Il "compagno Trump", trovando fortunatamente consiglieri più saggi di quanto lui stesso non sia, comincia a fare i conti con la realtà...
“Pace armata” fra il Dragone e Washington ma il futuro è incerto ANGELO AQUARO Rep 11 2 2017
Chissà che quella Trump Tower che il presidente degli Stati Uniti voleva issare sul Bund di Shanghai, con il piccolo aiuto del suo amico Robert De Niro, prima o poi non svetti davvero. Perché ora che tra gli Usa di The Donald e la Cina di Xi Jinping è scoppiata, a sorpresa, la pace, davvero nulla è impossibile: sempre ammesso che la pace sia scoppiata davvero.
L’impresa saltata poco più di un anno fa sembrava la trama di un film: un ricco imprenditore e un divo di Hollywood si mettono in affari per sbarcare nel Paese del lusso emergente. Poi il tycoon si butta in politica e i cinesi non se la sentono di ritrovarsi col grattacielo griffato da un potenziale presidente degli Stati Uniti lì a casa loro. Il simpatico aneddoto svelato dal
Wall Street Journal
è sicuramente indicativo: dietro la guerra a parole, Trump avrebbe sempre guardato alla Cina con un certo interesse, quantomeno personale.
Ma nella pace scoppiata ci sono ancora troppe cose che non quadrano. Dicono, per esempio, che sarebbe stato Rex Tillerson a convincerlo ad accettare la politica di “una sola Cina” che Pechino temeva fosse stata messa in discussione dopo la telefonata che aveva sdoganato Taiwan. L’ex boss della Exxon è certo tra gli uomini-chiave, e lui stesso dev’essersi accorto della gaffe fatta durante gli esami per la nomina a segretario di Stato: per fermare l’espansionismo cinese nel mare del Sud, disse, gli Usa devono tenersi pronti al blocco navale. Da allora è stata un’escalation di esercitazioni e prove di forza made in China: compresa la notizia sbandieratissima di avere pronto il primo missile a medio raggio capace di colpire fino a Okinawa, dove il Giappone ospita la base Usa. Non è un caso che la telefonata tra i due presidenti sia arrivata proprio dopo l’annuncio della collisione mancata, per soli 350 metri, tra un jet usa e cinese mercoledì scorso. Anche di quell’incidente si sussurra che Trump e Xi abbiano parlato: e chissà che non sia stato anzi il motivo che ha fatto scattare la telefonata fra i due leader in freddo. Vuol dire anche questo la Casa Bianca quando specifica che riconoscendo la politica di “una sola Cina” Trump “ha risposto a una richiesta” di Xi Jinping?
Dice il Global Times, tabloid di partito: «Gli Stati Uniti sono più potenti della Cina, ma hanno interessi più vasti in tutto il mondo». Non è un riconoscimento gratuito di leadership. Perché dove questi interessi si avvicinano a quelli di Pechino, “la forza e la volontà” del Dragone di difenderli “eguaglia quella degli Usa”. Eccolo lo “speciale tipo di equilibrio nel Sud Est asiatico” che i cinesi vogliono preservare: voi giocate pure agli sceriffi del mondo, qui si comanda noi. Reggerà? «Siamo lieti di vedere che il presidente Trump e il suo team stanno imparando alla svelta» dice a Repubblica Hong Yuan, l’esperto di relazioni americane dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali.
Ma che cosa ha ottenuto The Donald per lasciarsi piegare così da Xi Jinping? La nuova via della seta, lastricata di migliaia di miliardi di investimenti e infrastrutture, attraverserà anche l’Oceano? O a zittire i falchi come Steve Bannon, quello che «la guerra con la Cina sarà inevitabile», e Peter Navarro, che preparò la telefonata con Taiwan, sono stati invece i muscoli del Dragone? Ah che bei tempi quando sognava di far svettare la sua Tower su Shanghai: adesso President Trump deve pensare a non infilarsi in qualche collisione in acque che non aveva mai navigato.
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