domenica 18 giugno 2017
Il Meridiano di Sandro Penna
Poesia Novecento. L’atteso
«Meridiano» a cura di Roberto Deidier mette ordine in una vicenda
editoriale tormentata e proietta Sandro Penna su scala europea
Raffaele Manica Alias Domenica 9.7.2017, 21:03
Da dove arriva l’incanto della poesia di Penna, che si presenta
con tanta chiarezza e luce da rinviare per forza a un mistero? Ogni
poesia di Penna – nella sua brevità – sembra essere la scheggia residua
di un’esplosione avvenuta chissà dove: per questo è altamente drammatica
anche nei passaggi di maggior cantabilità e intimità; ed è un rovello
per chi voglia scriverne: contrariamente all’apparenza, richiede lunga
pazienza e lungo assedio: un protratto interrogatorio di gelosia, come
Giacomo Debenedetti chiamava l’atto critico in cerca di una verità.
Molti ne hanno mandato a memoria qualche verso, utile da citare nelle
più varie circostanze: Penna corre perfino il rischio del Midcult; ma si
avverta – e stiano con ciò in pace gli amanti dei versi irti e
difficili – che Penna è un poeta solo illusoriamente facile. Presenta
insidie perfino sul piano immediato (lasciamo stare i simboli). Certe
disposizioni grammaticalmente ambigue stanno lì in agguato per chi si
contenta di poco, e avvertono che invece occorre leggerlo come merita,
alla sua altezza. Perciò Penna non può essere un poeta del Midcult, se
non equivocandolo.
Un’altra questione riguarda la presunta immobilità dei suoi temi e
dell’articolarsi delle sue forme. È vero: i temi si rincorrono, ma con
modulazioni e variazioni che li sfaccettano infinitamente, in una
mutazione musicale che si fa astratta nonostante i tratti che la
convenzione vorrebbe realistici: ma esiste un punto della sua poesia in
cui Penna insegua l’effetto di realtà? Scrutando le fonti della sua
poesia, a lungo ritenuta senza radici, si vede quanto l’insieme della
sua opera sia una sorta di sviluppo sinfonico continuamente sospeso
interrotto rinviato: e mascherato da musica da camera.
Lo si rilegge adesso in un volume a lungo atteso e rincorso da Renata
Colorni, direttrice della collana in cui esce: Sandro Penna, Poesie, prose e diari,
a cura e con un saggio introduttivo di Roberto Deidier, cronologia a
cura di Elio Pecora, «Meridiani» Mondadori (pp. CXLI-1420, € 80,00). I
fatti nuovi del volume: la sistemazione delle poesie; la ricognizione
filologica sulle carte originali; la pubblicazione dei diari, dei quali
viene presentata un’ampia scelta (1922-1976, ma con il nucleo più
rilevante negli anni 1928-1931). A questi si aggiungono le prose di Un
po’ di febbre, gli autoritratti, le interviste. Cospicui gli apparati:
l’introduzione di Deidier a largo raggio, che pone Penna in una
prospettiva letteraria e gnoseologica dal respiro europeo, tra Proust e
Kavafis; la cronologia di Pecora: una vera e propria biografia densa di
fatti e di riscontri di prima mano; il commento di Deidier tra
accertamento filologico, indizi interpretativi e interdipendenza dei
testi di Penna con la tradizione passata e recente, dove è riversato e
incrementato un lavoro quasi trentennale.
Un libro per il lettore nuovo
Particolarmente sorprende anche i vecchi lettori la vicenda editoriale,
più tormentata di quanto non si sia a lungo sospettato: nessuno dei
libri pubblicati in vita fu esente da manipolazioni editoriali di
diversa indole. Solo l’auto-antologia del 1973, pubblicata nei Tascabili
Garzanti (nella serie grigia dei poeti) corrispondeva senz’altro a una
decisa volontà d’autore: un libro costruito per il «lettore nuovo» (così
Pasolini per se stesso nell’importante silloge uscita nella medesima
serie): «Queste sono le poesie che al di fuori di qualsiasi critico io
stimo più di tutte. Sarebbero insomma quello che io lascerei ai posteri
se posteri esisteranno».
Anche lì il destino – chiamiamolo così – ci mise lo zampino. Al
ricevimento del volumetto quale non fu la sorpresa di Penna nel
ritrovarsi in copertina due endecasillabi che aveva consapevolmente
esclusi perché consumati dalla facile notorietà (e trasformati, per di
più, in quattro versi per arbitrio nell’impaginazione: «Io vivere vorrei
/ addormentato // entro il dolce / rumore della vita»; e nel non
trovare in apertura «La vita… è ricordarsi di un risveglio», la sua
poesia sigla, smarrita dal fascio di fotocopie consegnate all’editore.
Reintegrando questa poesia, Deidier ha deciso – con gesto critico e
filologico – di porre la scelta del 1973 in testa al «Meridiano»,
lasciando seguire poi, in ordine cronologico, tutte le poesie,
affrontando dunque, con l’ausilio delle carte, la questione della
datazione dei versi di Penna. L’edizione di Poesie del 1939 subì intervento censorio; Appunti del 1950, pur «prossima a una possibile volontà d’autore», alla fine non persuase il poeta; per Una strana gioia di vivere, del 1956, si ebbe intervento nell’ordinamento dei testi del grande tipografo Giovanni Mardersteig; Poesie del 1957, comprende i tre libri precedenti con una mera appendice di versi dal 1927 al 1955; Croce e delizia
del 1958 subisce la scelta dei testi di Mario Monti, direttore della
Longanesi, oltre che la pressione degli amici di Penna (Pasolini,
Moravia, Morante), sorprendentemente preoccupati; Tutte le poesie
del 1970 riprende Poesie del ’57 e Croce e delizia, aggiungendo due
sezioni, che coprono il trentennio 1927-’57: è un libro mirabile e
memorabile, che consegna la storia di Penna così come le vicissitudini e
non la volontà del poeta l’hanno conformata.
Garboli e Penna Papers
Dopo una plaquette del 1975, sette poesie sotto il titolo L’ombra e la luce, nel ’76 esce Stranezze,
che dichiara poesie dal 1957 al 1976, ma il sistema di datazione
adottato dal curatore, Cesare Garboli, è già in fase di ripensamento
nella postfazione: oggi il nuovo curatore lo dichiara «arbitrario e
inaffidabile». Primo libro postumo, pur progettato dal poeta, è Il viaggiatore insonne, 1977, poi confluito in Confuso sogno, curato da Elio Pecora, con testi sparsi e varianti. Nel 1984 in Penna Papers,
Garboli pubblica nuovi versi di Penna. Seguono ristampe varie che
accolgono la situazione in atto, non mancando, talvolta, di peggiorarla,
mentre appare nel 1989 anche un volumetto, Peccato di gola, che
suscita, a dir poco, molti dubbi, forse apocrifo, di sicuro costruito
arbitrariamente. Abbiamo adesso dunque non solo il corpus completo ma la
sua ristrutturazione e restituzione a un campo libero e ordinato solo
dal tempo. Se il lettore affezionato alle raccolte potrà ricostruirle
grazie agli indici, il nuovo lettore potrà leggere l’insieme come un
lungo canzoniere, auto-organizzato dai suoi ritmi e impulsi. Del resto
contrariamente a quanto càpita per le raccolte di poeti dalla spiccata
fisionomia (per esempio Ungaretti o Montale), per Penna si è sempre
scritto, in sede critica, della sua poesia come unico corpus da
percorrere unitariamente.
La poesia che concludeva Stranezze si mostra davvero l’ultima
di Penna (la seguono solo un raccontino in versi finora inedito e la
versione di «Animula vagula, blandula» dell’imperatore Adriano).
L’itinerario si era inaugurato con «La vita… è ricordarsi di un
risveglio» e col mare tutto fresco di colore, un mare nel pieno della
luce o forse l’ecfrasi di un quadro, ovvero un mare appena dipinto
(quante ecfrasi di paesaggi e di marine e di nature morte, in Penna: per
esempio in «Muovonsi opachi»: «Tre rape mezza mela ed una triste /
macchina da cucina vecchia d’anni / sonnecchiano su un tavolo non
viste»: una specie di generico Cézanne, o un De Pisis). L’itinerario
aveva avuto proseguimento in quella che si deve pur chiamare una
ciclicità, un eterno ritorno biologico, alla maniera vitalistica e
nietzschiana e darwinista di Comisso: «Tu morirai fanciullo ed io
ugualmente. / Ma più belli di te ragazzi ancora / dormiranno nel sole in
riva al mare. // Ma non saremo che noi stessi ancora»: e a proposito
delle ambiguità stilistiche di Penna, decidete se il primo «ancora» sia
da riferirsi a «più belli» o a «dormiranno» o se la sua posizione lo
riferisca a tutti e due.
L’itinerario finisce con la poesia veramente testamentaria o riassuntiva
di Penna, che dal risveglio approda al sogno, alla verità di sempre
invocata in maniera straziata, chiamandone l’iddio dopo aver apposto di
nuovo alla parola vita i tre puntini sospensivi: «Un altro mondo si
dischiude: un sogno / fanciulla mia beata sotto il sole / medesimo (oh
gli antichi / e dorati fanciulli). Un lieve sogno / la vita… / Ricordati
di me dio dell’amore». Il suo canzoniere è qui, tra l’una e l’altra
sospensione.
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