martedì 12 dicembre 2017
Tradotto il libro di Compagnon sull'antimodernismo culturale
Antoine Compagnon: Gli antimoderni. Da Joseph de Maistre a Roland Barthes, traduzione di Alberto Folin, Neri Pozza, pagg. 509, euro 28
Risvolto
Non vi è forse epoca che non sia stata attraversata dal rifiuto del
cambiamento e dal rimpianto della tradizione perduta. Tuttavia, ed è la
tesi che alimenta queste pagine, se i tradizionalisti ci sono sempre
stati, lo stesso non si può dire degli antimoderni.
Gli antimoderni
non sono figure semplicemente mosse dall’eterno pregiudizio contro il
cambiamento, e dunque fantasmi del passato che si aggirano in ogni
tempo. Gli antimoderni, nel senso proprio, moderno, della parola, hanno
una data di nascita precisa: il 1798, l’anno in cui la Rivoluzione
francese segna una rottura decisiva e una svolta fatale; hanno una casa:
la letteratura; e posseggono un’attitudine tutta loro: una relazione
particolare con la morte, con la malinconia, con il dandismo, con il
disincanto che li fa sembrare più moderni dei moderni, come eroi
ultramoderni dell’antimodernità.
Da Joseph de Maistre a Roland
Barthes, passando per François-René de Chateaubriand, Charles
Baudelaire, Léon Bloy, Marcel Proust, Pierre Drieu la Rochelle, André
Gide, Jacques Rivière, Jean Paulhan, Julien Gracq, André Breton, Maurice
Blanchot e tanti altri, il genio antimoderno si è rifugiato, per
Antoine Compagnon, nella letteratura, ma non nella letteratura
genericamente intesa, bensì in quella «che noi qualifichiamo moderna,
nella letteratura che è diventata canone della posterità», e «la cui
resistenza ideologica è inseparabile dalla sua audacia letteraria».
Così,
diversamente dalla vita politica, in cui, dalla Rivoluzione francese in
poi, trionfa una candida apologia del moderno del tutto priva di
modernità, la vita letteraria degli antimoderni, di coloro che hanno
perso l’innocenza del moderno, appare, in questa importante opera
dedicata alle figure più rilevanti della letteratura francese, segnata
da una «reale e duratura modernità».
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