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Nietzsche profeta e artista decadente? Oppure filosofo-guerriero del darwinismo pangermanista? O forse teorico di un socialismo "spirituale" che fonde in un solo fronte destra e sinistra e prepara la rivincita della Germania?
Nella lettura di Arthur Moeller van den Bruck la genesi della Rivoluzione conservatrice e uno sguardo sul destino dell'Europa.
È la stessa cosa leggere Nietzsche quando è ancora vivo il ricordo della Comune di Parigi e i socialisti avanzano dappertutto minacciosi e leggerlo qualche anno dopo, quando la lotta di classe interna cede il passo al conflitto tra la Germania e le grandi potenze continentali? Ed è la stessa cosa leggerlo dopo la Prima guerra mondiale, quando una sconfitta disastrosa e la fine della monarchia hanno mostrato quanto fosse fragile l’unità del popolo tedesco?
Arthur Moeller van den Bruck è il padre della Rivoluzione conservatrice e ha anticipato autori come Spengler, Heidegger e Jünger. Nel suo sguardo, il Nietzsche artista e profeta che tramonta assieme all’Ottocento rinasce alla svolta del secolo nei panni del filosofo-guerriero di una nuova Germania darwinista; per poi, agli esordi della Repubblica di Weimar, diventare l’improbabile teorico di un socialismo spirituale che deve integrare la classe operaia e preparare la rivincita, futuro cavallo di battaglia del nazismo.
Tre diverse letture di Nietzsche emergono da tre diversi momenti della storia europea. E sollecitano un salto evolutivo del liberalismo conservatore: dalla reazione aristocratica tardo-ottocentesca contro la democrazia sino alla Rivoluzione conservatrice, con la sua pretesa di fondere destra e sinistra e di padroneggiare in chiave reazionaria la modernità e le masse, il progresso e la tecnica.
In appendice la prima traduzione italiana dei quattro saggi di Arthur Moeller van den Bruck su Nietzsche.
2 commenti:
Perché la tesi (di Flores o di Romano?)sarebbe stantia? Saluti.
Non si è eclissato solo il sentimento del tragico, ma anche il senso del ridicolo.
Grandi professoroni che insegnano storia e che la considerano il frutto di grandi errori e di grandi illusioni, senza cercare ciò che, se anche fosse, ha spinto sterminate masse, popoli e nazioni ad abbracciare quegli errori e a lasciarsi sedurre da quelle illusioni. Sono stati semplicemente turlupinati da abili illusionisti e ciarlatani o fanatici fondamentalisti e abili e spietati organizzatori.
E poi, questi liberali che non riescono a vedere il conflitto sociale altro che in termini di concorrenza. Lenin che elimina la concorrenza rivoluzionaria menscevica e socialdemocratica. Lenin che combatte i menscevichi perchè rivoluzionari, e quindi concorrenti, è una gag che fa sbellicare dalle risate.
Con metodi fanatici e gangsteristici (evidentemente non esisteva all'epoca un organismo garante della concorrenza e del mercato che lo impedisse),la ditta leninista elimina la concorrenza che offre la sua stessa merce e diviene monopolista sul mercato della rivoluzione. E nessuna autorità antitrust è poi intervenuta.
Ma anche a sinistra non si scherza con le interpretazioni pret à porter della storia. Ricordo uno scritto di Berardi Bifo che interpretava la figura di Lenin e la sua collocazione storica in chiave psicologica.
La chiave fanatico-religiosa mi sembra possa inserirsi a buon diritto nel novero delle storia psicopatologica o teratologica, per dirla con Gramsci.
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