lunedì 20 febbraio 2017

La Russia, la crisi dell'UE e il mondo multipolare


Risultati immagini per putinMosca all’Occidente “Ora serve un nuovo ordine mondiale” Il ministro Lavrov: manca equità e sovranità dei singoli Stati E attacca l’Alleanza: ancora un’istituzione della Guerra Fredda Busiarda 19 2 2017
Meno di otto minuti: tanto ha impiegato il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, per schizzare la sua idea di un nuovo ordine mondiale «post-occidentale» e di una nuova «èra post-fake» alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza. «La Nato è ancora un’istituzione della Guerra fredda», purtroppo «la Guerra fredda non è stata superata, come dimostrano molti discorsi che abbiamo ascoltato in questi due giorni», spiega Lavrov davanti una platea in cui spicca anche il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg. «La globalizzazione ha fatto sì che una sorta di club elitario di Paesi governi il mondo, ma ciò non può funzionare nel lungo periodo», avverte. Per questo, continua, spero vengano prese decisioni che puntino a creare «un ordine mondiale democratico ed equo, un ordine mondiale post-occidentale, in cui la sovranità degli Stati venga garantita e ognuno possa realizzare i suoi interessi nazionali, mostrando però rispetto per gli interessi degli altri». Il capo della diplomazia russa si spinge oltre e lancia un invito a lavorare insieme per raggiungere un’«èra post-fake».
Lavrov critica poi l’Unione europea: vogliamo vedere un’Europa libera, che agisca in modo indipendente sullo scacchiere internazionale, la realtà però è che la Ue non trova ancora la forza per condurre una politica indipendente nei confronti della Russia, il buon senso viene sacrificato alla «russofobia», attacca.
Mano tesa alla nuova amministrazione statunitense: «Abbiamo bisogno di relazioni pragmatiche, serve stabilità internazionale, è nel nostro interesse comune rafforzare ulteriormente i rapporti tra Usa e Russia», nota Lavrov. Il quale respinge al mittente l’accusa di ingerenze nella campagna elettorale negli Stati Uniti, ma non solo: «Non ho visto prove, solo alcune accuse che avremmo tentato di violare dei siti del partito democratico americano. Lo stesso avviene in Francia, in Germania, in Italia».
Quanto al conflitto in Ucraina, Lavrov invita il governo di Kiev e i separatisti pro-Russia al dialogo. La Russia non vuole nessun conflitto con chicchessia, ma vogliamo difendere i nostri interessi, puntiamo a un dialogo che assicuri vantaggi a tutti, avverte. Un tema, quello del conflitto nell’Est dell’Ucraina, affrontato anche in una riunione del «Quartetto di Normandia» (Ucraina, Russia, Germania e Francia) svoltasi a margine della conferenza sulla sicurezza. Nella riunione, ha riferito il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel, le parti hanno concordato di esercitare la loro influenza affinché venga raggiunta una tregua a partire da lunedì. [a. alv.] BY NC ND ALCUNI DIRITTI
Putin pronto a raccogliere i frutti del ritorno della Grande Russia La sfida del presidente: rafforzare il suo ruolo internazionale Stefano Stefanini Busiarda 19 2 2017
Vladimir Vladimirovic Putin se n’era dimenticato. Febbraio è il centenario della rivoluzione che mise fine alla Russia zarista e sfociò nella rivoluzione d’ottobre e nella nascita della Russia sovietica. Ma chi celebrare? Vladimir Ilyich Lenin, le cui spoglie giacciono ancora sulla Piazza Rossa? Aleksandr Fedorovic Kerenskij, meteora romantica spazzata via dai Soviet bolscevichi? Nicola II che abdicò per salvare la monarchia e la consegnò invece ad una tragica fine? La memoria collettiva russa è conflittuale.
Il Presidente russo ha altro cui pensare. Mosca non guarda al passato. Il centenario del 1917 porta una scia di glorie e di ferite, di ricordi dolorosi e di nostalgie contrastanti. Nel «secolo americano» Russia ha tenuto testa a guerre e rivoluzioni. Ha traballato e si è sempre rimessa in piedi. La grande sfida è il secolo che verrà.
Sotto Putin la Russia ha risalito la china che l’aveva prematuramente relegata al ruolo di «potenza in declino». I mezzi sono stati talvolta brutali, i risultati efficaci. Forse declinerà, ma intanto è tornata di prepotenza nel consesso delle grandi potenze. Gliene dà atto il nuovo Presidente americano. La Russia vuole ora capitalizzare gli spregiudicati investimenti fatti in Ucraina, in Siria, nel concerto anti-occidentale dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), nel riaffacciarsi in Mediterraneo.
Nel 2017 cambiano però i giochi internazionali. Adesso anche la Washington di Donald Trump vuole rivoluzionare lo status quo anziché mantenerlo. Quanto questa inversione di marcia gioca a favore della Russia? Putin ha tifato per Trump, ora lo deve scoprire. E se la novità gli si rivoltasse contro? Fra due Superpotenze nucleari c’è poco da scherzare.
A lungo una spina nel fianco, l’Unione europea scricchiola. Ha perso il grosso pezzo britannico, quasi il 30% delle capacità militari (questi numeri contano al Cremlino, dove un tempo ci si chiedeva quante divisioni avesse il Vaticano). Le tre, forse quattro, elezioni decisive del 2017 possono darle il colpo di grazia. Il ridimensionamento dell’Ue sarebbe una liberazione dall’ossessione delle regole e del consenso multilaterale, dall’esportazione dell’indisciplina democratica nel vicinato orientale e balcanico, dal pericoloso precedente della sovranità condivisa. La rivincita dello Stato-nazione darebbe ragione alla democrazia sovrana di Putin. Un’Europa divisa è più debole e un concorrente meno temibile nei Balcani e nello spazio ex sovietico. Ma è anche più instabile e Mosca ha spesso subito conseguenze tragiche della disunità europea.
Le forze populiste anti-Ue, più o meno apertamente sostenute dalla Russia, sono vicine come non mai al potere o a creare ingovernabilità. Una volta incoraggiato il nazionalismo prende però direzioni imprevedibili. Le urne sono influenzabili (il Cremlino ne sa qualcosa), non determinabili. In Francia i giochi sembravano fatti fra Marine Le Pen e François Fillon, entrambi filo-russi. Spunta Emmanuel Macron, volto nuovo che può rinvigorire il progetto europeo. In Germania, Angela Merkel era un ostacolo collaudato, Martin Schulz sarebbe un’incognita.
La Russia vanta di essere potenza «euroasiatica». La carta geografica le dà ragione. Il grande concorrente negli spazi continentali è la Cina, non gli Stati Uniti. Con l’abbandono del Tpp (Trans-Pacific Partnerhip), la nuova amministrazione americana ha iniziato la ritirata protezionista. Xi Jinping non ha perso tempo a candidare la Cina come perno del libero commercio. Una Cina dominante in Asia lascerebbe al palo la Russia, già in forte ritardo economico. Nel gioco kissingeriano delle tre carte (Washington-Mosca-Pechino) i russi non vogliono trovarsi con la mano più debole.
In Medio Oriente e in Mediterraneo, i progressi russi sono stati spettacolari. Ora serve il consolidamento: nelle sabbie mobili della Siria, fra le fazioni della Libia, nella lotta contro Isis, nel rapporto con alleati difficili, come l’Iran, negli acrobatici equilibri fra Israele, Turchia, Egitto, Arabia Saudita. Mosca ha salvato il regime di Damasco ma non ha ancora sbloccato la pax siriana. Deve tenere il terrorismo lontano da casa e evitare che l’avventura mediorientale diventi un impantanamento.
In Ucraina, Putin tenterà la quadratura del cerchio: non mollare l’osso e ottenere l’allentamento, se non l’eliminazione, delle sanzioni. L’appuntamento più importante dell’anno sarà il primo incontro col Presidente americano. Per trovare l’intesa che entrambi cercano dovranno mettere sul tavolo contropartite. Da buoni uomini d’affari possono trovarle. Se Mosca e Washington si mettono d’accordo sarà difficile per altri opporvisi.
Cent’anni fa lo zar abdicò. Il Presidente russo non ha né intenzione né motivo. Vuole assolutamente evitare che il 2017 metta in discussione lo status internazionale recuperato dalla Russia con le buone o con le cattive. Vladimir Putin ha fatto proprio il motto di Caterina la Grande: «I vincitori non saranno giudicati». Bisogna però rimanere vincitori. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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