Quando una storia d’amore si ferma all’incompiutezza
Un ragazzo di borgata, un grigio professore di greco, un’anziana signora I nuovi racconti di Alberto Asor Rosa sui rapporti lasciati in sospeso che diventano il sintomo e il simbolo di un’esistenza non autentica
BENEDETTA TOBAGI Rep 28 2 2017
«Ill tatto e la ragione l l l l tatto e la ragione impongono di tacerne / come d’uno scandalo nelle alte sfere della Vita», diceva dell’amore felice la poetessa Wislawa Szymborska, ironizzando sugli scettici e gli invidiosi. Ma come riuscire, in effetti, a cogliere la natura profonda dell’amore tra due esseri umani? Forse i contorni di questa realtà immensa e insieme elusiva si possono tracciare più facilmente a partire dai vuoti, che dalla sua pienezza, ed è questa la via battuta da Alberto Asor Rosa nella sua nuova prova letteraria. I dieci racconti della raccolta Amori sospesi (Einaudi) esplorano altrettanti modi in cui l’eros si incaglia nell’incompiutezza. Bando alla tragica infelicità di tolstoiana memoria: il più delle volte questo non si traduce in strazio o tragedia, e proprio quest’assenza di dramma ha qualcosa di terribile. Ricorda la profezia T.S. Eliot: il mondo che finisce «non in uno schianto, ma con un piagnisteo».
Un ginnasiale di famiglia piccolo- borghese, un timido ragazzo di borgata che diventa commesso in una boutique del centro, un camionista tedesco sulla trentina, un grigio professore di greco al liceo, una promessa mancata del diritto civile, un neopensionato colpito da demenza senile… i personaggi di Amori sospesi sono persone qualunque, protagonisti loro malgrado. Affiora, soprattutto nelle storie ambientate nei primi decenni del dopoguerra, una questione che una volta si sarebbe definita “di classe”: il desiderio è un lusso che non tutti si possono permettere, e la maggior parte delle esistenze, in tempi non lontani, si consumava in una quotidianità il cui orizzonte naturale era il sacrificio; ma è altro il denominatore comune più profondo. La dimensione sospesa dell’amore, mostrano i racconti di Asor Rosa, è tutt’uno con un’esistenza inautentica, incompiuta. Smaschera il segreto di un’umanità che non sa se stessa e spesso non ha parole per dirsi (qualcuno, infatti, prova a cercarle nelle pagine sgualcite dei vecchi tascabili economici di letteratura popolare), assuefatta a uno stato di anestesia permanente, finché la scossa violenta di una qualche forma d’innamoramento non apre un varco nelle loro vite, imbozzolate nei gusci rassicuranti della normalità e dell’abitudine. Abitudine che nei matrimoni narrati nella raccolta si fa piacevole e persino affettuosa, ma non sembra essere nient’altro che una tendina ricamata tirata sul vuoto. Vuoto che emerge come un brivido quando, ai margini della routine quotidiana, si libera uno spazio per il pensiero «che non ha né motivazione né scopo»: così è per Hans Dietrich che, guidando per giorni, ne ha accumulata «una riserva pressoché sconfinata, di cui purtroppo non aveva mai saputo bene che fare» o all’avvocato Emilio, insonne e sgomento nel grigiore indefinito che precede l’aurora. E laddove alla tragedia si arriva — uno degli amanti si ucciderà, in poche righe quasi sottovoce — l’autore sfugge ai luoghi comuni del mito dell’amour passion, fatale e mortifero (si veda il saggio Il mito dell’amore fatale della psicanalista Enrichetta Buchli): non la perdita di una ragazza uccide, ma lo spalancarsi del vuoto che il protagonista aveva cercato di anestetizzare e occultare attraverso lei, in un rapporto che, non a caso, si irrigidisce in una sorta di performance.
L’innamoramento provoca un’epifania sulla verità del vivere. Non a caso, al principio della raccolta, l’adolescente Enrico, appena travolto dalla prima “cotta”, sperimenta un corto-circuito tra vita e filosofia (studiando nientemeno che la prova dell’esistenza di Dio di Anselmo d’Aosta!) che lo rende di fatto un inconsapevole fenomenologo in erba. Ma i personaggi — come gran parte delle persone — hanno paura di vivere fino in fondo. Sono presi dal panico, quando le onde della vita vera lambiscono loro i piedi. Il varco è una crepa che mette a rischio le vecchie strutture dell’esistenza, rigide, ma così rassicuranti. Allora tanti amori restano sospesi perché manca il coraggio di sceglierli, abbandonando unioni che sono piuttosto delle stampelle. È il messaggio lanciato dall’unica protagonista femminile, Adele, che, rimasta vedova, seppur vecchia e raggrinzita, ha un anelito di vita: «Chissà se ora, e sia pure per un tempo infinitamente breve, non mi riesca di essere sola, e da sola quello che sono, o magari avrei voluto essere».
Lo sguardo di Asor Rosa è lucido, ma si posa su questi antieroi pavidi e fragili senza giudicarli, con delicatezza. Tenerezza, persino. Li ritrae perché possiamo riconoscerci in loro, affratellati dall’insicurezza, dal conformismo dettato dalla paura, dal bisogno di essere accettati: chi non si è sentito almeno una volta come Enrico quando pensa «non ridere, ti prego» mentre si dichiara alla donna che ama? L’intimità di coppia fa paura perché è lo spazio dove torniamo a essere nudi e inermi come bambini (tema sviscerato da un altro saggio prezioso, L’amore può durare? dello psicanalista Stephen Mitchell): non a caso, nel breve racconto d’apertura e nel cuore del libro, affiorano ricordi di separazione e ricongiungimento con la madre.
L’incantesimo dello sguardo è un Leitmotiv della raccolta. Sono occhi, o meglio, sguardi — aperti, luminosi — ad accendere la fiamma nel cuore dei personaggi. Sguardi che danno loro la sensazione di esistere, di essere visti, riconosciuti. E l’abbandono amoroso è, infine, poter sprofondare, indifesi, l’uno negli occhi dell’altro. Una comunione più profonda persino di quella fisica, capace di trasfigurare anche il sesso: il tesoro che attende chi vince la paura di correre il rischio dell’intimità.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Amplessi inappagati in una brillante galleria dei personaggi di Asor Rosa
Storie di uomini votati alla mediocrità, colti da Asor Rosa in fasi eccezionali delle loro vite: "Amori sospesi", da Einaudi
Fabrizio Scrivano Manifesto Alias Domenica 26.3.2017, 19:38
L’amore è lotta. L’amore è scommessa. L’amore è completamento. L’amore è eternità. L’amore è abbandono. L’amore è oblio. L’amore è desiderio. L’amore è dedizione. L’amore è sacrificio. L’amore è sesso. L’amore è felicità. L’amore è ricerca. L’amore è possesso. L’amore è cura. L’amore è riproduzione. L’amore è intensità del presente. Si è scelta la definizione più convincente e appagante? Bene! Si raccolgano tutti questi luoghi comuni sull’amore e si ripongano in qualche vasetto per la conserva. Torneranno utili dopo. Ma quando?
È ciò che ancora si chiedono, vivi o morti che siano, i personaggi degli Amori sospesi (Einaudi, pp. 336, € 20,00), l’ultima sorprendente raccolta di racconti di Alberto Asor Rosa. Si è soliti dividere gli amori tra fortunati e sfortunati, cioè tra storie liete e tragiche. Si è anche abituati ad amori opachi e trasandati, per i quali la fine non conta. Ma in questo caso si può quasi avere l’intuizione di trovarsi di fronte a una nuova galleria di casi, a un’inusitata serie tematica di amori che, in un modo o nell’altro, restano intrinsecamente inconclusi o inconcludenti. A volte inappagati, a volte inappaganti.
C’è lo studioso che si annichilisce durante un amplesso. Il commesso che, a distanza di decenni, rincontra l’antica cliente che gli fece girare la testa, ora imbolsita, spoglia di ogni avvenenza e comunque eternamente indifferente. Lo scolaro che, dopo tanti sforzi interiori per vincere la timidezza, cade vittima di un dannato trasferimento familiare della fanciulla desiderata. Il professore mai dardeggiato da Cupido, che solo troppo tardi scopre l’amore in una sua giovane allieva. L’assicuratore che repentinamente, già anziano, torna bambino per riacciuffare l’amore materno. Il camionista che perde la giovane amante nel momento in cui la possiede completamente. La nonna che, finalmente vedova, si riappropria del ricordo represso di un innamoramento fulminante e senza seguito. Il vecchio solitario e misterioso che rifiuta la ragazza che a lui si offre. L’avvocato vittima della sua incapacità di amare.
Come si vede è una insolita galleria di personaggi in sospensione emotiva, colti in un tratto eccezionale della vita (eccezionalità che spesso scorre parallela alle loro vite più concrete e realizzate) e travolti dal fascino che solo le cose irrisolte riescono a comunicare e a donare. A sostenere l’apnea, le vane attese, e forse anche i fallimenti di ciascuno c’è l’occhio benevolo del narratore. Che certo non risparmia di sottolineare l’irrefrenabile attitudine alla mediocrità dei suoi personaggi, catturati dall’umorismo ma anche involontariamente comici.
Goffi e impacciati, quasi sempre, divorati da paure ancestrali che da soli non riescono a far emergere, schiacciati dal loro destino, sembrano portatori di un realismo sommesso, sembrano attori di banalità esistenziali da cui il senso comune spesso si difende semplicemente ignorandole. Li vediamo precipitare in una così sconfinata solitudine che essere testimoni delle loro avventure quasi è una missione di soccorso. Una certa crudezza dello sguardo non sta nei toni.
La scrittura scivola via, puntuale, varia nel lessico, piacevolmente allusiva, spesso in dialogo aperto con il lettore, mai lasciato solo né provocato, e gli aspetti più irritanti delle azioni maldestre dei personaggi rimangono come ovattati da un affetto discreto. La crudezza sta invece nella sostanza tragicomica di ciascuna figura. Sta nella domanda che infine affiora alle labbra: possibile mai che nessuno si sottragga al ridicolo dell’amore che trascina a un grado irreversibile di solitudine? Nessuno lo sa con certezza.
Mappe sentimentali nel bersaglio impreciso delle relazioni TEMPI PRESENTI. Una riflessione a partire da «Amori sospesi», l’ultimo romanzo di Alberto Asor Rosa pubblicato per Einaudi. Personaggi diversi per età, collocazione sociale, lavoro, travolti dalla forza dell’incontro con l’altro. Biologia e pensiero ritrovano un legame nell’acme del piacere sessuale, una passione imperitura Lea Melandri Manifesto 5.4.2017, 19:02
Che legame può esserci tra un «quaderno di appunti, note, osservazioni, pensieri sui problemi fondamentali dell’esistenza» – come Asor Rosa definisce uno dei suoi libri più rari e non a caso meno conosciuti, L’ultimo paradosso (Einaudi, 1985) – e il romanzo Amori sospesi, che ha appena pubblicato con lo stesso editore?
Quand’è che il confine tra saggistica e narrativa, riflessione e racconto, pensiero e sentimenti, si fa così esile da portare chi legge in quei territori indefinibili, quanto a paradigmi noti, che io chiamo «scrittura di esperienza»? Come dare nomi al «mare ribollente» delle cose che non siamo stati capaci fino a questo punto di dire, se non sconvolgendo i cento ordini del discorso che vi hanno fatto tradizionalmente da argine? E infine: perché stupirsi se a far vacillare un ordine e un sistema già dati è il primo e il più duraturo dei sentimenti umani: amare e essere amati, ritrovare nella coppia adulta l’unità primigenia, l’originaria fusione tra il figlio e la madre?
NELLA PREMESSA a L’ultimo paradosso, Asor Rosa scrive: «È singolare facoltà del pensiero umano potersi pensare al di fuori dei vincoli biologici e costruire su quella persuasione persino dei sistemi. Ma quanto più si ritira e s’affonda, tanto più registra e descrive soltanto ciò che esso stesso è (…) Diventa cioè un resoconto, anzi un racconto della nostra propria conformazione materiale, racconta la vita, è la vita».
E più avanti precisa: «Penso a una biologia colta, beneducata, resa matura ed accorta dall’esperienza. Ad una biologia dei sentimenti e della conoscenza, ad esempio: fortemente legata alle impercettibili e pur decisive variazioni e sfumature del ciclo vitale».
NON SAPREI TROVARE una definizione più calzante per le brevi storie, di cui è composto il romanzo: personaggi diversi per età, collocazione sociale, lavoro, su cui l’amore – vissuto o solo fantasticato – cala improvviso con la forza travolgente, esaltante o distruttiva, di una materialità sconosciuta di sensi, sentimenti, sogni, desideri, e, mentre libera da vincoli, responsabilità, imperativi categorici, fa precipitare nell’insignificanza pensieri, studi, intrattenimenti intellettuali, solitudini appaganti coltivate per anni. Difficile non vedere in questo «scioglimento» di tutti i nodi dell’essere – uscita dalle separazioni che ci hanno impedito di far coincidere il nostro apparire con ciò che siamo – la «rivelazione» che Asor Rosa aveva descritto come «l’ultimo paradosso dell’essere e della conoscenza», cioè «far apparire in superficie l’interiorità, farla diventare esteriorità, vita, relazione fra esseri umani (…) finché tutto l’esprimibile sarà espresso, tutto il conoscibile conosciuto».
«FINIS HISTORIAE», dunque, come nella chiusura del saggio del 1985, o, al contrario, inizio di una nuova inedita narrazione dell’umano, spinto a ripensarsi dalle proprie radici – l’infanzia, le relazioni tra uomini e donne, la serie infinita delle divisioni create dal potere e dalla cultura maschile – , e a dare voce a ciò che è parso a lungo «impresentabile»?
Nell’acme del piacere sessuale biologia e pensiero tornano a riunificarsi, due destini diversi si avvicinano al massimo di conoscenza e identificazione – «si era in due e si diventa uno solo» -, ma l’approdo è il silenzio, il nulla, il vuoto. Il racconto che chiude il romanzo, L’ultima volta, si arresta esattamente come il saggio sull’estremo limite dove il pensiero si accorge di essere sempre stato solo «ospite» di un corpo che gli si sovrappone con le sue leggi: «Del vuoto, e anche del nulla, si può, anche piacevolmente, ragionare. Ma quando raggiungono quell’intensità, e uno si trova lì a provarla (…) prendono inevitabilmente le forme della fine e della scomparsa».
Ma basta ritornare alle pagine precedenti per capire che il romanzo può essere visto come la ripresa, aperta a nuove e sorprendenti soluzioni, degli interrogativi esistenziali posti «per piccoli frammenti» tanti anni prima.
Per ritrovare la sua originaria carica biologica, l’amore – aveva scritto Asor Rosa – ha bisogno di essere «de-socializzato», vissuto non come «costruzione di una storia», come nel caso dell’«amore-famiglia», ma come «ricerca di un’identità», bisogno di conoscersi e sapersi in tutto ciò che di sé resta confinato «negli angoli bui del cervello e dei sensi», sopportando l’urto, la tensione e in alcuni casi il dolore lacerante, che può produrre questa scoperta.
Paradossalmente, per calarsi in un sé più autentico, è necessario accogliere quella forza essenziale della vita che è il desiderio, la passione, il piacere sessuale. Collocati lungo l’arco intero dell’esistenza, dall’infanzia alla vecchiaia, e descritti con attenzione meticolosa nell’esercizio della loro attività, i protagonisti dei dieci racconti, tutti di sesso maschile – a significare la parentela, si potrebbe dire «biologica» con chi scrive – conoscono l’amore quando irrompe nelle loro vite, travolgendo difese, equilibri costruiti nel tempo, piaceri più rassicuranti come quelli che vengono dalla lettura e da lunghe appaganti solitudini meditative. Per tutti si annuncia come forza trascinante che parte, casuale e misteriosa al medesimo tempo, dai tratti di un viso, da un incrocio di sguardi, dalle linee armoniose di un corpo femminile, dal timbro di una voce, dalla dolcezza di un nome.
Per alcuni l’irruzione del corpo destinato a muovere desideri, attese, turbamenti e sofferenze sconosciute, a sconvolgere abitudini e certezze, resta legato a un incontro la cui intensità passa inalterata nel ricordo, compagno segreto di una intera vita; per altri, scompare del tutto, come nel caso del professore Tommaso Ciaramella, Trippodi, lasciando posto a una atonia prossima alla morte.
DOVE L’AMORE diventa piacere sessuale, compenetrazione di corpi e raggiunge il suo acme, è in presenza di figure femminili particolari – come Edvige del Camionista solitario, per la quale «il desiderio faceva tutt’uno col cervello», o come, ne L’ultima volta, Elvira che con la sua risata e la sua «precisione intellettuale» era riuscita a cambiare quel «rapporto solito di impossessamento» che è la sessualità per l’uomo.
Solo una scrittura che ha imparato ad affidare la psiche all’interiorità, per scoprire dietro gli angoli bui del cervello «tesori di cultura», poteva prendere per mano il lettore e insieme a lui attraversare, raccontando e ragionando, le esperienze essenziali, tragiche e grottesche del sesso che si è pensato per secoli l’«umano» nella sua interezza.
*
Oggi alle 18.30 Residenza di Ripetta – Sala Bernini (via di Ripetta, 231), Valeria Della Valle e Franco Marcoaldi a colloquio con Alberto Asor Rosa in occasione dell’uscita di «Amori sospesi». Ingresso libero fino a esaurimento posti
Mappe sentimentali nel bersaglio impreciso delle relazioni TEMPI PRESENTI. Una riflessione a partire da «Amori sospesi», l’ultimo romanzo di Alberto Asor Rosa pubblicato per Einaudi. Personaggi diversi per età, collocazione sociale, lavoro, travolti dalla forza dell’incontro con l’altro. Biologia e pensiero ritrovano un legame nell’acme del piacere sessuale, una passione imperitura Lea Melandri Manifesto 5.4.2017, 19:02
Che legame può esserci tra un «quaderno di appunti, note, osservazioni, pensieri sui problemi fondamentali dell’esistenza» – come Asor Rosa definisce uno dei suoi libri più rari e non a caso meno conosciuti, L’ultimo paradosso (Einaudi, 1985) – e il romanzo Amori sospesi, che ha appena pubblicato con lo stesso editore?
Quand’è che il confine tra saggistica e narrativa, riflessione e racconto, pensiero e sentimenti, si fa così esile da portare chi legge in quei territori indefinibili, quanto a paradigmi noti, che io chiamo «scrittura di esperienza»? Come dare nomi al «mare ribollente» delle cose che non siamo stati capaci fino a questo punto di dire, se non sconvolgendo i cento ordini del discorso che vi hanno fatto tradizionalmente da argine? E infine: perché stupirsi se a far vacillare un ordine e un sistema già dati è il primo e il più duraturo dei sentimenti umani: amare e essere amati, ritrovare nella coppia adulta l’unità primigenia, l’originaria fusione tra il figlio e la madre?
NELLA PREMESSA a L’ultimo paradosso, Asor Rosa scrive: «È singolare facoltà del pensiero umano potersi pensare al di fuori dei vincoli biologici e costruire su quella persuasione persino dei sistemi. Ma quanto più si ritira e s’affonda, tanto più registra e descrive soltanto ciò che esso stesso è (…) Diventa cioè un resoconto, anzi un racconto della nostra propria conformazione materiale, racconta la vita, è la vita».
E più avanti precisa: «Penso a una biologia colta, beneducata, resa matura ed accorta dall’esperienza. Ad una biologia dei sentimenti e della conoscenza, ad esempio: fortemente legata alle impercettibili e pur decisive variazioni e sfumature del ciclo vitale».
NON SAPREI TROVARE una definizione più calzante per le brevi storie, di cui è composto il romanzo: personaggi diversi per età, collocazione sociale, lavoro, su cui l’amore – vissuto o solo fantasticato – cala improvviso con la forza travolgente, esaltante o distruttiva, di una materialità sconosciuta di sensi, sentimenti, sogni, desideri, e, mentre libera da vincoli, responsabilità, imperativi categorici, fa precipitare nell’insignificanza pensieri, studi, intrattenimenti intellettuali, solitudini appaganti coltivate per anni. Difficile non vedere in questo «scioglimento» di tutti i nodi dell’essere – uscita dalle separazioni che ci hanno impedito di far coincidere il nostro apparire con ciò che siamo – la «rivelazione» che Asor Rosa aveva descritto come «l’ultimo paradosso dell’essere e della conoscenza», cioè «far apparire in superficie l’interiorità, farla diventare esteriorità, vita, relazione fra esseri umani (…) finché tutto l’esprimibile sarà espresso, tutto il conoscibile conosciuto».
«FINIS HISTORIAE», dunque, come nella chiusura del saggio del 1985, o, al contrario, inizio di una nuova inedita narrazione dell’umano, spinto a ripensarsi dalle proprie radici – l’infanzia, le relazioni tra uomini e donne, la serie infinita delle divisioni create dal potere e dalla cultura maschile – , e a dare voce a ciò che è parso a lungo «impresentabile»?
Nell’acme del piacere sessuale biologia e pensiero tornano a riunificarsi, due destini diversi si avvicinano al massimo di conoscenza e identificazione – «si era in due e si diventa uno solo» -, ma l’approdo è il silenzio, il nulla, il vuoto. Il racconto che chiude il romanzo, L’ultima volta, si arresta esattamente come il saggio sull’estremo limite dove il pensiero si accorge di essere sempre stato solo «ospite» di un corpo che gli si sovrappone con le sue leggi: «Del vuoto, e anche del nulla, si può, anche piacevolmente, ragionare. Ma quando raggiungono quell’intensità, e uno si trova lì a provarla (…) prendono inevitabilmente le forme della fine e della scomparsa».
Ma basta ritornare alle pagine precedenti per capire che il romanzo può essere visto come la ripresa, aperta a nuove e sorprendenti soluzioni, degli interrogativi esistenziali posti «per piccoli frammenti» tanti anni prima.
Per ritrovare la sua originaria carica biologica, l’amore – aveva scritto Asor Rosa – ha bisogno di essere «de-socializzato», vissuto non come «costruzione di una storia», come nel caso dell’«amore-famiglia», ma come «ricerca di un’identità», bisogno di conoscersi e sapersi in tutto ciò che di sé resta confinato «negli angoli bui del cervello e dei sensi», sopportando l’urto, la tensione e in alcuni casi il dolore lacerante, che può produrre questa scoperta.
Paradossalmente, per calarsi in un sé più autentico, è necessario accogliere quella forza essenziale della vita che è il desiderio, la passione, il piacere sessuale. Collocati lungo l’arco intero dell’esistenza, dall’infanzia alla vecchiaia, e descritti con attenzione meticolosa nell’esercizio della loro attività, i protagonisti dei dieci racconti, tutti di sesso maschile – a significare la parentela, si potrebbe dire «biologica» con chi scrive – conoscono l’amore quando irrompe nelle loro vite, travolgendo difese, equilibri costruiti nel tempo, piaceri più rassicuranti come quelli che vengono dalla lettura e da lunghe appaganti solitudini meditative. Per tutti si annuncia come forza trascinante che parte, casuale e misteriosa al medesimo tempo, dai tratti di un viso, da un incrocio di sguardi, dalle linee armoniose di un corpo femminile, dal timbro di una voce, dalla dolcezza di un nome.
Per alcuni l’irruzione del corpo destinato a muovere desideri, attese, turbamenti e sofferenze sconosciute, a sconvolgere abitudini e certezze, resta legato a un incontro la cui intensità passa inalterata nel ricordo, compagno segreto di una intera vita; per altri, scompare del tutto, come nel caso del professore Tommaso Ciaramella, Trippodi, lasciando posto a una atonia prossima alla morte.
DOVE L’AMORE diventa piacere sessuale, compenetrazione di corpi e raggiunge il suo acme, è in presenza di figure femminili particolari – come Edvige del Camionista solitario, per la quale «il desiderio faceva tutt’uno col cervello», o come, ne L’ultima volta, Elvira che con la sua risata e la sua «precisione intellettuale» era riuscita a cambiare quel «rapporto solito di impossessamento» che è la sessualità per l’uomo.
Solo una scrittura che ha imparato ad affidare la psiche all’interiorità, per scoprire dietro gli angoli bui del cervello «tesori di cultura», poteva prendere per mano il lettore e insieme a lui attraversare, raccontando e ragionando, le esperienze essenziali, tragiche e grottesche del sesso che si è pensato per secoli l’«umano» nella sua interezza.
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Oggi alle 18.30 Residenza di Ripetta – Sala Bernini (via di Ripetta, 231), Valeria Della Valle e Franco Marcoaldi a colloquio con Alberto Asor Rosa in occasione dell’uscita di «Amori sospesi». Ingresso libero fino a esaurimento posti
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