domenica 23 aprile 2017

Il corso 1902-1903 di Bergson sulla storia dell'idea di tempo

Histoire de l'idée de temps. Cours au Collège de France 1902 -1903
Henri Bergson: Histoire de l’idée de temps. cours au collège de france, 1902-1903, Puf, pp. 400, € 29,00

Risvolto
La publication de ce cours inédit de Bergson est un événement. Donné au Collège de France en 1902-1903, il a été intégralement pris en note, au mot près, par les sténographes de Charles Péguy. Il représente donc le trait d’union entre l’œuvre écrite à laquelle le philosophe tenait exclusivement et l’enseignement oral d’où provient sa renommée, cette fameuse « gloire » de Bergson qui a si profondément marqué le premier XXe siècle. Au prisme de sa pensée de la durée, Bergson y revisite les philosophies de Platon, Aristote, Plotin, Descartes, Leibniz et Kant, et prépare là ce qui deviendra un chapitre majeur de L’Évolution créatrice.

Édition établie, annotée et présentée par Camille Riquier, sous la direction scientifique de Frédéric Worms.

Il ruolo del logos nell’avvolgere il rotolo della vita 

Filosofia francese. A completare la nuova edizione critica di tutte le opere di Henri Bergson, esce in Francia l’intero corso del 1902-3, «Histoire de l’idée de temps», a cura di Camille Riquier

Andrea Calzolari Manifesto Alias Domenica 23.4.2017, 19:12 
La chiamata di Bergson, allora quarantenne, al Collège de France nel 1900 non soltanto fu il coronamento di una carriera accademica che già aveva prodotto il Saggio sui dati immediati della coscienza – del 1889 – e Materia e memoria – del 1896 – ma anche l’inizio di un successo che fece parlare di un’età bergsoniana dell’intera cultura francese: capaci di attrarre un pubblico eterogeneo e appassionato, i corsi al Collège ne divennero la manifestazione più appariscente. Tra gli aneddoti che la attestano, c’è, per esempio, il racconto di un economista che faceva lezione prima di Bergson nella stessa aula e non sapeva spiegarsi il progressivo aumento del suo uditorio, fino a quando non capì che i nuovi arrivati venivano in anticipo per garantirsi un posto sicuro nell’affollatissima ora successiva. 
Può sembrare paradossale che, proprio in un’età che vedeva le prime riflessioni sulla psicologia delle masse (nello stesso Collège insegnava Gabriel Tarde, il libro di Gustave Le Bon sulle folle è del 1895 e quello di Freud del 1921), raccogliessero tanto entusiasmo lezioni che, secondo tutti i testimoni, erano agli antipodi sia del verbo infiammato dei meneurs politici, sia dell’oratoria genialmente istrionica di Lacan. 
Bergson parlava ininterrottamente, senza enfasi e senza fatica apparente, quasi ignorasse il pubblico, preoccupandosi soltanto di seguire i propri pensieri, «con lo sguardo interamente rivolto dentro di sé», come scrisse Charles Du Bos, uno dei numerosi intellettuali che accorrevano ad ascoltarlo. Di queste lezioni leggendarie, uno tra i testimoni delle quali fu Georges Sorel, non si aveva alcuna documentazione diretta fino a quando, alcuni anni fa, se n’è potuta recuperare una traccia sostanziale grazie a un altro illustre ammiratore e amico, Charles Péguy, che quando per malattia o per altri impegni non poteva intervenire di persona al corso, mandava due fratelli, stenografi professionisti, a registrare e trascrivere fedelmente le parole del filosofo. 
I dattiloscritti conservati, e a lungo ignorati, contengono due corsi completi (L’histoire de l’idée de temps, 1902-03; L’évolution du problème de la liberté, 1904-05) e due redatti in modo parziale (L’idée de temps, 1901-02; Histoire des théories de la mémoire, 1903-04). Le cinque lezioni arrivate fino a noi della Storia delle teoria delle memoria e le prime due della Storia dell’idea di tempo, già pubblicate sulle Annales bergsoniennes, sono state tradotte a cura di Rocco Ronchi e di Federico Leoni, con i titoli Storia della memoria e storia della metafisica (Ets, 2007) e Sul segno (Textus 2014). Ora, a completamento della nuova edizione critica di tutte le opere di Bergson (Puf 2009-2015, 21 voll.), esce in Francia l’intero corso del 1902-3, in diciannove lezioni: Histoire de l’idée de temps (Puf, pp. 400, € 29,00) con una introduzione e note precise e accurate sono di Camille Riquier. 
Sebbene non arrivi a modificare il profilo intellettuale di Bergson, questo inedito porta davvero un contributo nuovo alla sua conoscenza. Intanto, la prima testimonianza diretta dei celebri corsi al Collège ci consegna una prosa tanto limpida e rigorosa da spiegare il fascino esercitato sui primi ascoltatori; inoltre, sulla trama dell’indagine storica si può cogliere la falsariga della ricerca teorica, destinata poco dopo (nel 1907) a sfociare nella Evoluzione creatrice, il cui quarto capitolo, per la parte dedicata alla storia dei sistemi, sintetizza dichiaratamente proprio i risultati del corso ora pubblicato. Ma le lezioni al Collège sono assai più ampie e articolate: lo si vede per esempio riguardo a Plotino, cui sono dedicate numerose pagine (quattro intere lezioni) ben più approfondite degli stringati riferimenti a lui riservati nell’Evoluzione. 
La questione in ballo non è puramente storiografica, poiché è nel filosofo greco che si delinea, per la prima volta, quella idea di «durata» che costituirà la chiave di volta dell’intera filosofia bergsoniana. La parola in realtà non si trova in Plotino: viene dal verbo latino durare che aveva il doppio significato di indurire (fisicamente o moralmente) e di persistere, di continuare a sussistere. Ne discese, nel latino medievale, il sostantivo duratio (ignoto al latino classico e che si ritrova, tanto nelle lingue romanze quanto nell’inglese duration e nel tedesco Dauer), poi codificato in senso tecnico dalla scolastica per designare il tempo indefinito, distinto sia dall’eternità, che resta fuori dal tempo, sia dal tempo che misuriamo sul moto degli astri. 
Con questo stesso significato la durata arriva fino a Descartes, Spinoza, Leibniz, Locke e poi, giù giù, fino a Bergson, che la rielabora in modo originale, opponendo appunto la durée (continua ed eterogenea, qualitativa) al tempo spazializzato (discontinuo e omogeneo, quantitativo). Ma è Plotino che, pur non utilizzandola ridisegna la semantica della parola, modificando in modo sostanziale la concezione aristotelica e riproponendo la tesi platonica del tempo come «immagine mobile dell’eternità» secondo una triplice scansione: l’eternità (Aión) in cui vive l’Intelletto (il Nous) è «vita immutabile, tutt’intera, infinita, completamente stabile, ferma nell’Uno e rivolta all’Uno», nella quale quindi non c’è un «prima» e un «poi». Il tempo compare con la vita dell’Anima universale ed è anzi, precisamente, «la vita dell’anima che trapassa da uno stato di vita all’altro»: processo infinito come l’eternità di cui è immagine, ma «mobile» appunto, in quanto perennemente in fieri; il tempo della vita quotidiana arriva finalmente con il movimento della Sfera celeste, che consente di misurare e determinare il tempo della vita dell’Anima. 
Non è difficile riconoscere negli ultimi due gradi della «processione» plotiniana la lontana prefigurazione della durata e del tempo spazializzato di Bergson; e non sorprende quindi che nella pagine del corso il filosofo francese dimostri una sorta di sintonia con Plotino (i rapporti tra i due sono stati del resto studiati già a partire dalla monografia di Rose-Marie Mossé-Bastide). 
Bergson illustra dunque il pensiero del filosofo neo-platonico con l’ausilio dello schema di un cono infinito che aveva già utilizzato in Materia e memoria per la sua propria concezione della memoria, ma ricorre anche a un’altra metafora che gli è cara e che gli serve per marcare, oltre l’analogia, anche la divergenza dal pensatore antico: la vita, cioè la durata, si legge nell’Introduzione alla metafisica (pubblicata in quello stesso 1903), è come lo «srotolarsi di un rotolo» che man mano ci avvicina al termine dell’esistenza, ma «è anche un arrotolamento continuo, come quello di un filo su un gomitolo, perché il nostro passato ci segue, ingrossandosi incessantemente del presente che raccoglie per strada». 
L’immagine torna ripetutamente anche nel corso; ma giocando ancora più sulla comune radice etimologica di «rotolo» (rouleau) e «ruolo» (rôle), Bergson scrive che per Plotino il logos è come il «ruolo di un attore… scritto una volta per tutte… indipendentemente dal tempo», e che poi, quando vive tramite l’attore, «si sviluppa (déroule) nel tempo». Viceversa, non c’è alcun logos autore della parte che deve recitare la vita nella durée bergsoniana.

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