sabato 16 settembre 2017
Mazzarella su nichilismo e "smoralizzazione del mondo"
Risvolto
Tema di questo libro è “l’ospite più inquietante dei prossimi due
secoli”, vaticinato da Nietzsche: il nichilismo. Qui alla volta del suo
secondo secolo come “nichilismo etico”. Come sfida, all’uomo della
tecnica nell’età della globalizzazione, della “smoralizzazione” del
mondo; ovvero della perdita dell’autorità direttiva della “natura”, in
qualsivoglia senso, per l’autodefinirsi della cultura umana. Una
perdita, nel titanismo della scienza-tecnica, già pericolosa sul piano
tecnico-naturale, dove però ha un freno interno nel fatto che anche per
“aggirare” la natura bisogna imitarla, vincolandosi ad essa; a pena
della non riuscita dell’esperimento. Ma che sul terreno propriamente
sociale – nell’inedito panorama sociale della “biografia-fai-da-te” –
non trova freni nel venir meno dei tradizionali fondamenti biosociali a
base naturale – nei nessi etici comunitari – della costruzione
dell’identità individuale. Nessi etici rimessi ad una loro pura
(auto)posizione biopolitica, che produce l’ossimoro sociale di una
“comunità contrattata”, dove l’identità umana è tutta de iure condendo.
Sottratta come “cultura” al suo vincolo olistico alla natura, nella
pretesa di poterla dedurla – produrla a sé stessa – dal puro immateriale
della decisione di come deve essere la vita dello spirito.
Individui soli eppure socialissimi
Alberto Giovanni Biuso Manifesto 2.8.2017, 0:06
Che cosa significa essere umani? Cosa vuol dire rimanerlo? La riflessione di Eugenio Mazzarella fa da tempo perno su queste domande, sulla loro essenzialità per la comprensione delle relazioni e delle strutture che intessono la nostra specie, anche nel tempo dell’ingegneria genetica e delle tecnologie digitali che tendono a trasformare alla radice quella cosa calda e palpitante che è l’umano. Con L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo (Quodlibet, pp. 213, euro 20) il filosofo perviene a una lucida sintesi, libera da ogni nostalgia reattiva e da ogni ingenuità scientista.
Il libro intende essere «una pratica di resistenza, prova a raccogliere alcune idee che perorano una causa. Quella dell’uomo che siamo stati fino ad ora, l’uomo che deve rimanere», rispetto ad alcune evoluzioni le quali partono tutte da una vera e propria «fallacia artificialista» che consiste nel dedurre «da ciò che si può fare quel che si deve fare», anche a costo di scindere radicalmente l’unità di natura e cultura che da sempre i singoli e le comunità umane sono.
Al fragile calore dell’umano, alla sua identità biologica e culturale, alla comunità dalla quale ognuno di noi germina e senza il cui sostegno non possiamo vivere, si oppone la miopia di un pensare e di un agire fondati su quella che potrebbe esser definita la malattia individualistica. Malattia mortale prima di tutto per l’individuo stesso, apparentemente sciolto da legami naturali ma proprio per questo consegnato alla solitudine di un mercato – economico e interiore – che ne fa l’infima parte di uno sconfinato formicaio senza relazioni, trasformandolo in «un’unità di forza lavoro socialmente ed esistenzialmente mobile, necessitata a sganciarsi, per realizzare ‘la propria vita’, da ogni strutturale legame/condizionamento sociale».
Una malattia che sembra ignorare l’evidenza: i comportamenti sono sempre sociali, anche quando stiamo da soli con noi stessi e con il corpo che siamo, il quale è tanto nostro quanto delle relazioni che lo intessono. Siamo con-essere sin nei gangli più fondi e profondi della vita e del tempo; siamo persona comunitaria in quel «testo e non solo contesto» che è la natura di cui siamo fatti, siamo intrisi, siamo dall’inizio alla fine attraversati.
Per ciascuno di noi risulta vitale trovare da qualche parte un terreno, una dimora, un luogo nel quale abitare con fiducia. Potremmo chiederci da dove nasca tale bisogno. Mazzarella analizza l’esperienza temporale, poiché il tempo è la casa della quale siamo da sempre abitatori e la cui comprensione è il senso stesso di una filosofia che nutra fiducia nel proprio dimorare dentro il mondo.
Del tempo possiamo fidarci, ci dice il filosofo. Essere suoi amici è la condizione di ogni abbraccio. Negare il tempo, la sua potenza, è invece segno di insipienza teoretica e pragmatica, la quale può arrivare agli esiti estremi e onirici «del transumanismo, che immagina di portare su questa terra un mondo che non muore» e che per questo disprezza «il calore umido del cuore, la corruttibilità – svilita a wetware, a sostanza putrida e vischiosa dalla quale bisogna liberarsi».
L’accettazione piena della finitudine che ci costituisce è invece parte essenziale del lavoro filosofico, di quella filosofia che Mazzarella definisce come «un’attività dell’uomo in vista dell’uomo; anzi è l’attività dell’uomo in vista dell’uomo, in vista di se stesso». La filosofia ha sempre il suo coraggio. Anche nei momenti – e sono numerosi- nei quali altre potenze, altre pratiche e altre interpretazioni sembrano volerla sostituire, irridere, ignorare.
«L’uomo che deve rimanere» esprime il coraggio teoretico e la misura etica che, convergendo, dicono quel che accade nel mondo, ne sondano le radici, ne prefigurano sviluppi e le «vie d’uscita». Tra un precedente libro di Eugenio Mazzarella che portava proprio tale titolo (il melangolo, 2004) e questo nuovo volume la continuità è profonda e indica un itinerario sempre più sobrio, che punta all’essenziale e l’essenziale insegna.
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