mercoledì 10 gennaio 2018
Mario Perniola 1941-2018
Il filosofo combattente per il «sentire»
Ritratti. Addio a Mario Perniola, pensatore e fra i massimi studiosi di estetica. Dal rigore accademico ai suoi saggi spiazzanti, pasasndo per il libro «Il sex appeal dell'inorganico» fino alla militanza nella rivista «Agalma»: il suo è stato un situazionismo che non si è mai accontentato di occupare i luoghi
Fabrizio Scrivano Manifesto 10.1.2018, 0:03
«Nulla mi disinganna. Il mondo mi ha incantato»: sono tra le ultime parole che Mario Perniola ha scritto in Estetica italiana contemporanea (Bompiani, 2017), forse di sé, uomo e filosofo. Non è stata solo una questione di teoria filosofica tenere lo sguardo sulle cose del mondo sempre vigile e innocente, senza mai slegarsi dallo stupore per ciò che accade e per ciò che è, senza mai rinunciare a vedere ogni ovvietà come l’avvento di un fatto straordinario. Quella di Perniola, il suo pensiero militante e combattente, analitico e indagatore, è una ragione che non si accontenta della ragione, è un cinismo che non si accontenta della minimizzazione, è un situazionismo che non si accontenta di occupare i luoghi.
ESTETOLOGO fino in fondo, Perniola si è preoccupato di dare alle questioni più urgenti e presenti della cultura contemporanea, la politica e la religione, l’arte e la comunicazione, una veste aderente al corpo, mettendo cioè in primo piano, in ogni occasione, la forza che il sentire ha, più di ogni ragione, nell’influenzare e nel determinare le scelte umane.
Raccontare la sua lunga attività filosofica e il suo lungo magistero universitario significa ripercorrere più di cinquant’anni di quella filosofia, non solo italiana, che non si è mai accontentata di sé, che non ha mai voluto produrre un’identità «strapaesana», che non ha mai cercato l’avallo nel pregiudizio.
AI SUOI ALLIEVI e ai suoi lettori, Perniola ha saputo esemplificare, insegnare e comunicare il valore delle inquietudini, delle rabbie, delle provocazioni, del dissenso, della lotta, e nello stesso tempo ha voluto fornire una misura etica di contenimento, di pacatezza, di distanza, di lucidità, di antiretorica. Era persuaso che il conflitto fosse una condizione, e un esito, irrinunciabile, più ancora che inevitabile, un modo buono per capire senza dissimulazione e autoinganno.
Negli ultimi vent’anni aveva dedicato molte energie e molto tempo a dirigere una rivista. Agalma. Rivista di studi culturali e di estetica (Mimesis) desiderava avere due anime e due volti (anche molto ben rappresentati nella redazione e tra i collaboratori, spesso giovani e giovanissimi, ma certamente specchio del modo che Perniola aveva di programmare e immaginare l’azione culturale), che tra loro si scambiavano le parti abbastanza «furfantescamente».
Il rigore accademico, il monitoraggio accurato delle informazioni e delle fonti, il piacere di dare spazio e visibilità agli studi e alla ricerca universitaria era sempre rivitalizzato, e temperato dai pericoli di aridità, con l’innesto di un meno vincolato vociare di opinioni e di prese di posizione, che poi diventavano abitualmente materia di pubblicazione. Lo sa chi ha partecipato ai seminari che, in tempi recenti, ogni estate organizzava a Nemi, il paese sospeso sull’omonimo lago dove aveva eletto una sua residenza, quanto quegli incontri fossero aperti e propositivi.
SOLO RIPRENDENDO in mano la pila dei suoi saggi, e rubricandone titoli e argomenti, ci si può accorgere che, al di là della varietà di soggetti e temi, nel modo di procedere di Perniola rimane costante la volontà di fare della filosofia uno strumento di orientamento nella cultura della contemporaneità. E in un questo suo cammino c’è un titolo miliare, non solo per il suo pensiero, che è Transiti (Cappelli, 1985), un saggio con un sottotitolo spiazzante: come si va dallo stesso allo stesso. In quel libro Perniola si riagganciava saldamente alle discussioni sul postmoderno, sul globalismo, sulla omologazione dell’informazione, mettendo a nudo una pratica di agire e pensare che aveva reso inattuali i concetti di tradizione e innovazione.
LE FIGURE dello spostamento verticale nel tempo o del viaggio nello spazio, le grandi metafore su cui la modernità aveva costruito le sue mappe, gli sembravano fruste e illeggibili: al presente si imponeva un terzo modo di pensare (o di subire) l’esistenza, di determinare le emozioni e di regolare il sentire, del fare esperienza insomma, ed era questa nozione di transito in un presente storico non eludibile. Nella cultura della comunicazione costante e della connessione perpetua, non si richiede più la memoria o la capacità del racconto del passato, non si richiede più di saper costruire un progetto per il futuro, utopico o concreto che sia. Si richiede invece la presenza, la capacità di muoversi nel presente, dallo stesso allo stesso, appunto. Le molte pubblicazioni che ancora sarebbero seguite, da Del sentire (1991), passando per Il sex appeal dell’inorganico (1994), fino all’Arte espansa (2015), tutte uscite per Einaudi, non ne hanno forse ampliato l’analisi, eppure ne hanno prolungato gli effetti teorici, adeguando e adattando alle più diverse circostanze questa visione di fondo dell’esperienza storica, e secolarizzata, e approfondendo la conoscenza della sua genesi e della sua radicazione nel e attraverso il concetto di sentire.
Del resto, in lui la via del lavoro rigoroso nel produrre un pensiero estetico e filosofico, si era sempre intrecciata con quella della partecipazione e della volontà di ingaggio. Da ultimo Perniola, a dimostrazione della sua tenacia di combattente e di promotore del dibattito, aveva proposto ad alcuni suoi amici e collaboratori di varare insieme a lui un’altra iniziativa, anche questa dal titolo provocatorio: Chi se non noi? Pubblicazione aperiodica. Avrebbe voluto scherzare e ironizzare sul mondo e sulla cultura, sulla politica e sull’arte, avrebbe voluto mischiare le carte, creare gioco e tensione. Un altro transito, un’altra esperienza del presente.
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