martedì 7 febbraio 2017
Michele Ruggieri e il confucianesimo in Europa alla fine del Cinquecento
Confucio. La morale della Cina. Ovvero il Grande Studio, l'invariabile Mezzo e parte dei Dialoghi tradotti nel 1590 dal gesuita Michele Ruggieri per sua Maestà Filippo II, De Luca Editori d’Arte, 18 euro
Risvolto
Alla fine del ’500 un gesuita spinto dalla necessità di
descrivere al re di Spagna quell’immenso e sconosciuto paese, quale era
l’impero cinese decide di tradurre in spagnolo i Quattro classici di
Confucio. Nasce così la prima traduzione al mondo del vademecum della
burocrazia cinese. Su quei libri si è modellato tutto il lontano mondo
orientale. È un piccolo gioiello, un degno regalo per il più potente
imperatore d’occidente che ora noi ripubblichiamo nella sua prima
edizione italiana.
La vera storia dei gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare alla corte dei Ming
Eugenio Lo Sardo racconta il primo scopritore di Confucio, Michele Ruggieri Studiò con Torquato Tasso, preparò la strada a Matteo Ricci e compilò un rapporto segreto e un atlante per l’imperatore Filippo II
SERGIO BASSO Rep 7 2 2017
È appena uscita in Italia una nuova traduzione delle opere di Confucio. Apparentemente è l’ennesima; storicamente, però, è la prima. La prima in assoluto. Dietro questo paradosso, si celano la vita e gli sforzi di un uomo che alla Cina donò molti anni della sua vita, più di quattrocento anni fa. Nel XVI secolo, i gesuiti si resero protagonisti di un empito missionario formidabile che dalle coste lusitane li portò a predicare il Vangelo in India, in Giappone e finalmente in Cina. Ma la missione, nell’Impero di Mezzo, accusò le prime battute di arresto: nel 1590 la Spagna stava valutando se dichiarare guerra alla Cina, i mandarini erano al corrente delle mire espansionistiche degli europei, e i gesuiti, di conseguenza, erano visti con profondo sospetto.
All’Escorial si questionava sui cavilli giuridici che avrebbero giustificato l’assalto agli occhi del mondo. Filippo II convocò dunque alla reggia fuori Madrid un gesuita italiano che dalla Cina era appena tornato, con le bozze per un atlante. Non si tratta di Matteo Ricci, il nome che balza subito alla mente ogniqualvolta si parli dei primi incontri tra intelligencija occidentale e mandarini cinesi nell’evo moderno. Si chiamava Pompilio Ruggieri, veniva dalla Puglia e aveva studiato a Napoli tra gli stimoli di compagni di classe dal talento abbacinante come Torquato Tasso. Però poi aveva scelto la fede e la Cina. Con i voti prese il nome di Michele e visse in Oriente dal 1579 al 1588, a preparare il terreno per i missionari gesuiti. Ecco perché nel 1591 Ruggieri viene ricevuto all’Escorial. Filippo II, sovrano meticoloso, sul finire dell’incontro chiede a Ruggieri di poter leggere una crestomazia dei filosofi cinesi. Ed è così che Michele si decide a completare un’opera che portava avanti da tempo, la traduzione in spagnolo di alcuni dei classici confuciani. Sarebbe stata la prima volta in assoluto che Confucio veniva tradotto in una lingua occidentale. Più di trecento anni dopo, il lavoro di Ruggieri venne scovato da Julian Zarco, bibliotecario dell’Escorial, nel 1921. Ne è finalmente uscita la versione italiana, curato e con un’impeccabile prefazione di Eugenio Lo Sardo ( Confucio. La morale della Cina, De Luca Editori d’Arte, 18 euro). Ecco svelato il paradosso.
Ma da dove nasceva la dedizione di Michele per la Cina? Aveva sin da adolescente vagheggiato dell’Oriente, grazie ai diari di viaggio di alcuni mercanti — l’italiano Galeone Pereira nel 1565 e il frate domenicano Gaspar da Cruz, nel 1569 — e ai rapporti dei gesuiti alla “casa madre” a Roma. Già nel 1578 predicava a Goa per la Societas Iesu. La rapidità nell’assimilare la lingua locale convinse i superiori che era lui l’uomo su cui puntare per espandere la diffusione del Verbo ancora più a Oriente, in Cina. Ma Ruggieri faticò ben tre anni a superare il limbo burocratico in cui lo tenevano i funzionari cinesi presso l’avamposto meridionale dell’impero, a Macao.
Il cristianesimo era già penetrato in Cina, sin dal VII secolo, con i nestoriani; ma il problema non era entrare, era restarci. Ad esempio il nucleo cristiano creato a cavallo tra XIII e XIV secolo dal francescano Giovanni da Montecorvino, già vescovo di Pechino, era ormai sparito completamente durante la dinastia Ming: la Cina di fine XVI secolo non è la Cina cosmopolita della dinastia mongola Yuan di tre secoli prima.
Il tarlo più bruciante fu che Ruggieri con il cinese si arenò. Ecco perché i Gesuiti mandarono Ricci, di nove anni più giovane: in Italia Matteo aveva dato prova di essere un portentoso assimilatore di idiomi grazie alle sue pratiche mnemotecniche. È il 7 agosto 1582, Ricci sbarca a Macao, e la missione gesuita cambia marcia. Per capire la radicale differenza d’indole tra Ruggieri e Ricci, l’uno sognatore e il secondo pragmatico, il primo fantastica di incantare il sovrano cinese portandogli in dono regali bizzarri, come uno struzzo. Ricci intuisce che per rompere il muro di gomma della corte serve invece la scienza. Insegna la mnemotecnica ai figli di mandarini influenti, in modo che vadano bene agli esami imperiali e lo facciano entrare nei giri che contano. Inizialmente, complice i capelli corti all’italiana e la barba lunga alla portoghese, si fa passare per un monaco buddista straniero. I sodali cinesi gli svelano tuttavia l’enorme abbaglio strategico: i buddisti possono contare su un’ascesa sociale limitata; se Matteo vuole puntare in alto, è meglio mimetizzarsi da confuciano.
Il confucianesimo è la dottrina sviluppata dal filosofo Kong a cavallo fra VI e V a.C., che si poneva gli stessi interrogativi di cui Platone si sarebbe occupato nella Repubblica un secolo più tardi: quale dev’essere il fine di un leader? Quale il ruolo dell’uomo nella famiglia, nella società? Confucio produsse un sistema filosofico che nei secoli seppe sfornare funzionari statali di altissima dirittura morale.
Intanto Michele viene richiamato in Europa per organizzare un’ambasceria papale a Pechino, una nuova missione che non si realizzerà mai. Si porta dietro le bozze delle cartine per quel progetto di atlante della Cina che tanto interesseranno Filippo II, e un inseparabile servitore sino-portoghese. Dei quattro libri confuciani che interessarono Ruggieri, Il grande studio, Il giusto mezzo, I dialoghi e il Mencio, solo un capitolo del primo è sicuramente autentico; il resto è sistemazione dei discepoli. L’opera di Ruggieri è ancora oggi di una freschezza affascinante, perché permette di entrare nell’officina del traduttore alle prese con alcuni problemi basilari. Il nome stesso di Confucio (Kong fuzi, “il venerabile maestro Kong”) viene trascritto per la prima volta e quindi risente di qualche incertezza: “Confu”, “Confussio”, “Confusio”.
Tra i precetti che Confucio suggerisce al buon governante brilla ancora questo con la voce di Ruggieri: «Dai protezione agli stranieri. Accompagnali quando vanno via, vai loro incontro quando arrivano, lodane i buoni, abbi compassione degli ignoranti: questo attira gli stranieri ». Magari fossimo confuciani.
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