l'Europa, seguì a Parigi le lezioni di economia di Jean-Baptiste Say
e prese moglie in Germania. Collaborò con la stampa radicale e
liberale, fu fra i fondatori del Mechanics' Institute di Londra (una
istituzione votata a perseguire l'educazione della classe operaia), e
divenne infine uno dei primi redattori dell'"Economist". Il saggio più
noto di Hodgskin, "Labour Defended Against the Claims of Capital", ne
fece un punto di riferimento per il nascente movimento operaio. Per
Sydney e Beatrice Webb, i fondatori della Fabian Society e della London
School of Economics, Karl Marx era nientemeno che il suo "illustre
discepolo". Hodgskin tuttora è considerato dai più un "socialista
ricardiano". Questo libro cerca invece di riscoprire Hodgskin come
esponente di primo piano della tradizione del pensiero liberale classico
e della nascente economia politica. Guardava al mondo nuovo creato
dalla Rivoluzione industriale con ottimismo e comprese come esso avrebbe
migliorato le condizioni di vita dei lavoratori, anziché peggiorarle.
Più che anticipare Marx, seguì Adam Smith e cercò di trarre tutte le
implicazioni dal suo pensiero.
Un saggio di Alberto Mingardi reinterpreta l’affascinante figura di Thomas Hodgskin, riformista ante litteram del primo Ottocento
Massimiliano Panarari Busiarda 30 12 2016
Thomas Hodgskin, chi era costui? A tirarlo fuori dagli archivi arriva un libro del direttore generale dell’«Istituto Bruno Leoni» (e editorialista della Stampa) Alberto Mingardi. Che, nel suo Thomas Hogdskin, discepolo anarchico di Adam Smith (Marsilio, pp. 268, € 23), propone una tesi decisamente controcorrente sulle ascendenze politico-culturali di questa figura di interessante «pensatore periferico» dell’Ottocento britannico.
L’economista Hodgskin (1787-1869) è stato prevalentemente considerato come un anticipatore del socialismo, specie per le attestazioni di stima nei suoi confronti arrivate dallo stesso Karl Marx e dai padri del fabianesimo, i coniugi Sidney e Beatrice Webb; e, in generale, gli studiosi concordano nel considerarlo un «socialista ricardiano». Poi è arrivata una lettura completamente diversa, quella di Terence Hutchinson, che lo ha definito un «anarchico smithiano», e proprio di qui prende le mosse questo volume, che vuole far risaltare la carica antistatalista di Hodgskin come osservatore entusiasta della Rivoluzione industriale e supporter di un liberalismo diverso da quello utilitarista (influentissimo nell’Inghilterra vittoriana) di Jeremy Bentham. Un Hodgskin totalmente e integralmente scettico rispetto all’azione politica e ai suoi effetti e, dunque, secondo Mingardi, riconducibile per un verso al «liberalismo classico» e, per l’altro, un «anarchico utopista» convinto che l’atteggiamento migliore da tenere per fare funzionare una società sia quello, distante anni luce dal costruttivismo e dal volontarismo, di «smettere di fare».
E dire che, invece, nella sua esistenza molto vissuta, questa figura eccentrica e assai originale di intellettuale dell’epoca trionfale dell’Impero britannico, si dovette dare parecchio da fare. Il padre, per nulla paterno, lo fece imbarcare a dodici anni su una nave militare; e i dodici anni successivi li passò nella Royal Navy, diventando tenente, combattendo le guerre napoleoniche e sperimentando la disciplina della Marina come sistema fondato sul puro terrore, di cui fu vittima direttamente, finendo degradato ed espulso (seppure con un modesto vitalizio di 66 sterline annue) per la vicenda di un prigioniero che aveva in custodia riuscito a scappare.
L’interminabile periodo passato in mare gli impedì un’istruzione canonica e regolare, e lo obbligò a farsi autodidatta. Tornato, molto deluso, alla vita civile, Hodgskin in un certo senso si mise, correndo a perdifiato, a recuperare il tempo perduto, a partire dalla stesura di An Essay on Naval Discipline (1813), un pamphlet in cui regolava i conti con l’«istituzione totale» rappresentata dalla Marina, la cui prassi di arruolamento coatto non risultava solo illiberale, ma anche soverchiamente inefficiente. Si iscrisse a 26 anni alla facoltà di lettere dell’Università di Edimburgo, si immerse negli ambienti radicali e riformatori, andò a Parigi a seguire alcune lezioni di economia politica di Jean-Baptiste Say (che lo ospitò a casa sua), fu assistente per un breve periodo di Bentham, nel 1822 entrò come giornalista parlamentare nella redazione del Morning Chronicle (una roccaforte della stampa whig) e, infine, fu uno dei primi redattori dell’Economist. Col suo saggio molto dettagliato, Mingardi si propone di decostruire l’opinione comune in letteratura che annovera Hodgskin tra gli scrittori socialisti, denunciandolo come un equivoco.
Se, afferma l’autore, l’irregolare economista inglese non capì la vera natura del capitale, nondimeno non rappresentò affatto un teorico dell’alienazione del movimento operaio, e va invece appunto ascritto ai discepoli di Adam Smith nel giudizio positivo sull’Età della macchina e sui processi di industrializzazione e divisione del lavoro. I destinatari dei suoi scritti principali (la Difesa del lavoro contro le pretese del capitale del 1825 e Popular Political Economy del ’27) coincidevano con i lavoratori specializzati (la famosa aristocrazia operaia), orgogliosi e consapevoli portatori di competenze superiori a quelle delle generazioni precedenti; e l’«ultra-lavorismo» di Hodgskin, lungi dall’essere luddistico o critico, in questo testo si tinge così di accenti ottimistici e si fa apologia del macchinismo.
Alfiere del «diritto naturale» alla proprietà per gli industriosi lavoratori e mercanti, che contrapponeva a quello «artificiale» – e appunto imposto da decisioni politiche – di cui beneficiavano i parassitari latifondisti, sostenitore del free banking e, in qualche modo, teorico ante litteram dell’importanza del capitale umano e dell’utilità della specializzazione del lavoro (con l’indispensabile contrappeso di associazioni operaie per la tutela del salario), l’anomalo studioso inglese che ci viene restituito da questo denso volume è una sorta di «proto-riformista» che soggiace (discretamente) al fascino indiscreto dell’anarchismo non violento. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
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