martedì 14 marzo 2017
L'Atene e la Grecia di Mauro Bonazzi
Mauro Bonazzi: Con gli occhi dei greci. Saggezza antica per tempi moderni, Carocci, pp. 134, euro 12,00
Risvolto
Dalla felicità all’amore e alla morte, dalla giustizia alla forza,
all’amicizia e alla nostalgia: non c’è argomento di cui i Greci antichi
non si siano occupati con una libertà e una spregiudicatezza che ancora
oggi lasciano ammirati. Senza paura di mescolare temi alti e bassi
(quali sarebbero poi?), ben deciso a non lasciarsi irretire in un
classicismo di maniera, questo libro mostra che è proprio volgendo lo
sguardo verso quelle distanze remote che potremo trovare una valida
guida per orientarci nei complessi problemi dei nostri giorni. Tanti
agili saggi che, unendo profondità e leggerezza, ci accompagnano nel più
difficile e nel più attuale dei mestieri: quello di vivere.
Risvolto
Come e perché l'appassionato dibattito del
mondo greco antico sulla natura della giustizia,
della politica e della democrazia rappresenta
e condiziona ancora la realtà che ci circonda.
Si ripete spesso che la tradizione europea e occidentale affonda
le proprie radici nel mondo greco. Si dimentica di precisare, però,
che non esiste una Grecia unica, marmorea, solenne e olimpica.
Lo aveva scritto Platone e lo ha ripetuto Friedrich Nietzsche: c'è
la Grecia dei filosofi e quella della tradizione. Omero o Platone?
Partendo dal problema della giustizia – della sua importanza e dei
suoi limiti – l'obiettivo del libro è ricostruire le coordinate concettuali
che stanno alla base di due mondi cosí vicini e cosí lontani.
Se i filosofi cercheranno di mostrare il senso, l'ordine e la bellezza
del mondo – la sua razionalità, in una parola –, ad accomunare gli
altri, da Omero a Sofocle e Tucidide, è piuttosto la consapevolezza
che la realtà è qualcosa di ambiguo, da cui è impossibile ricavare
indicazioni di valore o regole di comportamento. E questo a
sua volta conduce a interrogarsi su cosa sia quell'essere sfuggente
che è l'uomo: un animale inquieto, che non avendo un posto fisso
nel mondo è sempre proteso alla conquista della natura, ma è allo
stesso tempo esposto al rischio di commettere errori fatali. Qual
è il senso della nostra esistenza? Di questo si discuteva ad Atene.
Pensiero greco, due saggi (Carocci ed Einaudi) di Mauro Bonazzi. Non
c’è solo la Grecia di Platone e Aristotele, c’è anche quella «dei
poeti», non meno decisiva per la formazione dei concetti morali e
politici
Dino Piovan Manifesto Alias Domenica 19.3.2017, 19:35
Senza sporgersi sul presente è impossibile capire il passato, scriveva Marc Bloch nell’Apologia della storia. Di certo non ha paura di sporgersi sul presente Mauro Bonazzi, che in Con gli occhi dei greci Saggezza antica per tempi moderni (Carocci, pp. 134, euro 12,00) accosta l’Iliade di Omero a Guerre stellari,
Eraclito a Battiato, i Meli che rifiutano di arrendersi alle pretese
imperiali degli Ateniesi del V secolo a.C. ai resistenti curdi di
Kobane, Epicuro ai rottamatori della politica odierna. Accostamenti
suggestivi che possono presentare però anche un rischio, quello di
scivolare nel corto circuito che appiattisce il passato sul presente,
finendo con l’oscurare le peculiarità dell’uno e dell’altro. Ma è un
pericolo di cui Bonazzi è così consapevole da riuscire a non caderci mai
in questi sedici brevi scritti, concepiti per un pubblico di non
specialisti da parte di un noto specialista di filosofia antica, autore
negli ultimi anni di studi sui sofisti e sul platonismo.
I temi affrontati sono vari: il rapporto tra giustizia e politica, tra
filosofia e politica, il senso della filosofia, l’esistenza o meno
dell’anima. Temi classici della filosofia da quando è sorta, almeno
nella nostra tradizione culturale, nella Ionia del VI secolo a.C., per
ognuno dei quali si potrebbero citare innumerevoli riferimenti con
fatale effetto soporifero. Invece qui il tono non è mai pedante o
spocchioso, semmai ricorda quello di una conversazione amichevole ma non
banale, che dei testi antichi ripensa soprattutto le domande, oltre che
alcune delle soluzioni da essi proposte. I testi e gli autori evocati
non sono solo quelli della tradizione filosofica (Platone e Aristotele,
oltre ai citati Eraclito e Epicuro) ma anche quelli dei poeti e degli
storici, o almeno di Tucidide, il che costituisce una gradita sorpresa. È
vero infatti che dai professionisti della storiografia e dai maestri
tedeschi, in particolar modo tra Otto e Novecento (da Ranke a Eduard
Meyer passando per Max Weber), Tucidide è stato considerato il padre
fondatore della disciplina, modello inarrivabile di ricerca inflessibile
della verità; ma a chi non appartiene alla cerchia dei cultori di
storia il nome Tucidide è sempre stato poco noto, anche per lo stile
così arduo che lo rende poco scolastico e quindi spesso poco presente
nella memoria delle persone di media cultura. E anche se negli ultimi
vent’anni Tucidide è assurto a padre fondatore della teoria delle
relazioni internazionali, fino a diventare uno dei pensatori più citati
nei dibattiti sulla politica estera occidentale (almeno negli Stati
Uniti), quasi nessuno sembra essersene accorto qui in Italia.
Molti di questi testi e autori tornano, ma con ben altra densità di
analisi, ricchezza argomentativa e ampiezza di riferimenti
bibliografici, in un altro testo di Bonazzi appena pubblicato: Atene, la città inquieta
(Einaudi, «PBE Mappe», pp. 223, euro 22,00). Il punto di partenza,
comune anche al libro precedente, è l’idea che non si possa ridurre la
tradizione culturale greca al razionalismo di Platone e Aristotele, una
riduzione operata da studiosi illustri e recentemente anche da Benedetto
XVI, alias Joseph Ratzinger, nel celebre discorso di Ratisbona del
2006, in cui rivendicava il legame tra cristianesimo e logos greco. Ma
la Grecia dei filosofi non è l’unica; accanto, anzi prima di essa, c’è
sempre stata anche la Grecia dei poeti, esaltata già da Nietzsche nella
Genealogia della morale e più recentemente da Bernard Williams, il
filosofo inglese scomparso nel 2003, che in Vergogna e necessità (tradotto dal Mulino nel 2007) sosteneva che è in Omero e nei tragici che vanno cercate le radici delle nostre idee morali.
Se per un verso in Platone, preceduto almeno in parte da altri, è
centrale l’idea che si può trovare un senso complessivo alle cose,
l’altra Grecia è quella di chi è scettico sull’idea che la ragione possa
tutto capire, tutto spiegare. È la diversa concezione della giustizia a
costituire il filo attorno a cui si dipana questa indagine, per il suo
valore sia immediatamente politico (senza giustizia non si dà convivenza
civile), sia esistenziale e filosofico nel senso più ampio (la
giustizia chiama in causa anche i concetti di responsabilità e di
autonomia dell’essere umano). A partire dall’Iliade, il primo
testo della letteratura greca in cui gli eroi sia greci sia troiani
agiscono in una ricerca di affermazione individuale che non conosce
compromessi, generando così conflitti anche tra chi combatte dalla
stessa parte: come nel caso della lite che apre il poema tra Achille ed
Agamennone, scatenata dalla contesa per una schiava che non interessa
davvero a nessuno dei due ma che provoca l’ira del primo e tutta la
successiva sequenza di eventi funesti. L’incapacità di risolvere i
conflitti se non attraverso la forza genera una società destinata a
implodere; ma nel poema affiorano, sia pure in maniera discreta, anche
altre possibilità, come il processo raffigurato nello scudo di Achille,
ossia la possibilità di creare istituzioni comunitarie in alternativa
alla forza.
All’impasse omerica si contrappone l’idea di un ordine giusto fondato
sulla divinità a cui l’uomo deve necessariamente conformarsi, ribadita
con toni e sfumature diverse da Esiodo, Solone, Eraclito; mentre a
rimettere tutto in questione intervengono i sofisti, questi maledetti
del pensiero, oscurati dalla condanna platonica: giusto è ciò che viene
deciso di volta in volta dagli uomini; è il consenso a fondare la
giustizia. Una concezione relativista, insomma, che sembra ben sposarsi
con quella democrazia che trionfa ad Atene nello stesso periodo ma che
può esprimersi anche come affermazione del proprio potere su chi è più
debole senza riguardo ad altro che al proprio interesse, originando una
guerra che alla fine si rivela distruttiva anche per Atene stessa, come
Tucidide (riletto con qualche omaggio a Leo Strauss) ha così lucidamente
descritto. La risposta di Platone sarà che è l’anima individuale ad
avere bisogno della giustizia, prima ancora che la società. Risposta
originale e potente, ma non tale da spazzare via l’alternativa: Omero o
Platone?
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