martedì 7 marzo 2017

Ancora su populismo e sovranità

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I due corpi del popolo 

Come nel caso della figura del re anche per i cittadini esistono un’entità fisica e una politica Ecco perché i demagoghi prendono il potere eliminando questa distinzione

ROBERTO ESPOSITO Rep 6 3 2017
Ci sono parole maledette — nel senso di “dette male” — che, in certe stagioni, calamitano l’attenzione e anche il risentimento generale. È il caso, oggi, del lemma “populismo”. Intendiamoci: il populismo contemporaneo, con tutte le sue distinzioni interne, contiene effettivamente i rischi che si paventano. Ma, se resta confinata alla parola, senza andare alla sua radice, la discussione rischia di rimanere superficiale e di precludersi la strada per fronteggiarlo adeguatamente. Inoltre, nel momento in cui si individua in ogni populismo il nemico da combattere, si rivolge contro di esso lo stesso schema binario che il populismo usa nei confronti dei propri avversari: noi contro loro. E su questo terreno esso è più forte, come appare in tutti gli scontri in atto di questo tipo.
La via per uscire da questo cortocircuito passa per un allargamento dello sguardo al termine che il populismo contiene — vale a dire al “popolo”. Sono utili, in questo senso, i due fascicoli de La società degli individui (1/2015) sul populismo e della Rivista di politica (4/2016) sul potere del popolo. Ai quali va aggiunto il volume collettaneo Che cos’è un popolo? (DeriveApprodi 2014), con saggi di Badiou, Butler, Rancière e altri. Va messo in evidenza che il dispositivo di esclusione del populismo nei confronti della parte avversa è implicito nello stesso concetto di popolo. La nozione di popolo si costituisce sempre in opposizione a qualche cosa d’altro che pure, contraddittoriamente, ne fa parte. È stato così in tutte le denominazioni che esso ha assunto nelle varie epoche. Nel demos greco, comprensivo dei soli cittadini liberi rispetto alla massa degli schiavi e dei lavoratori; nel populus romano, ben diverso dalla plebe che pure rientrava in esso; nel popolo medioevale, differenziato al suo interno in popolo grasso e popolo minuto. Insomma una parte di società è sempre rimasta irriducibile alla totalità del popolo.
Anche quando, nella fase moderna, il popolo ha acquistato la sovranità, ereditandola dai monarchi assoluti, ha riprodotto la dualità che, secondo la celebre formula di Ernst Kantorowicz nel suo classico I due corpi del re, tagliava il corpo del sovrano in due corpi differenti — quello fisico della persona, soggetto a morte e quello, politico, reso immortale dalla continuità della successione dinastica. Si può dire che anche il popolo abbia due corpi diversi e talora opposti. Un corpo politico, soggetto della sovranità, e un corpo sociale che la subisce.
In questo senso, ben prima che il populismo entrasse in scena, ogni popolo è da sempre già attraversato da una faglia che lo rende introvabile, come si esprime Pierre Rosanvallon ( Il popolo introvabile, il Mulino 2005). Nella lectio magistralis La democrazia minacciata, tenuta durante il conferimento della laurea homoris causa all’Università di Urbino, Bernard Manin ha sostenuto che la democrazia rappresentativa porta come inevitabile conseguenza un discrimine tra governanti e governati, potere costituente e potere costituito.
Nonostante quanto si dichiara, la sovranità nazionale non coincide mai con la sovranità popolare, il popolo resta diverso dalla nazione. Se non altro perché è diviso in se stesso tra parti tanto disuguali da percepirsi con difficoltà come un unico popolo. Ogni popolo contiene al proprio interno diversi popoli sotto il profilo sociale e adesso, con l’immigrazione crescente, anche sotto il profilo etnico. Il corpo elettorale non coincide con quello politico e questo è altro dal corpo sociale. In questo senso “potere del popolo” è espressione ambivalente e contraddittoria. Cosa vuol dire esercitare il potere su se stessi? E cosa lega l’azione dei rappresentanti al volere dei rappresentati, nel momento in cui viene meno anche il vincolo di mandato? Nel sistema rappresentativo coloro che prendono le decisioni non sono sottomessi alla volontà degli elettori. Questo significa “rappresentanza”: che gli uni stanno al posto degli altri per rappresentarli. Naturalmente c’è la Costituzione, che il popolo autorizza, ma di cui non è artefice diretto. Non a caso le Costituzioni moderne sono state scritte da giuristi (Barnave, Preuss, Mortati). Non solo, ma in tutte le democrazie esistono istituzioni non elettive, come le Corti. Del resto sul massimo dei poteri sovrani, un tempo prerogativa regia, quello della dichiarazione di guerra, il parlamento ha una forma di controllo, ma non la disponibilità. Neanche l’istituto del referendum, che sembra di tanto in tanto rimettere il potere nelle mani del popolo, costituisce un valido contrappeso alla dissimmetria tra governanti e governati. Ogni referendum tende a modellare la risposta attraverso la formulazione della domanda secondo un modello binario — sì o no — che riduce drasticamente la possibilità di determinare effettivamente le scelte politiche. Si tratta di uno strumento, certo necessario, ma rigido ed escludente, per di più privo di reversibilità, come ha provato quello che ha sancito la Brexit senza possibilità di ripensamento.
È su queste contraddizioni, e su queste fratture interne, che lavorano i populismi. Non sanandole, ma allargandole ai propri fini. Per contrastarlo non bastano gli anatemi, se si ignora tutto questo. Colpisce, con le dovute eccezioni, l’impressionante deficit storico-giuridico della nostra classe politica. L’unica strada capace di fronteggiare il populismo non è quella di unificarne le diverse espressioni, mettendole tutte sullo stesso piano. Ma, al contrario, quella di dividerle, incorporandone alcune esigenze. Soprattutto in ordine alle emergenze sociali.
Soltanto se si riuscirà a ridurre la divisione originaria dei due corpi del popolo — il corpo politico e il corpo sociale — sarà possibile rilanciare la politica nella stagione del suo apparente tramonto. Ma, per farlo, la politica deve rompere lo specchio autoreferenziale in cui da tempo si guarda, aprendo il proprio recinto alle richieste, sempre più pressanti e inascoltate, che vengono dai diversi popoli che formano ogni popolo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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