Se n'è andato all'età di 84 anni un protagonista della nostra vita pubblica e uno degli ultimi intellettuali di valore. Soprattutto, fino alla fine, un uomo libero che ha sempre cercato di far valere un punto di vista laico nei grandi temi del nostro Paese di CONCETTO VECCHIO REP
Ex parlamentare e giurista. Dal 1997 al 2005 è stato il primo Presidente del Garante per la protezione dei dati personali. Fu eletto per la prima volta in Parlamento nel 1979 , come indipendente nelle liste del Partito Comunista Corriere
Un uomo di sinistra, al futuro
Una grande civiltà. Stefano Rodotà fuori e dentro le istituzioni, per i diritti e i nuovi bisogni, la biopolitica e i beni comuni. Fino alla candidatura al Quirinale
Andrea Fabozzi Manifesto 24.6.2017, 23:59
«Per conto mio, rimango quello che sono stato, sono e cercherò di rimanere: un uomo della sinistra italiana, che ha sempre voluto lavorare per essa, convinto che la cultura politica della sinistra debba essere proiettata verso il futuro. E alla politica continuerò a guardare come allo strumento che deve tramutare le traversie in opportunità».

Sono le ultime parole di un pezzo scritto da Stefano Rodotà, quando – era l’aprile di quattro anni fa – si trovò a dover rispondere a un attacco pubblicato sul giornale per il quale scriveva da quarant’anni e firmato dal fondatore del giornale. Eugenio Scalfari lo accusava di non essersi ritirato dalla corsa per il Quirinale nel momento in cui era tornato «disponibile» (e poi rapidamente eletto) Giorgio Napolitano.
LA STORIA È NOTA, è la più recente e anche la più clamorosa delle tantissime percorse dal giurista morto ieri all’età di 84 anni. Parlamentare in legislature lontane (dal 1979 al 1992), punto di riferimento per generazioni di giuristi, Rodotà tra il marzo e l’aprile del 2013 si trovò a essere acclamato nelle piazze dai militanti del Movimento 5 Stelle. E non solo da quelli, anche se fu dei grillini l’iniziativa di candidarlo a presidente della Repubblica. Iniziativa malissimo digerita dal Pd, allora a guida Bersani. E «ci si dovrebbe chiedere – scriveva ancora Rodotà rispondendo a Scalfari – come mai persone storicamente di sinistra siano state snobbate dall’ultima sua incarnazione e abbiano, invece, sollecitato l’attenzione del Movimento 5 Stelle».

Ma anche l’attenzione di Grillo finì nell’acido degli insulti, appena il signore del Movimento fu toccato dalle puntualizzazioni del professore sulla non autosufficienza della rete. Dopo averlo candidato al seggio più alto e aver fatto scandire il suo nome nelle piazze, Grillo rapidamente lo degradò «a ottuagenario miracolato dalla rete», così dimostrando che i king maker non sono necessariamente all’altezza dei loro candidati. E per la verità Rodotà non aveva neanche vinto le «quirinarie» inventate da Grillo sul suo blog che – con una partecipazione scarsina – avevano incoronato Milena Gabanelli e Gino Strada prima di lui, però si erano ritirati. Dopo quella polemica Rodotà continuò a scrivere per Repubblica, anche se con meno frequenza e non sempre in prima pagina. Anche perché l’ultima battaglia del professore è stata quella contro la riforma costituzionale e la legge elettorale di Renzi, due leggi che invece il quotidiano fondato da Scalfari ha sostenuto.
QUESTO SUO IMPEGNO per il no gli era costato l’accusa, per lui particolarmente insopportabile, di conservatorismo. Prima Renzi poi Boschi individuarono in Rodotà l’avversario perfetto durante tutto l’iter della riforma costituzionale e poi nel corso della campagna referendaria. Era lui il «professorone» per eccellenza, che insieme ad altri aveva firmato (sul manifesto) il primo l’appello contro i rischi di autoritarismo. E quanto fu felice il presidente del Consiglio quando gli fecero sapere che proprio Rodotà nel 1985 aveva avanzato con i deputati della Sinistra indipendente (con Gianni Ferrara, suo grande amico) una proposta di legge per il monocameralismo.

Fece presto Renzi a concludere che Rodotà aveva cambiato idea solo per antipatia verso di lui e la sua riforma costituzionale – e il professore dovette spiegargli che con la legge proporzionale (e i partiti) di trent’anni prima quella sua proposta di riforma aveva tutto un altro segno. «L’Italicum è una legge arretratissima», diceva Rodotà nelle assemblee di quei giorni, sempre attento a non perdere di vista la prospettiva del cambiamento. Qualche volta lo si vedeva intervenire con le stampelle: «Non sono un professore pigro».
Nella sua presenza politica quarantennale c’è sempre stata questa spinta all’innovazione. Civilista più e prima che costituzionalista, lo guidava l’assillo dei diritti e dei bisogni, specie quelli nuovi, da garantire e difendere.
Dalla rappresentanza sindacale – tenne un comizio a Pomigliano, davanti alla fabbrica Fiat che non voleva riconoscere la Fiom – all’acqua, decisivo il suo contributo al referendum del 2011, ai beni comuni: a Roma lo ricordano gli occupanti del teatro Valle e quelli del cinema America. La biopolitica, alla quale ha posto attenzione tra i primi, sempre con un atteggiamento profondamente laico anche rispetto all’invadenza del diritto: «La regola fissa è destinata a essere travolta», avvertiva tutte le volte in cui rispondeva sulle grandi questioni della vita e della morte.

GIURISTA DI GRANDE FAMA anche all’estero (ha insegnato in diverse università del mondo) Rodotà è stato tra gli estensori della carta di Nizza, la carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E poi è stato anche uno dei più attenti alle implicazioni della nuove tecnologie, sia come garante della Privacy (il primo quando fu istituita l’Authority nel 1997) sia più recentemente da presidente della commissione che, alla camera, ha scritto la carta dei diritti in internet.
«Alla mia età mi fa sinceramente piacere che qualcuno si ricordi di me», commentò con un filo di ironia la scoperta di essere il prescelto del blog di Grillo. In quei giorni in parlamento, senza il sostegno ufficiale del Pd, arrivò a raccogliere 250 voti dei grandi elettori; molti di più di quelli dei soli grillini. Ma la diciassettesima legislatura che poteva cominciare eleggendo Rodotà al Quirinale, era destinata a partire invece con la storica conferma di Napolitano per un secondo mandato. È questa legislatura, ormai avviata alla fine.
La passione di un maestro di vita
Ciao Stefano. Con lucidità disegnava un futuro migliore e allo stesso tempo «possibile»
Gaetano Azzariti Manifesto 24.6.2017, 23:59
Non è facile scrivere queste poche righe in un momento di
profondo dolore per la scomparsa di un amico e di un maestro di vita.
Stefano Rodotà non era solo il raffinato intellettuale e il protagonista
di trent’anni di battaglie civili, era anche un uomo generoso e
appassionato.
Il suo immenso carisma credo avesse molto a che fare con la passione che egli riusciva a trasmettere.
Affascinava e coinvolgeva Rodotà quando, con lucida razionalità, disegnava un futuro migliore e allo stesso tempo «possibile».
Ha iniziato ben presto a rappresentare il cambiamento.

Lo ha fatto da studioso, quando giovanissimo ha contribuito in modo
decisivo a far cambiare passo alla scienza del diritto civile. Erano gli
anni ’60 del Novecento, quando uscirono le sue due prime monografie:
una rivoluzione per gli studi del tempo.
Di fronte ad una cultura dei giuristi che ancora si attardava nel
formalismo giuridico e faceva resistenza entro uno specialismo che
relegava ai margini la costituzione repubblicana, ecco un giovane
studioso che dimostrava la necessità del cambiamento. Oltre – e sopra –
il diritto civile si staglia la costituzione, l’interpretazione
giuridica non può che fondarsi su una legislazione per principi che pone
al centro i diritti delle persone reali.
L’attenzione per i diritti ha segnato la vita di Rodotà. Non si è mai
sottratto dinanzi alla difficoltà di affrontare certi temi. Dalla
proprietà («il terribile diritto») ai beni comuni (una formulazione di
cui oggi si abusa, alla quale Rodotà è riuscito per la prima volta e
praticamente da solo a dare valore scientifico). Tutti temi trattati con
realismo e mai dimenticando la materialità della dimensione dei
diritti. In uno dei suoi libri più affascinanti «Il diritto di avere
diritti» Rodotà indica la rotta agli studiosi di diritto che si
riconoscono entro il progetto del costituzionalismo democratico e
pluralista. Bisogna pensare ad un «costituzionalismo dei bisogni»,
scrive.
Dovremmo meditare a lungo la sua lezione, soprattutto in tempi come i
nostri che appaiono dimenticare che è delle persone concrete che
bisogna parlare.

Tra le ragioni che hanno portato Stefano Rodotà ad opporsi con grande
coraggio e rigore all’ultimo tentativo di cambiare la costituzione v’è
sicuramente la percezione che il revisionismo dominante non avesse nulla
a che fare con i diritti dei cittadini, semmai ne aumentava la
distanza, guardando solo alle ragioni del potere e non invece a quelle
dei governati. L’ultima «Carta» di valore costituzionale che è stata
scritta porta la sua firma. La Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, approvata a Nizza nel 2000.
È il catalogo più ampio mai scritto dei diritti e il più impegnato
tentativo di far mutare rotta all’Europa: «dall’Europa dei mercati
all’Europa dei diritti», come ebbe a scrivere. Dopo la sua approvazione
l’Europa «ha voltato le spalle alla Carta» (sono ancora sue parole).
Ancora una volta la politica si è dimenticata dei diritti. Ma, se i
diritti diventano deboli spetta a nessun altro se non a noi difenderli.
«il codice di questa impresa – scrive – ha un nome, e si chiama
politica.
I diritti diventano deboli quando diventano preda di poteri
incontrollati, che se ne impadroniscono, li svuotano e così, anche
quando dichiarano di rispettarli, in realtà vogliono accompagnarli a un
malinconico passato d’addio. I diritti, dunque, diventano deboli perché
la politica li abbandona. E così la politica perde se stessa, perché in
tempi difficili, e tali sono quelli che viviamo, la sua salvezza è pure
nel suo farsi convintamente politica dei diritti, di tutti i diritti».
La lotta continua e Rodotà continuerà a farci vedere la rotta.
Sit tibi terra levis, Stefano.
Un compagno, che fu subito parte di noi
Sinistra. Perché
Stefano non risultò mai esterno e la sua diversità fu quella che
Eduard Said ha chiamato «un aiuto fondamentale alla critica di se
stessi»
Luciana Castellina Manifesto 24.6.2017, 23:59
Sapevo, sapevamo tutti, che Stefano era malato da tempo. Ma
poiché, sebbene non con la frequenza di sempre, continuava a scrivere e a
partecipare, alla fine abbiamo pensato – o ci siamo lasciati illudere
dall’idea – che la cosa non fosse grave.

Qualche settimana fa era seduto nella fila davanti a me al teatro
Argentina per vedere l’ultima opera di Mario Martone. Non posso credere,
non ci riesco, che non sia più con noi.
Come parlare di Stefano Rodotà, come ricordarlo, spiegarlo ai
giovanissimi che certo lo conoscevano di fama, ma che non possono capire
il significato della sua presenza politica in questo ultimo mezzo
secolo, nel quale ha giocato un ruolo qualitativamente diverso da ogni
atro protagonista di questo tempo, assolvendo ad una funzione
essenziale? Una funzione storica. Mi spiego: Stefano Rodotà non era
comunista, aveva una formazione diversa da quella del Pci e dalla nostra
de
Il Manifesto; ma di sinistra. Qualcuno ha sempre detto di
lui che era un liberal democratico, non lo so se era così, era certo un
grande giurista ma io/noi l’abbiamo sempre sentito compagno, nel senso
più pieno che occorre dare a questa parola. Era entrato nelle nostre
vite attraverso quella speciale figura che il Pci nella sua epoca
migliore aveva inventato: gli eletti nelle proprie liste non
appartenenti all’organizzazione,i c.d. «indipendenti di sinistra». Fu
una grande idea, perchè molti di loro ci portarono una folata di nuova e
utile cultura. Ma con Stefano fu diverso: ci portò un contributo
essenziale alla correzione del nostro modo di essere comunisti. Perché
non risultò esterno, fu subito parte di noi, la sua diversità fu quella
che Eduard Said ha chiamato «un aiuto fondamentale alla critica di se
stessi».

Dovremo, vorrei io stessa, scrivere e spiegare molto di più su chi
sia stato per noi tutti Stefano Rodotà. Non posso certo farlo ora perché
si tratta di una riflessione storica che non può svilupparsi nei 30
minuti che dall’annuncio della sua scomparsa mi sono dati ora per
scrivere. Non posso non aggiungere, tuttavia, il ricordo personale di un
percorso che mi ha dato il privilegio di lavorare con Stefano gomito a
gomito.

Nel 1980, nel tempo della crisi del compromesso storico e prima del
pieno dispiegarsi del craxismo, come risultato di un appello firmato da
Claudio Napoleoni e Lucio Magri, nasce
Pace e guerra, prima
mensile e poi settimanale, con l’intento di dar voce ad un’area di
sinistra che tentò ancora un’incontro fra sinistra socialista, comunisti
critici del Pci e area della cosidetta “nuova sinistra”,il Pdup
innanzitutto. Direttori di
Pace e Guerra furono Claudio
Napoleoni, Stefano Rodotà e la sottoscritta ( più tardi anche
Michelangelo Notarianni). Con Stefano in particolare abbiamo lavorato
insieme quotidianamente per quasi cinque anni, con una redazione
fantastica di cui voglio ricordare fra i tanti nomi solo qualcuno che
oggi sembra più eterogeneo: Gianni Ferrara ma anche Paolo Gentiloni,
Massimo Cacciari, Giuliana Sgrena e Aldo Garzia. ( Ma anche Carla
Rodotà, contributo prezioso al nostro lavoro). E una inedita,
larghissima partecipazione della socialdemocrazia europea che in quegli
anni vide la prevalenza di una splendide leadership di sinistra. Il
nostro tentativo fu sconfitto. Sappiamo tutti come e perché. Ma continuo
a credere non inutile. Anche se il Pci, sciogliendosi in malo modo, e
il Psi con l’avventura craxiana, seppellirono quel tentativo di
alternativa.

Ho ricordato
Pace e Guerra perché quella esperienza non è
per me e per molti compagni solo un ricordo molto importante, ma perché a
quel tentativo politico Stefano Rodotà ha coerentemente lavorato per
tutta la vita, nelle sedi in cui si è via via trovato ad operare ( non
ultima, per importanza, la «nostra» Fondazione Basso, di cui è stato
Presidente). Non era utopia, illusione.
Era un obiettivo possibile.
Anche recentemente: non ci siamo mai arrabbiati abbastanza per il
fatto che la sua candidatura a presidente della Repubblica sostenuta dai
Cinque Stelle ( per una volta non ambigua) e da SeL sia stata fatta
cadere dal Pd.
Ho la massima stima di Mattarella, ma Stefano Rodotà, proprio per la
sua storia e la sua personalità, e nonostante i limitati poteri del
Qurinale, avrebbe forse potuto contribuire ad evitare il disastro
attuale della sinistra.
Ciao Stefano, siamo molto tristi. Un abraccio a Carla e a Maria Laura.
«Grazie professore», il cordoglio di un Paese per Stefano Rodotà
La sinistra piange un leader. Dalle
istituzioni all'associazionismo, da Mattarella ai «ragazzi del Cinema
America», l'Arcigay e il Forum per l’acqua pubblica, il saluto al grande
giurista e pensatoreEleonora Martini Manifesto 24.6.2017, 23:59
«Grazie di tutto Professore!». È il saluto che gli rivolgono in
tanti, tra coloro che lo hanno amato e stimato, che hanno appreso, sono
cresciuti, si sono evoluti o liberati seguendo la bussola del pensiero
di Stefano Rodotà. Ma ce n’è uno che forse avrebbe fatto particolarmente
piacere al giurista e costituzionalista, scomparso a Roma ieri all’età
di 84 anni, che non aveva mai smesso di camminare insieme alle ultime
generazioni. È quello dei «ragazzi del Cinema America di Roma», che lo
ringraziano pubblicamente «per il paziente e gentile ascolto che ha
riservato nella sua vita a noi e a tutti i giovani che si sono
mobilitati per difendere e migliorare la nostra società. I suoi consigli
sono stati tra i più discreti e preziosi».

Le massime cariche dello Stato e tutto il mondo politico esprimono
«profondo cordoglio» per la morte del docente di diritto civile. Il
presidente Sergio Mattarella ricorda «le alte doti morali e l’impegno di
giurista insigne, di docente universitario, di parlamentare
appassionato e di prestigio, e di rigoroso garante della Privacy. La sua
lunga militanza civile al servizio della collettività – aggiunge il
capo dello Stato – è stata sempre contrassegnata dalla affermazione
della promozione dei diritti e della tutela dei più deboli». Il premier
Paolo Gentiloni affida a
Twitter il ricordo di un
«intellettuale di rango, straordinario parlamentare» che ha dedicato
«una vita di battaglie per la libertà». «Ci mancherà», scrive invece su
Facebook
il presidente del Senato, Pietro Grasso, omaggiando «l’intelligenza
vivace e la straordinaria capacità di affrontare con linguaggio semplice
temi profondamente complessi». Come le battaglie «per il diritto di
avere diritti anche nell’età digitale» ricordate dalla presidente della
Camera Laura Boldrini, o la «difesa della legalità» su cui pone
l’accento il ministro dell’Interno Marco Minniti. «Autentico combattente
delle idee», twitta Maurizio Martina, vicesegretario del Pd e
responsabile dell’Agricoltura.

«Gli abbiamo voluto bene», è il messaggio del vicepresidente della
Camera, Luigi Di Maio. E da Roma, la sindaca Virginia Raggi e
l’amministrazione a 5 Stelle ringraziano il «giurista e politico di
immenso spessore», che «è stato un grande riferimento per tutta la
società».
Perfino qualcuno della parte politica avversa (non Renzi) rende a
Stefano Rodotà l’onore che si deve ad un «avversario» cui «non si può
non riconoscere la passione e l’onestà intellettuale» (Quagliariello di
Idea), o esprime «vicinanza a tutta la comunità di donne e uomini che si
è formata sui suoi valori» (Rampelli di FdI-An).

Ma particolarmente colpito dall’improvvisa notizia è il mondo
dell’associazionismo, che lo aveva sostenuto come possibile presidente
della Repubblica, e di quella sinistra che con Rodotà ha condiviso
decenni di battaglie per i diritti civili, per la laicità dello Stato e
per i «beni comuni». L’Arcigay saluta con commozione «un instancabile
militante e un amico generoso», «una voce forte, un pensiero lucido, una
grande integrità e una rara lungimiranza». «Il nostro Paese – scrive il
presidente nazionale Gabriele Piazzoni – perde oggi un uomo grande, che
ha saputo mettersi a servizio, dentro e fuori dalle istituzioni,
dell’intera nazione, dei primi e degli ultimi». Il Consiglio nazionale
forense ne sottolinea la capacità di «mettere sempre il diritto al di
sopra delle fazioni». Nicki Vendola piange il «maestro di libertà». «Ci
mancherà moltissimo – scrive il segretario di Sinistra Italiana, Nicola
Fratoianni – la sua intelligenza mai scontata, il suo pensiero raffinato
e forte, ostinatamente rivolto alla tutela dei diritti in un Paese come
l’Italia nel quale troppo spesso sono negati, innamorato dei beni
comuni e della Costituzione».
Alla moglie Carla e ai figli rivolge infine un particolare pensiero
il Forum italiano dei movimenti per l’acqua che ricorda l’incontro con
Rodotà «nella stagione della costruzione del movimento per l’acqua nel
nostro Paese e nella battaglia referendaria di 6 anni fa», quando non
solo il giurista lavorò alacremente «al nostro fianco» ma divenne
«protagonista anche di un’elaborazione teorica innovativa sui beni
comuni, senza la quale quella battaglia non avrebbe avuto la qualità e
la diffusione che ha realizzato». «Andremo avanti – conclude la nota del
Forum – nel nostro impegno e nel nostro lavoro contro le logiche di
mercificazione dei beni comuni con la consapevolezza che il contributo
che ad esso ha dato Stefano Rodotà continuerà a vivere».
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