giovedì 23 novembre 2017

Vedrai mirabilia. Un libro di magia del Quattrocento


Vedrai mirabilia. Un libro di magia del Quattrocento, a cura di Florence Gal, Jean-Patrice Boudet, Laurence Moulinier-Brogi, Viella, pp. 470, euro 46

Risvolto
 Nel 1446 l’amanuense principale del manoscritto italiano 1524 della Bibliothèque nationale de France finisce il suo lavoro: questo manoscritto di 236 fogli di pergamena, adornato di miniature di fattura lombarda, offre similitudini con codici appartenuti al duca di Milano Filippo Maria Visconti.
Il volume, che sembra essere il risultato di una richiesta di traduzioni, dal latino all’italiano, da parte di un membro laico della corte ducale, raccoglie una quindicina di testi di astrologia e soprattutto di magia, tra i quali una Necromantia con quasi 250 experimenti e una traduzione del trattato di magia rituale Clavicula Salomonis. Tratto originale del volume è la preponderanza della tematica della magia amorosa, in particolare nella Necromantia, di cui i due terzi degli experimenti si riferiscono all’amore e alla sessualità.
Questo libro propone un’edizione del manoscritto, preceduta da un’ampia introduzione che descrive questo codice unico nel suo genere e il suo contesto, analizzando le operazioni magiche e le loro motivazioni. L’edizione del testo è seguita da vari indici che permettono al lettore di orientarsi nel dedalo dei testi e delle ricette. 
Un manuale per negromanti 

Medioevo. «Vedrai mirabilia», una antica guida anonima del Quattrocento per magie bianche e nere, edita da Viella 

Marina Montesano  Manifesto 22.11.2017, 0:04 
Nei primi secoli dell’età medievale, la tradizione della magia colta, tipica del mondo ellenistico e strettamente collegata con la gnosi, era nota soltanto attraverso gli scritti di Tertulliano e di Agostino, ripresi nel VII secolo dall’«enciclopedia» di Isidoro di Siviglia, ma a lungo essa era sembrata una realtà lontana, relegata al passato. La cosiddetta «rinascita» del secolo XII mutò radicalmente questo panorama, comportando anche la crescente diffusione di testi magici, specialmente di stampo astrologico, ricondotti dall’antichità e ravvivati dai testi ebraici e musulmani. 
LA SOCIETÀ BASSO E TARDOMEDIEVALE non elaborò pareri e comportamenti univoci nei confronti di tali fenomeni. Da un lato, la preoccupazione per la vanitas magicarum era rinverdita da una larga parte del mondo ecclesiastico, con in testa i domenicani e poi i francescani, per i quali il magus va accostato ai «negromanti» (termine che deriva da «necromanti», ossia coloro che divinavano interrogando i morti, ma che aveva ormai assunto una valenza più ampia) e agli astrologi, cioè a coloro che oggi tendiamo a definire nell’ambito della «magia cerimoniale colta» e di forme elaborate di divinazione. D’altro canto, quei secoli conobbero anche una ripresa «in positivo» della magia come scienza sperimentale e naturale. 
MA DI QUALI STRUMENTI si servivano i «negromanti»? Se è vero che le testimonianze in negativo sono prevalenti, è possibile identificarne certi caratteri di fondo a partire da alcuni libri che venivano usati dagli stessi «maghi». Fra questi, i più celebri sono quelli che si riteneva tramandassero notizie sui presunti poteri magici del biblico re Salomone. Al leggendario sovrano si attribuiva la stesura di numerosi testi magici, come il Testamentum Salomonis, che descrive i demoni principali e il modo per sottometterli al proprio volere; abbiamo notizia anche di un Liber Salomonis, bruciato nel 1350 su ordine di papa Innocenzo VI. Nel suo Speculum astronomiae Alberto Magno ne ricordava numerosi, la gran parte dei quali non è giunta sino a noi. 
LA «CLAVICULA SALOMONIS» era forse il più noto di tutti; la copia manoscritta più antica, in greco, risalente al XII-XIII secolo, è oggi conservata presso il British Museum di Londra. Ne esistono tuttavia numerose varianti, molte delle quali pubblicate a stampa nei secoli successivi. L’origine sembra esser stata prevalentemente ebraica, con interpolazioni greco-egiziane, e più in generale orientali, e solo remotamente cristiane. Le preghiere devote a Dio si accompagnano a una accentuazione della necessità per l’officiante il rito di requisiti di castità, digiuno e nitore; tuttavia la finalità appariva tutt’altro che devota, essendo sovente rivolta a procurarsi mezzi magici per seminare morte, discordia e distruzione.
Per il periodo fra XIV e XV secolo gli studi più recenti mostrano l’effettiva diffusione nella società di rituali di magia «nera». Il Picatrix, il più celebre fra questi testi, ha ricevuto studi ed edizioni. Nel 1998 lo studioso statunitense Richard Kieckhefer ha trovato e pubblicato un vero e proprio manuale quattrocentesco di tecniche «negromantiche», Forbidden Rites. A Necromancer’s Manual of the Fifteenth Century, purtroppo mai tradotto in Italia. Si saluta quindi con grande piacere la pubblicazione di Vedrai mirabilia. Un libro di magia del Quattrocento, a cura di Florence Gal, Jean-Patrice Boudet, Laurence Moulinier-Brogi (Viella, pp. 470, euro 46), un anonimo manuale in volgare che appartiene all’Italia del Quattrocento. Presentazione ed edizione sono estremamente accurate, opera di specialisti del settore; ma nulla tolgono alla godibilità del testo, che mescola magia astrale, «negromanzia» e rituali apotropaici: «Vedrai mirabilia» è il motto ricorrente che l’anonimo estensore impiega per attirare l’attenzione dei suoi lettori. 
MA IL LIBRO APRE allo stesso tempo uno spaccato raro sulla storia sociale e culturale del tempo perché, come scrivono nell’introduzione, l’Italia del Quattrocento era terreno fertile per questo tipo di scritti, data la grande diffusione dell’astrologia presso le corti aristocratiche, in collegamento con la cultura del Rinascimento, che guardava con favore al mondo antico, del quale tecniche e riti che noi definiamo «magici» erano stati componenti fondamentali.

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