Amplessi inappagati in una brillante galleria dei personaggi di Asor Rosa
Mappe sentimentali nel bersaglio impreciso delle relazioni TEMPI PRESENTI. Una riflessione a partire da «Amori sospesi», l’ultimo romanzo di Alberto Asor Rosa pubblicato per Einaudi. Personaggi diversi per età, collocazione sociale, lavoro, travolti dalla forza dell’incontro con l’altro. Biologia e pensiero ritrovano un legame nell’acme del piacere sessuale, una passione imperitura Lea Melandri Manifesto 5.4.2017, 19:02
Che legame può esserci tra un «quaderno di appunti, note, osservazioni, pensieri sui problemi fondamentali dell’esistenza» – come Asor Rosa definisce uno dei suoi libri più rari e non a caso meno conosciuti, L’ultimo paradosso (Einaudi, 1985) – e il romanzo Amori sospesi, che ha appena pubblicato con lo stesso editore?
Quand’è che il confine tra saggistica e narrativa, riflessione e racconto, pensiero e sentimenti, si fa così esile da portare chi legge in quei territori indefinibili, quanto a paradigmi noti, che io chiamo «scrittura di esperienza»? Come dare nomi al «mare ribollente» delle cose che non siamo stati capaci fino a questo punto di dire, se non sconvolgendo i cento ordini del discorso che vi hanno fatto tradizionalmente da argine? E infine: perché stupirsi se a far vacillare un ordine e un sistema già dati è il primo e il più duraturo dei sentimenti umani: amare e essere amati, ritrovare nella coppia adulta l’unità primigenia, l’originaria fusione tra il figlio e la madre?
NELLA PREMESSA a L’ultimo paradosso, Asor Rosa scrive: «È singolare facoltà del pensiero umano potersi pensare al di fuori dei vincoli biologici e costruire su quella persuasione persino dei sistemi. Ma quanto più si ritira e s’affonda, tanto più registra e descrive soltanto ciò che esso stesso è (…) Diventa cioè un resoconto, anzi un racconto della nostra propria conformazione materiale, racconta la vita, è la vita».
E più avanti precisa: «Penso a una biologia colta, beneducata, resa matura ed accorta dall’esperienza. Ad una biologia dei sentimenti e della conoscenza, ad esempio: fortemente legata alle impercettibili e pur decisive variazioni e sfumature del ciclo vitale».
NON SAPREI TROVARE una definizione più calzante per le brevi storie, di cui è composto il romanzo: personaggi diversi per età, collocazione sociale, lavoro, su cui l’amore – vissuto o solo fantasticato – cala improvviso con la forza travolgente, esaltante o distruttiva, di una materialità sconosciuta di sensi, sentimenti, sogni, desideri, e, mentre libera da vincoli, responsabilità, imperativi categorici, fa precipitare nell’insignificanza pensieri, studi, intrattenimenti intellettuali, solitudini appaganti coltivate per anni. Difficile non vedere in questo «scioglimento» di tutti i nodi dell’essere – uscita dalle separazioni che ci hanno impedito di far coincidere il nostro apparire con ciò che siamo – la «rivelazione» che Asor Rosa aveva descritto come «l’ultimo paradosso dell’essere e della conoscenza», cioè «far apparire in superficie l’interiorità, farla diventare esteriorità, vita, relazione fra esseri umani (…) finché tutto l’esprimibile sarà espresso, tutto il conoscibile conosciuto».
«FINIS HISTORIAE», dunque, come nella chiusura del saggio del 1985, o, al contrario, inizio di una nuova inedita narrazione dell’umano, spinto a ripensarsi dalle proprie radici – l’infanzia, le relazioni tra uomini e donne, la serie infinita delle divisioni create dal potere e dalla cultura maschile – , e a dare voce a ciò che è parso a lungo «impresentabile»?
Nell’acme del piacere sessuale biologia e pensiero tornano a riunificarsi, due destini diversi si avvicinano al massimo di conoscenza e identificazione – «si era in due e si diventa uno solo» -, ma l’approdo è il silenzio, il nulla, il vuoto. Il racconto che chiude il romanzo, L’ultima volta, si arresta esattamente come il saggio sull’estremo limite dove il pensiero si accorge di essere sempre stato solo «ospite» di un corpo che gli si sovrappone con le sue leggi: «Del vuoto, e anche del nulla, si può, anche piacevolmente, ragionare. Ma quando raggiungono quell’intensità, e uno si trova lì a provarla (…) prendono inevitabilmente le forme della fine e della scomparsa».
Ma basta ritornare alle pagine precedenti per capire che il romanzo può essere visto come la ripresa, aperta a nuove e sorprendenti soluzioni, degli interrogativi esistenziali posti «per piccoli frammenti» tanti anni prima.
Per ritrovare la sua originaria carica biologica, l’amore – aveva scritto Asor Rosa – ha bisogno di essere «de-socializzato», vissuto non come «costruzione di una storia», come nel caso dell’«amore-famiglia», ma come «ricerca di un’identità», bisogno di conoscersi e sapersi in tutto ciò che di sé resta confinato «negli angoli bui del cervello e dei sensi», sopportando l’urto, la tensione e in alcuni casi il dolore lacerante, che può produrre questa scoperta.
Paradossalmente, per calarsi in un sé più autentico, è necessario accogliere quella forza essenziale della vita che è il desiderio, la passione, il piacere sessuale. Collocati lungo l’arco intero dell’esistenza, dall’infanzia alla vecchiaia, e descritti con attenzione meticolosa nell’esercizio della loro attività, i protagonisti dei dieci racconti, tutti di sesso maschile – a significare la parentela, si potrebbe dire «biologica» con chi scrive – conoscono l’amore quando irrompe nelle loro vite, travolgendo difese, equilibri costruiti nel tempo, piaceri più rassicuranti come quelli che vengono dalla lettura e da lunghe appaganti solitudini meditative. Per tutti si annuncia come forza trascinante che parte, casuale e misteriosa al medesimo tempo, dai tratti di un viso, da un incrocio di sguardi, dalle linee armoniose di un corpo femminile, dal timbro di una voce, dalla dolcezza di un nome.
Per alcuni l’irruzione del corpo destinato a muovere desideri, attese, turbamenti e sofferenze sconosciute, a sconvolgere abitudini e certezze, resta legato a un incontro la cui intensità passa inalterata nel ricordo, compagno segreto di una intera vita; per altri, scompare del tutto, come nel caso del professore Tommaso Ciaramella, Trippodi, lasciando posto a una atonia prossima alla morte.
DOVE L’AMORE diventa piacere sessuale, compenetrazione di corpi e raggiunge il suo acme, è in presenza di figure femminili particolari – come Edvige del Camionista solitario, per la quale «il desiderio faceva tutt’uno col cervello», o come, ne L’ultima volta, Elvira che con la sua risata e la sua «precisione intellettuale» era riuscita a cambiare quel «rapporto solito di impossessamento» che è la sessualità per l’uomo.
Solo una scrittura che ha imparato ad affidare la psiche all’interiorità, per scoprire dietro gli angoli bui del cervello «tesori di cultura», poteva prendere per mano il lettore e insieme a lui attraversare, raccontando e ragionando, le esperienze essenziali, tragiche e grottesche del sesso che si è pensato per secoli l’«umano» nella sua interezza.
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Oggi alle 18.30 Residenza di Ripetta – Sala Bernini (via di Ripetta, 231), Valeria Della Valle e Franco Marcoaldi a colloquio con Alberto Asor Rosa in occasione dell’uscita di «Amori sospesi». Ingresso libero fino a esaurimento posti
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