Quando Lenin bacchettava Tolstoj
Un articolo del 1911: “Utopista e reazionario, la sua dottrina della non-resistenza al male è oggi profondamente nociva” Lenin Stampa 24 2 2017
L’epoca alla quale appartiene Tolstoj e che si è riflessa con un rilievo notevole tanto nelle sue geniali opere artistiche quanto nella sua dottrina, si situa tra il 1861 e il 1905. [...] Per bocca di Levin, in Anna Karenina, Tolstoj ha espresso con estrema nettezza in cosa era consistita la svolta della storia russa in questo mezzo secolo.
«...Le conversazioni sul raccolto, sull’impiego dei lavoratori ecc., che era convenuto, come sapeva bene Levin, venissero considerate molto basse... gli sembravano ora le sole importanti». «Questo forse non aveva importanza all’epoca della servitù della gleba, o non più in Inghilterra. In entrambi i casi, quelle condizioni sono fisse, ma da noi, nel momento attuale, in cui tutto ciò è stato sconvolto e cerca di ordinarsi, il problema del sapere in che modo si formeranno queste condizioni è l’unico problema importante in Russia, pensava Levin».
«Da noi, nel momento attuale, tutto ciò è stato sconvolto e cerca di ordinarsi»: è difficile immaginare una rappresentazione più esatta del periodo che va dal 1861 al 1905. Ciò che è stato «sconvolto» è ben noto a ogni russo, o almeno gli è totalmente familiare. È la servitù e tutto l’«antico ordine» che le corrispondeva. Ciò che «cerca di ordinarsi» è totalmente sconosciuto alla maggioranza della popolazione, le è estraneo e incomprensibile. Questo regime borghese che «cerca di ordinarsi» Tolstoj se lo raffigura vagamente con il volto di uno spauracchio: l’Inghilterra. [...]
[Tolstoj] ragiona in modo astratto e non ammette che il punto di vista dei princìpi «eterni» della morale, delle verità eterne della religione, senza rendersi conto che questo punto di vista non è che il riflesso ideologico dell’antico regime («sconvolto»), del regime della servitù, del modo di vita dei popoli orientali. [...]
Il tolstojsmo nel suo contenuto storico reale è appunto l’ideologia dell’ordine orientale, asiatico. Da là vengono l’ascetismo e la non-resistenza al male tramite la violenza. E le note di un pessimismo profondo, la convinzione che «tutto è il nulla, tutto è un nulla materiale» (Del senso della vita), e la fede nello «Spirito», «fonte di ogni cosa», in rapporto al quale l’uomo non è che un «bracciante» «preposto all’opera della salvezza della propria anima» ecc. [...]
Il pessimismo, la non-resistenza, gli appelli allo «Spirito» dipendono da una ideologia che apparve inevitabilmente in un’epoca in cui l’antico regime tutto intero «era stato sconvolto» e dove la massa cresciuta sotto quel regime, che ne aveva succhiato col latte materno i princìpi, le abitudini, le tradizioni e le credenze, non vede né può vedere quale sia il nuovo regime che «si ordina», quali forze sociali «lo ordinano» e come, quali forze sociali siano in grado di portare la liberazione dagli innumerevoli flagelli, particolarmente acuti, propri delle epoche di trasformazione violenta.
Il periodo dal 1862 al 1904 fu appunto un’epoca di trasformazione violenta in Russia, in cui l’antico stato di cose crollava per sempre sotto gli occhi di tutti, e il nuovo non faceva che ordinarsi, mentre le forze sociali legate a questa riclassificazione non si manifestarono per la prima volta all’opera, su scala nazionale, in un’azione aperta a carattere di massa e negli ambiti più diversi, che nel 1905. [...]
L’insegnamento di Tolstoj è, senza contraddizioni, utopico e reazionario nel contenuto, nel senso più preciso e più profondo del termine. Tuttavia, non ne consegue che la sua dottrina non sia socialista, né che non contenga elementi critici atti a fornire materiali preziosi per l’istruzione delle classi avanzate.
C’è socialismo e socialismo. In tutti i paesi in cui prevale il modo di produzione capitalista, esiste il socialismo che esprime l’ideologia della classe destinata alla sostituzione della borghesia, e quello che corrisponde all’ideologia delle classi che la borghesia ha appena soppiantato. Il socialismo feudale, per esempio, si colloca nella seconda categoria e il suo carattere è stato definito, più di sessant’anni fa, da Marx, assieme alle altre varietà del socialismo. Procediamo. Gli elementi critici sono propri della dottrina utopica di Tolstoj, come lo sono di numerosi sistemi utopici. Non bisogna, tuttavia, dimenticare la profonda osservazione di Marx quando scriveva che l’importanza di questi elementi nel socialismo utopico «è in ragione inversa dello sviluppo storico».
Un quarto di secolo fa, gli elementi critici della dottrina tolstojana potevano a volte essere utili, nella pratica, a certi strati della popolazione, nonostante i tratti reazionari e utopici del tolstojsmo. Nel corso degli ultimi anni, mettiamo, dell’ultimo decennio, non poteva essere così, perché lo sviluppo storico ha fatto un passo in avanti considerevole dagli anni Ottanta alla fine del XIX secolo. [...] Ai giorni nostri, ogni tentativo di idealizzare la dottrina di Tolstoj, di giustificare o di raddolcire la sua «non-resistenza», i suoi appelli allo «Spirito», il suo sermone d’«autoperfezionamento morale», la sua dottrina della «coscienza» e dell’«amore» universale, la sua omelia dell’ascetismo e del quietismo ecc., è assai direttamente e assai profondamente nociva.
Ma un secolo dopo, il romanziere si prende la rivincita sul rivoluzionario
Anna Zafesova Stampa
Si vendeva nelle edicole dei giornali, tra le decine di opuscoletti con la copertina morbida sempre esposti in vetrina. Si dava come esame a scuola, «Lev Tolstoj come specchio della rivoluzione russa», e non si poteva leggere Guerra e pace senza doversi sorbire anche il commento al vetriolo di Lenin. Che con Tolstoj aveva un conto in sospeso, tanto da esserci tornato più volte, senza risparmiargli nulla: «utopista», «reazionario», «nocivo», «ingenuo», «debole», «contraddittorio», «immaturo». Sei saggi, una sorta di carteggio senza risposta, violento e appassionato, che oggi l’editore Medusa ripropone in italiano, tradotto dalla versione pubblicata a Parigi negli Anni Trenta da Romain Rolland.
La polemica di Lenin con Tolstoj non è solo un documento interessante di un’epoca, ma anche l’autoritratto del leader della rivoluzione che quest’anno compie un secolo, e spiega molti tratti di quello che è stato il bolscevismo. Lenin riconosce la grandezza letteraria di Tolstoj - «Che colosso! Che figura gigantesca!», disse a Gorkij, in un episodio diventato anch’esso agiografico - ma sembra non averlo mai letto. Tutto quello che ha affascinato generazioni di lettori - l’introspezione, i dialoghi, i ritratti psicologici, l’anatomia delle relazioni - sfugge al suo sguardo. Il «conte-contadino» è per lui un grande critico del sistema, del capitalismo e dello sfruttamento, che ha descritto magistralmente ciò che il popolo deve odiare, senza però indicare gli strumenti che questo odio deve adoperare.
Quello che fa più infuriare Lenin è la «non comprensione» della rivoluzione proletaria, «la predica di una delle cose più ignobili che sono al mondo, ovvero la religione» e soprattutto la «non resistenza al male». La non-violenza tolstojana è, secondo Lenin, la causa della sconfitta della prima rivoluzione russa del 1905, e ai contadini disperati per il collasso del patriarcale mondo rurale della servitù propone come rimedio la lotta di classe, perché «la letteratura non può non essere di partito», come scrisse in un altro saggio imparato a memoria da generazioni di scrittori e critici sovietici. Un secolo dopo, il romanziere batte il rivoluzionario: nessuno legge Lenin, mentre Tolstoj resta il grande scrittore nazionale, e Vladimir Putin si guarda avidamente la fiction della Bbc tratta da Guerra e pace: «Hanno compreso l’anima russa», dice soddisfatto.
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