domenica 10 settembre 2017

"Fiamma viva" di Wells

H. G. Wells: Fiamma viva, Edizioni della sera, traduzione di Elisabetta Motta, pp. 225, euro 14

Risvolto
The Undying Fire, pubblicato in Inghilterra nel 1919 è una rivisitazione in chiave moderna del Libro di Giobbe, attribuito a Mosè. Il protagonista, Job Huss, dirige con successo la scuola pubblica di Woldingstanton, introducendo nuovi metodi d’insegnamento.

Una serie di disgrazie si abbatte all’improvviso su di lui, sconvolgendo il suo mondo tranquillo. Huss perde tutti i suoi risparmi dopo averli affidati a un investitore sprovveduto; un incendio, scoppiato in seguito a un’esplosione nel laboratorio di chimica della scuola – durante il quale perdono la vita due ragazzi e un professore – compromette il suo ruolo di prestigio; Huss crede di avere perso il suo unico figlio in guerra e, come se non bastasse, scopre di avere il cancro. Vanno a trovarlo tre amici con cui affronta un lungo discorso teologico sulla natura di Dio. Huss s’interroga sul perché l’uomo debba soffrire e su quale sia il senso della vita. Durante il delicato intervento chirurgico cui dovrà essere sottoposto, sogna Dio che lo esorta a non perdere il coraggio e la fede. La speranza è quella fiamma nel cuore che non deve spegnersi mai. Job Huss intraprende un cammino di redenzione e tutto quello che gli era stato tolto, alla fine gli verrà generosamente restituito. Il chirurgo scopre che il tumore non è maligno e, sorprendentemente, anche suo
figlio che non era stato ucciso ma fatto prigioniero, si fa vivo mandando a casa un telegramma.
Il grande conflitto spirituale affrontato da Wells in queste pagine venate da un pessimismo generato probabilmente dal clima di distruzione della Prima Guerra Mondiale, è reso efficace e intenso attraverso personaggi tratteggiati con profonda intuizione ed eventi di una natura altamente drammatica che evolveranno, tuttavia, verso un conciliante “happy end”.

    
La battaglia della «buona vita» contro la «triste scienza» degli affari 
Benedetto Vecchi Manifesto 12.7.2017, 13:53 
Un direttore di una scuola d’èlite nell’Inghilterra imperiale che rifiuta la tesi educativa in base alla quale la fisica, la chimica e l’economia siano le sole discipline del sapere da insegnare perché utili alla società. Con passione argomenta invece che uno studente ha bisogno di conoscere la storia, la filosofia, la letteratura per diventare un uomo consapevole non solo del proprio valore ma del ruolo che può svolgere per migliorare la società dove vive. 
LA SCIENZA è infatti considerata disciplina applicativa perché aiuta a svolgere operazioni. Non è dunque «maestra di vita». Da qui l’intensa battaglia dialogica per rigettare le proposte del consiglio di amministrazione di cancellare le materie umanistiche in nome delle scienze esatte e della «triste scienze». La chimica, la fisica, l’economia possono essere vincenti nel breve periodo, ma sono destinate al fallimento nel lungo periodo. Il singolo che si è formato solo attraverso l’apprendimento di nozioni operative, opererà nella società arricchendosi, forse, migliorando la produzione di merci utili si all’umanità, ma non proverà mai a capire il puzzle che contribuisce, con il suo operare, a definire. 
È lo storico conflitto tra materie umanistiche e scientifiche una della chiavi di lettura del romanzo Fiamma Viva (Edizioni della Sera, traduzione di Elisabetta Motta, pp. 225, euro 14) di H. G. Wells scritto mentre gli echi delle battaglie combattute in Europa tra il 1914 e il 1918 sono sovrastati dal lamento dei milioni di morti che hanno lasciato sul campo. 
È un romanzo che nulla a che vedere con i fantascientifici La guerra dei mondi, La macchina del tempo, L’isola del dottor Moureau che hanno reso noto il nome di Wells ai suoi tempi, facendolo diventare uno dei padri nobili della science ficition. Oltre a discettare sull’insegnamento, le pagine affrontano quindi il ruolo della scienza nella società industriale ma alla luce – questa la seconda chiave di lettura del libro – del rapporto che intrattiene con la fede. 
CON ACUME editoriale, l’introduzione di Elisabetta Motta ricostruisce il percorso di questo scrittore, divulgatore scientifico, socialista utopista protagonista, nei primi decenni del Novecento, della discussione pubblica inglese al punto da essere accomunato a William Morris, l’architetto, riformatore sociale e ispiratore di molte comunità «socialiste» ritenuto, a ragione, uno dei padri nobili del laburismo inglese. Ma a differenza del laico Morris, Wells vede nella religione il viatico per costruire in terra le condizioni per la buona vita. 
La sua fede, tuttavia, non segue nessuno precetto delle chiese cristiane. Il Dio di Wells non interferisce con la vita mondana, dove vige il libero arbitrio. È un Dio che non ha neppure la vocazione ecumenica di convertire al bene i cuori degli uomini e delle donne. Il Dio di Wells è infatti una «fiamma viva» che illumina l’attraversata della vita. 
ROMANZO dunque «teologico», dove lo scrittore evoca la distruzione della guerra, la Rivoluzione russa, il disfacimento progressivo dell’impero inglese. L’ordine delle vecchie società è saltato in aria e nulla sembra aiutare gli umani a costruirne un altro. Rimane il «fare» degli umani, che non sono né buoni nè cattivi per natura. Sono semplicemente soli di fronte al mondo: per questo la storia, la filosofia servono a mantenere accesa la fiamma che vive nei loro cuori e menti. Guai però a confonderla con il progresso, cioè con l’ideologia degli scienziati e degli uomini di affari. 
Il romanzo ha un prologo – un dialogo tra Dio e Satana sul bene e sul male – ma è la cattiva sorte del protagonista il filo rosso che tesse la storia del protagonista. L’antropologia filosfica che emerge dal romanzo è «pessimista» e serve solo a sorreggere la visione conservatore e imperiale. 
Uomo di successo, vede in pochi mesi bruciare la scuola, morire alcuni studenti; è informato della morte in guerra del figlio. Scopre inoltre di avere il cancro; la visita dei maggiorenti del consiglio di amministrazione per comunicargli l’esonero dal suo ruolo è però la molla che lo spinge a battagliare. 
DIFENDE strenuamente il suo modello di insegnamento, equiparato alla attività di un artigiano. Non è importante sapere se il protagonista vincerà la malattia o se rimarrà direttore della scuola. Lo scopo era difendere la fiamma della sua appartenenza alla natura umana. Che per Wells coincide con l’immutabilità dello status quo.

Nessun commento: