mercoledì 8 marzo 2017
I negrieri italiani espugnano anche la sinistra tedesca e anche lì propongono il Centrosinistra con SEL
Ipotesi di lavoro. Inizia con l'intervista alla direttrice dell'Institut Solidarische Moderne Andrea Ypsilanti una serie di interviste sulla discussione nella sinistra tedesca in vista delle lezioni
Beppe Caccia e Sandro Mezzadra Manifesto 7.3.2017, 19:45
Per decenni il sistema politico tedesco è stato sinonimo (e garanzia per le élite europee) di «stabilità». Certo nell’alternanza di governo dei due principali partiti, l’Union dei cristiano-democratici con i cristiano-sociali bavaresi e la Socialdemocrazia. Certo con l’affacciarsi sulla scena di nuove forze politiche, come accaduto con l’affermazione dei Grünen negli anni Ottanta, a partire da movimenti come quello antinucleare. Certo con il faticoso processo di riunificazione dei Länder dell’Est, le regioni dell’ex Repubblica Democratica (Rdt).
In ognuno di questi passaggi è parso che il modello dell’«economia sociale di mercato» tramutasse la sua capacità di «integrazione» e neutralizzazione sistemica del conflitto di classe in fattore di permanente stabilizzazione della scena politico-istituzionale.
Questo paradigma ha consentito al governo Socialdemocratici-Verdi, guidato tra il 1998 e il 2005 da Gerhard Schröder, di approvare con l’«Agenda 2010» pesanti riforme al sistema di Welfare State, Il prezzo pagato dall’Spd fu la scissione a sinistra della Wasg di Oskar Lafontaine e la sua alleanza con la Pds (il Partito del Socialismo Democratico, radicato a Est), la cui fusione diede vita nel 2007 a Die Linke.
Il resto è storia recente, con l’ascesa della democristiana Angela Merkel, dal 2005 ininterrottamente cancelliera federale, alla guida di maggioranze variabili (prima con l’Spd, poi con i liberal-democratici dell’Fdp, poi di nuovo in Große Koalition). Essa stessa emblema della «stabilità». E dell’evidente ruolo egemonico giocato dalla Germania nell’Europa segnata dalla «grande crisi». La Cancelliera sembrava predestinata a guidarla ancora a lungo.
Ma da un anno a questa parte non è più così: la cosiddetta «crisi dei rifugiati» prima, l’inquietante comparsa dei populisti di destra dell’Afd (Alternative für Deutschland) poi, la candidatura infine alla guida dell’Spd di Martin Schulz e lo sconquasso dei sondaggi (ne parliamo qui a fianco). Insomma: la mitica «stabilità» tedesca ha ceduto il passo all’incertezza e all’imprevedibilità. E sotto questo segno si è avviata la campagna elettorale per il Bundestag (la camera bassa del parlamento federale), con il voto fissato per il prossimo 24 settembre.
La Germania resta, in questa congiuntura, così vicina e così lontana dal dibattito italiano. Con l’intervista ad Andrea Ypsilanti iniziamo una serie di colloqui che puntano a offrire qualche elemento di conoscenza in più. E qualche spunto di analisi ulteriore, per provare a comprendere quali potenzialità di cambiamento, per l’Europa tutta, possano annidarsi in una situazione sociale e politica tedesca, in così repentina e cruciale mutazione.
La Germania in movimento
Sinistra. Intervista a Andrea Ypsilanti, direttrice dell’«Institut Solidarische Moderne». «La crescita di Martin Schulz nei sondaggi segnala che l’austerity non ha più il consenso anche a Berlino»
Beppe Caccia e Sandro Mezzadra Manifesto 7.3.2017, 19:52
Andrea Ypsilanti è una figura anomala nel panorama politico tedesco. Militante della Spd in Assia, ha avuto responsabilità politiche importanti negli anni scorsi. Dal 2010, tuttavia, il suo nome è legato all’Institut Solidarische Moderne (Ism). L’Ism lavora a dare sostanza programmatica alla prospettiva di un governo di sinistra («rosso-rosso-verde») in Germania, riunisce al suo interno non solo esponenti dei tre partiti ma anche attivisti dei movimenti sociali. Incontrare Andrea Ypsilanti in questi giorni è un buon modo per avere un’introduzione ai temi fondamentali della politica tedesca mentre il Paese si avvia alle elezioni del prossimo settembre.
Vorremmo cominciare chiedendoti di presentare brevemente il tuo percorso politico e il tuo impegno attuale.
Sono deputata al parlamento regionale dell’Assia, ormai da diciotto anni. Attualmente sono impegnata in modo particolare sulla questione dell’accoglienza dei profughi. Nel 2007/2008 sono stata candidata della Spd alla Presidenza del governo dell’Assia, e dopo le elezioni ho tentato di formare un governo rosso-rosso-verde. Diciamo che non ha funzionato: sarebbe stato il primo governo di questo tipo in un Land dell’ovest, e all’epoca era ancora un assoluto tabù. Successivamente, con molti altri (tra cui Katja Kipping, attuale segretaria della Linke), ho partecipato alla fondazione dell’Ism. La convinzione alla base di questa decisione era che ci fossero in Germania molte persone che non si sentono rappresentate da nessun partito ma vogliono cambiare qualcosa politicamente.
Nonostante questo sei rimasta fino a oggi all’interno dell’Spd. Che tipo di partito è oggi la socialdemocrazia dopo le due «grandi coalizioni»?
I sondaggi hanno registrato impietosamente, negli ultimi anni, il calo di consenso e di attrattiva della Spd. Io riconduco questa crisi all’«Agenda 2010», la riforma del mercato del lavoro e della previdenza del 2003: ha provocato ferite troppo profonde, sul terreno del lavoro e dei diritti sociali. Poi siamo entrati nelle grandi coalizioni, e non voglio negare che i socialdemocratici abbiano ottenuto qualcosa, il salario minimo ad esempio. Ma quello che il partito ha completamente smarrito è un orizzonte strategico oltre la formula della grande coalizione. Molto semplicemente: quali prospettive esisterebbero per i socialdemocratici se non fossero all’interno di una grande coalizione? Attorno a questa domanda è venuto meno il dibattito, non si è più spesa nessuna immaginazione politica.
Nella Spd, tuttavia, sembra essere successo qualcosa di nuovo. La candidatura di Martin Schulz alla guida del governo ha repentinamente cambiato i risultati del partito nei sondaggi, con un guadagno di oltre il 10 % nel giro di un paio di settimane. Attorno a Schulz pare essersi determinato un entusiasmo inatteso, e il candidato ha dichiarato la sua intenzione di mettere in discussione l’«Agenda 2010». Come valuti questo fenomeno?
In primo luogo tutti erano contenti che il candidato non fosse qualcuno dell’establishment berlinese del partito, ma qualcuno che viene da fuori, che non può essere identificato con l’«Agenda 2010». Martin Schulz non l’ha mai criticata apertamente, ma non era coinvolto. Il secondo punto è per me il più importante: sono convinta che oggi in Germania siano molto diffusi un interesse e una preoccupazione di fondo per l’Europa. Nel momento in cui sembra messa in discussione, dal il Brexit, da Trump, dall’ascesa di partiti populisti di destra c’è una reazione molto forte in Germania in difesa dell’Europa. E Martin Schulz in qualche modo la rappresenta. L’interesse per l’Europa in Germania, in questo momento, è davvero stupefacente, lo si può notare dalla partecipazione ai dibattiti, alle manifestazioni che pongono all’ordine del giorno la questione europea.
C’è poi un terzo punto che spiega il successo di Schulz: semplicemente, c’è una parte crescente della società tedesca che è stanca di Angela Merkel.
Sulla questione europea c’è stata la proposta di Merkel, a Malta, di un’Europa a due velocità. Che tipo di ricezione ha avuto questa proposta nel dibattito pubblico in Germania?
Sinceramente si tratta di una proposta che non ha ricevuto particolare attenzione. Angela Merkel continua a essere sotto pressione all’interno del suo schieramento, in particolare da parte della Csu bavarese, per quel che riguarda la questione dei profughi. E farà tutto il possibile per «risolvere» questa questione con proposte che vanno sempre più nel senso di una «esternalizzazione», ad esempio con l’apertura di campi di raccolta in Nord Africa. Voglio sperare che non troverà nessun tipo di appoggio nella Spd! In ogni caso, Merkel si impegnerà in primo luogo su questo fronte, mentre non credo che abbia la forza – e forse neppure l’intenzione – di imporsi su Wolfgang Schäuble sulla questione dell’austerity. Sono anzi convinta che Merkel sia a favore della continuità delle politiche di austerity .
Hai parlato del tuo impegno per la formazione di una coalizione di sinistra, rosso-rosso-verde, in Assia, nel 2008. L’ISM continua a lavorare per questa prospettiva. Come valuti oggi le chances per un simile governo?
Intanto diciamo che dal mero punto di vista dei numeri la crescita della Spd rende un governo rosso-rosso-verde più probabile. Sinceramente, sei mesi fa non avrei mai pensato che questo potesse accadere. Naturalmente una variabile importante è da dove vengono questi voti per la Spd: sono voti di elettori delusi che ritornano al partito, o vengono dai verdi se non addirittura dalla Linke? Non è una cosa chiara, per ora. Penso che il campo elettorale dei tre partiti «progressisti» si stabilizzerà, e con la Spd di Martin Schulz un governo rosso-rosso-verde è possibile: la questione è a quali condizioni.
I verdi, in fondo, sono diventati un classico partito liberal-borghese e se dai risultati elettorali, ad esempio, uscisse la possibilità di una coalizione tra verdi e democristiani, credo che i primi non esiterebbero a percorrere quella via. Ma se ci fosse la possibilità di una coalizione rosso-rosso-verde, sono convinta che Martin Schulz non potrebbe accettare una riedizione della «grande coalizione». Ma ripeto: la questione è il programma di un governo di sinistra!
La prospettiva rosso-rosso-verde, per voi, si pone al di là dei tre partiti e dei rapporti tra di essi, acquista un’essenziale dimensione sociale e di «movimento». Puoi spiegarci meglio questo punto?
Noi siamo convinti che in Germania esista quella che chiamiamo una minoranza qualificata che non si sente rappresentata da nessuno di questi tre partiti progressisti e che è pronta a mobilitarsi per un vero cambiamento politico. E siamo anche convinti che una vera politica della trasformazione richieda cambiamenti così profondi che nessun governo può determinarli dall’alto. È necessaria appunto una mobilitazione che attraversi la società per porre le basi per questi cambiamenti.
La funzione di questa mobilitazione deve essere duplice: da una parte esercitare una funzione di controllo sul governo, dall’altra spingerlo avanti e incitarlo sulla via di una politica della trasformazione. Siamo insomma convinti che sia necessaria una forza sociale che si riconosca in un governo rosso-rosso-verde ma al tempo stesso mantenga da esso la distanza necessaria per criticarlo, se necessario, all’interno di quello che potremmo appunto definire un rapporto di «lealtà critica». Ci sono questioni fondamentali – dal reddito di cittadinanza alla crescita ecologica, dall’accoglienza dei profughi al rapporto tra lavoro e attività di cura -, sui quali il ruolo di una simile forza sociale è assolutamente fondamentale.
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