“Così ho fatto riapparire sul Mosè le impronte vive di Michelangelo”
Il restauratore Antonio Forcellino: “L’artista dava colpi perfetti, trascinandoli per 10-11 centimetri. Ora sarà più facile risolvere i casi di attribuzioni dubbie”
Flavia Amabile Stampa 23 2 2017
Antonio Forcellino allarga le braccia e sorride: «È semplice, un gioco per bambini». Si prende un foglio di carta, lo si stende sul marmo. Si aggiunge della carta copiativa e un terzo strato di tela di sacco. Si strofina ed ecco apparire il rilievo del marmo con i dettagli dell’incisione. In quei dettagli l’occhio esperto è in grado di riconoscere l’impronta di un artista.
In questo mondo sempre più tecnologico Forcellino ha trovato così, con dei gesti antichissimi, l’impronta di Michelangelo, il segno inconfondibile del tocco sul marmo dell’autore della Pietà e sta per scatenare un terremoto nel mondo della storia dell’arte. Accadde lo stesso diciotto anni fa quando, con il suo usuale sorriso, mise in discussione secoli di accademie e volumi scritti sul Mosè realizzato da Michelangelo nella Basilica di San Pietro in Vincoli riconoscendo il tocco del grande artista dove nessuno fino ad allora l’aveva immaginato. Dopo molte reticenze quella scoperta è stata accettata, nessuno più osa mettere in dubbio che il grande genio sia l’autore dell’intero monumento.
Difficile dire che cosa accadrà con questa nuova scoperta ma ancora una volta Forcellino mette il mondo accademico di fronte a prove concrete: la differenza tra le impronte rilevate sulle parti della tomba di Giulio II lavorate da Michelangelo e quelle lasciate da altri scultori. «Per uno studioso che ha familiarità con le tecniche usate dagli artisti, le tracce lasciate su un foglio sono immediatamente leggibili - spiega -. I rilievi realizzati sulle statue della tomba di Giulio II mostrano elementi straordinari e oggettivi. Si vede chiaramente che Michelangelo dava dei colpi trascinandoli per 10-11 centimetri. Si nota che il segno lasciato è regolare, vuol dire che aveva la forza di controllare scalpello e martello in modo da avere un controllo perfetto: sembra che a spostare gli strumenti sia una macchina, non una persona. È lo stesso effetto che si ha osservando la Cappella Sistina con le sue pennellate perfettamente parallele e sempre alla stessa distanza».
Dallo studio dei rilievi emerge anche la capacità di Michelangelo di rifinire le opere senza dover usare la raspa al contrario di tanti altri artisti. Quando vuole che la pietra assorba la luce usa la gradina o il calcagnuolo, un tipo di scalpello. Quando vuole maggiore luminosità usa la pomice che crea un effetto liscio sul marmo. Quando vuole dare un effetto di preziosità alla pietra usa il piombo. Se, invece, deve cambiare direzione lo fa imprimendo ai colpi un angolo di 45 gradi con una regolarità e una sicurezza impressionanti soprattutto se si pensa che quando lavorava a quest’opera aveva già 70 anni: scolpiva il marmo con la forza di un uomo nel pieno del vigore. Riusciva persino a incidere linee curve nel marmo seguendo, ad esempio, la piega del gomito nel Mosé senza interrompere la corsa dello scalpello.
Lo studio di Forcellino si è concentrato sulla tomba di Giulio II presente nella Basilica di San Pietro in Vincoli dove ha lavorato da settembre a dicembre per un restauro del monumento grazie al sostegno del Gioco del Lotto. «La tomba di Giulio II si presta molto bene all’applicazione di questa tecnica - spiega -. Al monumento hanno lavorato diversi artisti, dai rilievi appaiono evidenti i diversi stili. La Sibilla, la Statua del Profeta e la Madonna col Bambino, ad esempio, sono stati realizzati da Raffaello di Montelupo: quando abbiamo tolto il foglio dal marmo abbiamo trovato tratti più timidi, incerti e disordinati e i segni della raspa che Michelangelo non avrebbe mai usato. Non poteva essere stato lui l’autore».
A questo punto la nuova tecnica è pronta ad essere applicata ad altre opere. «Renderà più semplice risolvere le liti in caso di problemi nelle attribuzioni. Finora per comprendere i segni caratteristici di Michelangelo si dovevano osservare i rilievi lasciati sul marmo, un procedimento non esente da errori. Quando vengono ricalcati e riportati su un foglio i rilievi diventano una vera e propria grafia che non lascia più spazio a dubbi. In caso di controversie è importante avere dati oggettivi. Non sostituiranno mai la ricerca ma possono integrarla con dati al di sopra delle opinioni e a costo zero per l’opera d’arte, senza creare alcun danno».
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«Ottimo lavoro Ma prevalga il giudizio sullo stile» Paolucci Stampa
Come spesso accade in questi casi sulla scoperta di Antonio Forcellino gli esperti si dividono. Secondo il critico Vittorio Sgarbi «si tratta di un’idea interessante, mi piacerebbe vederlo all’opera». Più cauto il giudizio di Antonio Paolucci che da un mese ha lasciato la direzione dei Musei Vaticani dove è custodito uno dei capolavori di Michelangelo, la Cappella Sistina.
Forcellino ha messo a punto un’altra novità, una tecnica per far emergere l’impronta degli artisti.
«Non ho visto la tecnica, ma Forcellino me ne ha parlato. D’altra parte ho visto il risultato del suo intervento sulla tomba di Giulio II, mi sembra un lavoro eseguito molto bene. Anche in passato ha lavorato molto bene su quel monumento».
Crede che questa tecnica riuscirà a introdurre un elemento di oggettività in caso di liti nell’attribuzione di statue?
«Sono convinto che Forcellino sia una persona esperta e di grande preparazione. Ma so anche che parlare di riconoscibilità e di calligrafia degli artisti è un campo molto rischioso su cui è meglio andare cauti».
Qual è il rischio?
«Arrivare alle conclusioni sbagliate. Continuo a credere che l’occhio di un esperto che osserva un’opera d’arte e il suo giudizio stilistico debbano prevalere. Credo che sia difficile introdurre elementi in grado di sostituire chi per anni ha studiato le opere».
È quello che sostiene anche Forcellino: non sostituire ma affiancare la valutazione degli esperti con elementi oggettivi.
«Allora va bene, siamo d’accordo». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
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