Sotto le "Foglie d'erba" c'è un libro sacro e carnaleIl poeta è l'officiante di un rito antico e moderno. Dalle vette della mistica alle passioni più umane Giuseppe Conte Giornale - Mer, 01/11/2017Whitman, Foglie democratiche e queer
Ma per giungere a un omaggio all’autore di Foglie d’erba Eliot ci mise molti anni, ripetendo così l’errore passatista e puritaneggiante del suo paese. Nel 1928 nell’introduzione alle Selected Poems di Ezra Pound, il quale, turandosi il naso, «Un patto» (1913) con «padre» Whitman l’aveva infine stabilito, Eliot ammetterà: «Ho letto Whitman solo molto tardi. Per farlo, dovetti superare un’avversione per la forma da lui adottata e per il contenuto». Forma e contenuto. Nel caso di Whitman, molto spesso le perplessità sulla forma – il linguaggio comune, il «barbaric yawp», il verso libero dal respiro lungo, l’assenza di rime – sono solo l’alibi che alcuni lettori dell’Ottocento e, ahimè, di buona parte della prima metà del Novecento scelgono, più o meno inconsciamente, per distanziarsi da certo contenuto. Entrambi furono a loro modo, dirompenti e da dover ingoiare, come una medicina, assieme all’America e le sue (e di Whitman) contraddizioni, se si intendeva crescere, al fine di «intagliare» nuovo legno (Pound).
È proprio sulle ragioni di una impasse di tale natura, segnalata dalle distanziate frontiere del consenso (in Italia da parte di D’Annunzio e Marinetti) che punta, con altri spiccati assestamenti, il «Meridiano» Mondadori dedicato all’ultima edizione (1891-1892) di Foglie d’erba (pp. 1658, euro 80,00), curato da Mario Corona con attenzione ‘organicistica’ e accerchiante: filologica, storico-culturale, transnazionale, politico-ideologica, pre-queer. Nonostante le numerose proposte parziali (incluse le ottocentesche) e la versione integrale di Enzo Giachino per Einaudi (1950) voluta da Cesare Pavese, questo «Meridiano» costituisce il primo tentativo in Italia di venire a patti con l’intera complessa costruzione di Whitman, un unico poema in progress che raggiunge infine un corpus di 398 poesie. A partire dalla raccolta di esordio, contenente solo dodici poesie, pubblicata anonima e in modo artigianale nel 1855, nel corso trentennale di nove edizioni di Foglie d’erba Whitman percorreva una strada tortuosa perché, di volta in volta, egli disseminava i suoi componimenti e poi, a scapito del racconto cronologico, li re-innestava, li decostruiva e rimescolava e riadattava, ristrutturando continuamente il suo palcoscenico erboso intagliato nella Natura (secondo Emerson) e nella natura umana «democratica» (secondo se stesso).
«Camerado, questo non è un libro, / Chi tocca questo tocca un uomo», egli scrive in «A presto!»: versi famosi in sintonia con la ricostruzione di Corona, il quale, a iniziare con il Canto di me stesso, via via che la «quercia» democratica delle Foglie cresce ramo su ramo, si arrampica egli stesso su quella quercia dalle radici: foglio su foglio, edizione su edizione, poesia su poesia, fino alla cima, fino a compattare la simpatetica identità di uomo-poeta-corpo-testo e America-anima-cosmo-lettore. Tuttavia, prima di inoltrarsi su questo versante egli preferisce aprire una finestra strategica (voyeuristica) su uno dei tanti sguardi «da oltre oceano», uno sguardo testimone, e forse partecipe, di certe consuetudini intimistiche di Whitman, come fu quello dell’inglese Edward Carpenter, che nel 1877 si recò in visita dal vate seduttore a Camden (Filadelfia). Si squarcia così in apertura il velo sui messaggi proibiti (perché per lo più omoerotici ma non solo) del testo e dell’uomo. Le carte della corporea «indirection» whitmaniana («oscena» per la censura), che corrono sempre a fianco del discorso aperto sulla democrazia, vengono così scoperte in anticipo. È solo un’antifona, per ora, prima di affrontare con occhi avvertiti la storia della nascita di Foglie d’erba, dei suoi sviluppi, delle sue implicazioni.
Seminati indizi più o meno segreti (covate «uova» furtive), mentre si segue la crescita dell’albero, si avverte in questa storia un momento di frattura, una ferita nel progetto patriottico e personale di Whitman, che restituisce, con responsabilità ideologica e umana, il poeta alla sfera civile. È il tempo della Guerra di Secessione che lo tenne impegnato nelle retrovie dei campi di battaglia e negli ospedali: «Veglia strana ho fatto sul campo questa notte; / Il giorno che tu figlio mio e mio compagno mi sei caduto accanto, / Un solo sguardo ti ho dato, e gli occhi tuoi cari risposero con uno sguardo che mai scorderò, / Un solo tocco della tua mano che cercava la mia …». Qui, in una lirica di Rulli di tamburo (1865), Whitman è compagno «di carità» (agape) che nello strano tocco di una mano vede riflessa la crisi totale della nazione da lui decantata come impareggiabile. È in questa guerra che, secondo Corona, si stabilisce una svolta e i due rami tematici delle Foglie (il democratico e l’erotico) «si intrecciano nel segno della democrazia politica inaugurata dalla Rivoluzione, che dovrà però estendersi fino a compiere una rivoluzione sessuale», ovvero all’affermarsi di un «nesso fra sessualità e democrazia». Proposta audace (e profetica) che in Inghilterra raggiungerà Oscar Wilde, D. H. Lawrence, E. M. Foster (ma non, si badi, Henry James!).


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