venerdì 9 giugno 2017
I diari di Bruno Trentin e di una tragedia collettiva: 1988-1994
Bruno Trentin: Diari 1988-1994, a cura di Igino Ariemma, Ediesse
Risvolto
A dieci anni dalla morte di Bruno Trentin si è scelto di pubblicare i
diari del periodo che va dal 1988 al 1994, non soltanto perché sono gli
anni in cui è segretario generale della Cgil, cercando di rinnovarla
profondamente, ma soprattutto perché è in atto un passaggio d’epoca di
cui Trentin è testimone e insieme interprete: il crollo del comunismo e
la fine dell’Urss con lo scioglimento del Pci e la nascita del Pds; e in
campo economico l’avvio di quella rivoluzione industriale che vede la
crisi del fordismo e l’affermarsi dell’economia digitale. Aprire questi
diari oggi, di fronte alla crisi del sindacato, di tutti i sindacati, e
degli altri
corpi intermedi, i partiti prima di tutto, una crisi giudicata irreversibile da molti, dà speranza. Perché in anni
così dram matici come quelli qui narrati, in mo do particolare
nell’Italia delle mancate riforme, dei governi deboli e inaf fidabili,
della fine dei partiti di massa, Trentin cerca, riuscendoci in parte, di
dare un nuovo ruolo al sindacato, a livello nazionale ed europeo, non
soltanto nella difesa mai corporativa degli interessi del mondo del
lavoro, ma soprattutto come attore sociale di nuova conoscenza e di
nuova cultura. Trentin supera il sindacato ideologico a favore di un
sindacato capace di trattare e di lottare per i diritti universali a
partire dalla fabbrica e dal luogo di lavoro. Il lavoro è la base della
dignità e della libertà con cui si autorealizza la persona umana ed egli
lo reputa un diritto di cittadinanza sociale al pari degli altri
sanciti dalla Costituzione. I diari sono una miniera di notizie e
giudizi che ci aiutano a comprendere il tempo presente. Vi emerge una
personalità di grande spessore umano e intellettuale, che nella sua
ricerca, senza timore di confrontarsi con la realtà e con il nuovo, non
abbandona mai la passione per la liberazione del mondo del lavoro, la
sua scelta di gioventù.
Tutti i vizi della sinistra sindacale e politica italiana di
origine social-comunista uniti a tutti quelli della tradizione
azionista.
"Ripartire... dalla battaglia per i diritti, dalla
società civile, da forme di autogoverno, dalla dignità e creatività del
lavoro. Rifiuto di ogni statolatria e di soluzioni calate dall’alto,
comprese tutte le strategie redistributive...".
A prescindere da quanto possiamo trovare divertenti le considerazioni personali che lui stesso sembra
avere rilasciato a proposito dei propri amici e compagni - oltre che
dal dovuto rispetto verso una tragedia collettiva di cui non fummo
all'altezza -, il giudizio politico e storico su Bruno Trentin lo ha
dato Bruno Trenin stesso.
E lo ha dato firmando
per malintesa responsabilità nazionale quegli accordi sulla
concertazione che furono una ulteriore bastonata alla capacità di
conflitto del lavoro dipendente e che sono una delle radici principali
della nostra catastrofe. Un vero attentato alla costituzione materiale
del paese, il riconoscimento - a mani alzate in segno di resa totale -
della vittoria delle classi dominanti.
A dimostrazione di quanto
poco - nonostante le buone intenzioni - Trentin avesse capito della fase
sociale e politica in corso e della tendenza inscritta nei rapporti di
forza.
Criticare la sinistra di quel periodo era certamente giusto. Ma farlo oggettivamente da destra, a partire dalla delegittimazione del ruolo dello Stato,
dalla mistica occhettiana della società civile e dalle idiote fantasie
ingraiane di "autogoverno" dei produttori a tre anni dalla caduta del
muro di Berlino, fu fuori dal mondo e sbagliato. E comunque non ne venne
un soldo di bene.
Aspettiamo certo di leggere per capire se i
testi aggiungono qualcosa di interessante ai fatti, a parte i tormenti
esistenziali legati al senso di colpa di chi sa di averla fatta tanto ma tanto grossa [SGA].
«Nella Cgil
è in corso una guerra tra bande. Basse manovre da Lama...Quello di
Bertinotti è un movimentismo senza obiettivi. Ha una meschina ambizione
di protagonismo»
di
Marco Cianca Corriere
Note alla fine del secolo
Saggi. Tra pubblico e privato. «Diari 1988-1994» di Bruno Trentin per le Edizioni Ediesse
Aldo Garzia Manifesto 20.6.2017, 19:45
Non dev’essere stato facile per Marcelle Marie Padovani, storica corrispondente del Nouvel Observateur,
decidere di dare via libera alla pubblicazione dei diari di suo marito
Bruno Trentin (Pavie 1926-Roma 2007). La scrittura diaristica è infatti
per definizione intimista, una sorta di dialogo solitario con se stessi
quasi psicanalitico. In più, può svelare tratti dell’autore che stridono
con il suo personaggio pubblico, nel caso di Trentin una figura di
assoluto prestigio del sindacalismo e della politica europei:
giovanissimo partigiano, deputato comunista già nel 1963, poi segretario
della Fiom, poi ancora segretario negli anni cruciali 1988-1994 della
Cgil e infine per una legislatura parlamentare europeo. Il nome di
Trentin è dunque stato legato per decenni alle vicende della Cgil, dove
lo aveva chiamato Vittorio Foa all’Ufficio studi nel 1950, animandone
l’azione e l’elaborazione.
Proprio la forma diaristica dei testi contenuti in Diari 1988-1994
(a cura di Iginio Ariemma, pp. 510, euro 22, edizioni Ediesse) può
farli apparire crudi nella forma e nei giudizi che contengono su
protagonisti e passaggi della storia della sinistra. Valutazioni
lapidarie e più o meno critiche sono riservate a tanti protagonisti di
quegli anni, tra cui Pierre Carniti, Luciano Lama, Pietro Ingrao,
Rossana Rossanda, Achille Occhetto, Massimo D’Alema, Fausto Bertinotti
(a dividerlo verso quest’ultimo ci sono oltre ai rilevanti dissensi
politici e di pratica sindacale le diversità di temperamento e di
comportamento che lo irritano particolarmente).
ANCHE CON IL MANIFESTO Trentin non è tenero. Scrive
per esempio il 24 dicembre 1990: «Mi sono indignato per i commenti (fra
il delirio estremista, il gioco mondano e la lirica dannunziana) di
quasi tutti i redattori del Manifesto. Non capisco neanch’io il perché.
Dovrei averci fatto il callo». Qualcuno dei destinatari delle frecciate
corrosive se ne rammaricherà, ai lettori viene data però l’opportunità
di conoscere con questi diari anche «l’altro» Trentin: l’uomo con i suoi
umori più privati, gli assilli esistenziali, le depressioni, le letture
a tutto campo, le linee di ricerca più recondite, l’instancabile
impegno politico e culturale condito anche da solitudine. Il che rende
il ritratto di Trentin, a dieci anni dalla morte, grazie proprio alla
pubblicazione di questi diari, più completo e meno scontato.
A colpire fin dalle prime pagine è il cruccio principale di Trentin.
Lui è consapevole della crisi che vive alla fine degli anni ottanta la
modalità di azione e organizzazione del sindacato in quanto tale, non
solo della Cgil. Superamento del taylorismo e avvio dei processi di
globalizzazione mettono infatti a dura prova il sindacato. A fine agosto
1988, mentre si stanno concludendo le vacanze tra le amate montagne di
San Candido, scrive: «Volontà di interrompere una parentesi, di
riaffrontare il toro per le corna (la crisi della Cgil)… Sono assillato
dall’idea di formulare correttamente i fini storici di un sindacato di
classe (solidaristico)». Subito dopo annota con amarezza i pericoli di
burocratizzazione del sindacato e di perdita di senso della sua
rappresentanza.
La responsabilità che gli è capitata addosso, dopo la rapida fine
della segreteria di Antonio Pizzinato, è particolarmente gravosa. Lui
prova a rispondere in modo non burocratico al dilemma sul destino del
sindacato, parlando di programmi, dimensione europea dell’azione
interrogando l’organizzazione sulle sue funzioni, accentuando la lotta
politica contro la corrente di «Essere sindacato» capeggiata da Fausto
Bertinotti verso cui non sarà mai indulgente ma pure nei confronti di
quella socialista di Ottaviano Del Turco.
NEGLI ANNI DELLA SUA SEGRETERIA IN CGIL, Trentin
cercherà in tutti i modi di avviare l’autoriforma del sindacato
ridisegnandone la natura come «sindacato dei diritti» e non solo del
lavoro, proponendo conferenze programmatiche (se ne farà una a
Chianciano che però lo deluderà per gli esiti molto modesti) che
servissero a fare i conti con le nuove problematiche dell’iniziativa
sindacale su scala europea.
L’anno più terribile per Trentin è quello che va dal luglio 1992 al
luglio 1993, quando deve fare i conti con il governo Amato e le
emergenze della situazione economica. Si piega con molta inquietudine a
firmare l’accordo tra sindacati e governo del 31 luglio 1992 che
abolisce la scala mobile e sterilizza la contrattazione a favore di una
impopolare politica dei redditi di cui non è per niente convinto. Perché
lo fa? Scrive Trentin: «Mi sono trovato assediato… La divisione dei
sindacati e nella Cgil avrebbe dato un colpo finale al potere
contrattuale del sindacato come soggetto politico». Il senso di
responsabilità e il timore della fine di ogni unità sindacale lo spinge a
siglare l’accordo lasciando però liberi gli organismi direttivi della
Cgil di convalidare o meno l’intesa. Trentin si dimetterà da segretario
lo stesso 31 luglio, poi a settembre le sue dimissioni verranno respinte
dal Direttivo Cgil, provocando – scrive lui stesso – «un inferno dentro
di me».
LA PERIODIZZAZIONE 1988-1994 di questi diari fa
rivivere la drammaticità dei fatti epocali che si susseguono in quella
fase: sconfitta del tentativo riformista di Mikhail Gorbaciov a Mosca,
crollo del Muro di Berlino, crisi irreversibile del «socialismo reale»,
avvio della trasformazione del Pci fino all’attuale Pd, guerra del
Golfo, rivoluzione tecnologica, ulteriore perdita di ruolo e
rappresentanza del sindacato, vittoria elettorale della destra
berlusconiana. Quelle di Trentin sono di conseguenza pagine dense, piene
di spunti e amare riflessioni. Aiuta nella lettura la suddivisione in
capitoli insieme alla guida che ci propone il curatore Ariemma con le
sue introduzioni ragionate.
Com’era sua abitudine, le note di Trentin uniscono giudizi sui fatti
che scorrono a pensieri più lunghi e profondi. Sul destino del
«socialismo reale» non ha dubbi fin dai fatti di piazza Tienanmen a
Pechino del 1989: «Si è privilegiata, in modo astratto e senza
considerarne i limiti, le lotta per l’equità non quella per la libertà e
contro l’oppressione… il comunismo da movimento reale di trasformazione
della società è diventato orizzonte ultimo e fine della storia». Sulla
vittoria di Silvio Berlusconi scrive: «Il berlusconismo mette in luce la
drammatica scissione tra l’autonomia del politico praticata da una
sinistra balbettante e il contenuto concreto e le forme specifiche che
assumono i conflitti di interesse e di potere nella società civile».
Quando le vicende internazionali si riflettono in Italia con la
«svolta» proposta da Occhetto, non ha alcuna tentazione a far parte del
fronte del no che ha i propri battistrada in Pietro Ingrao, Lucio Magri,
Sergio Garavini, Aldo Tortorella e Armando Cossutta. Pur segnalando la
povertà politico/culturale che accompagna la proposta di Occhetto e non
diventandone un protagonista per la sua collocazione in Cgil, la
battaglia contro il cambiamento di nome e simbolo gli appare anch’essa
non dimensionata alla portata degli eventi. In alcune riunioni proporrà –
inascoltato, come gli capiterà spesso – di chiamare ciò che nascerà
dalle ceneri del Pci «partito del lavoro» o «partito dei lavoratori».
Quando si libererà dagli impegni in Cgil e lascerà la segreteria a
Sergio Cofferati, farà parte – insieme a Giorgio Ruffolo, Alfredo
Reichlin e altri – del gruppo che deve stendere la carta di intenti, il
«programma fondamentale» del nuovo partito. Per Trentin, sarà l’ennesima
delusione.
IL CABOTAGGIO DELLA POLITICA QUOTIDIANA appare ai
nuovi gruppi dirigenti più rilevante rispetto alla necessità di
occuparsi dei «fondamentali». Trentin, lo si apprende dagli appunti
sulle sue molteplici letture filosofiche e letterarie di quel periodo,
va in direzione opposta. La sua elezione al Parlamento europeo dal 1999
al 2004, dove tornerà a occuparsi di lavoro e di contrattazione,
equivale infine a un esilio che forse stempera le delusioni dell’uomo e
del politico Trentin che torneranno a dominarlo negli ultimi anni di
vita fino all’incidente a San Candido nel 2006, che ne causò la morte
l’anno dopo.
Dalla lettura dei diari emerge la traiettoria originale di Trentin
che negli ultimi anni sembra tornare alle origini della sua cultura
azionista come riposta alla crisi del comunismo (il padre Silvio Trentin
era stato tra i fondatori del Partito d’azione e lui stesso ne aveva
fatto parte). Le sue teorizzazioni dell’ultimo periodo sul «sindacato
dei diritti» e sul socialismo moderno mettono in primo piano libertà ed
eguaglianza delle opportunità in una concezione libertaria della
politica e della società. Il pensiero e l’azione di Trentin diventano
così la felice sintesi dell’incontro tra il meglio della cultura
marxista italiana e del liberalismo atipico con Antonio Gramsci e Piero
Gobetti punti di riferimento. Bisogna ripartire da lì, sembra dirci
Trentin con i suoi diari.
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