martedì 6 marzo 2018

Negrieri contro populisti: il libro di Augusto Illuminati

Populisti e profeti
Scherzi a parte, auguri ad Augusto [SGA].

Augusto Illuminati: Populisti e profeti. Istruzioni per l'uso e la disattivazione, manifestolibri

Risvolto
In tempi di feroci polemiche sul populismo, questo libro tenta di riassumerne alcune tappe storiche dell’Ottocento e del Novecento fino alle principali interpretazioni correnti.
Mentre sui media italiani predomina la demonizzazione di modeste emergenze locali, la letteratura internazionale si interroga sulla natura di un neopopulismo sud e nordamericano ed europeo, ombra o risposta alla crisi del governo rappresentativo, la cui originaria funzione oligarchica è stata aggravata dal neoliberalismo.
Il neopopulismo denuncia le contraddizioni e le insufficienze di un sistema non restaurabile e tuttavia ne ripresenta alcuni punti ciechi (la rappresentazione, la disintermediazione, il deludente personalismo, la costruzione di significanti arbitrari).
Per l’autore, il neopopulismo, in America latina come nell’Europa di Podemos, è un terreno da attraversare, decostruire e usare per sconfiggere il neoliberalismo.

Augusto Illuminati ha insegnato Storia della filosofia all’Università di Urbino fino al 2009. Ha collaborato a «Luogo comune» e «Alfabeta». Fa corsi per la Lum, presso il centro sociale romano Esc Atelier. Fra le sue pubblicazioni Sociologia e classi sociali (Einaudi, 1967), Gli inganni di Sarastro (Einaudi, 1980), Winterreise (Dedalo, 1984), Completa beatitudo (L’orecchio di Van Gogh 2000), Del comune (manifestolibri 2003).



La promessa del futuro 

Tempi presenti. «Populisti e profeti», il libro di Augusto Illuminati edito da manifestolibri. Anche nella sua versione di sinistra, il populismo è la proiezione politica di una rivoluzione passiva necessaria a fuoriuscire dall’interregno della crisi del neoliberismo

Benedetto Vecchi Manifesto 6.3.2018, 0:04 
Il populismo è un significante vuoto. Meglio, una chiave di accesso alla compressione della qualificazione come antisistema per tutti i movimenti che irrompono nella triste scena pubblica della crisi del neoliberismo. Movimenti sociali o di opinione che dagli Usa all’America Latina, dall’Asia alla vecchia Europa occupano il centro del palcoscenico, spaventando, dicono i media mainstream, le élite neoliberali al potere. Lettura, questa, che stride con quanto accade proprio nei continenti e realtà nazionali dove più evidente il potere di attrazione dell’ordine del discorso populista.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ad esempio, è considerato un populista che vuol far tornare grande gli Stati Uniti contro gli interessi delle élite liberal e cosmopolite, ritenute le responsabili del declino americano. Google, Facebook, Apple, Amazon sarebbero i simboli di queste élite globali che hanno rescisso i loro legami con la nazione, mentre Trump, i petrolieri sarebbero invece i rappresentanti di un capitalismo che non vuol rinunciare alla egemonia mondiale degli Stati Uniti in quanto nazione. Da qui l’appello del presidente statunitense ai valori profondi e genuini e «bianchi» degli americani, stabilendo un legame con l’antico populismo a stelle e strisce che è arrivato a svolgere, tra la fine dell’Ottocento e i primi vent’anni del Novecento, un ruolo non marginale negli Stati Uniti, come testimonia Augusto Illuminati nel volume Populisti e profeti, manifestolibri, pp. 108, euro 8). 
IL VOLUME È SCANDITO in tre parti. La seconda ricostruisce la genesi e l’eterogeneità del populismo «storico», si va dalla Russia ottocentesca agli Stati Uniti al continente latinoamericano. La terza parte è invece dedicata alle tesi di quanti, a sinistra dello scacchiere politico e dei movimenti sociali, propongono il populismo come il grimaldello da usare per uscire dalla subalternità e dalla sconfitta sia dei movimenti sociali che della sinistra.
La prima parte, invece, ha un taglio più teoretico e si misura con i testi filosofici di autori islamici e ebraici, individuando nella profezia e nella promessa di futuro il collante di molte esperienze politiche populiste. Il populismo altro non sarebbe che una teologia politica di una crisi delle società nel quale si manifesta. In base a quanto scrive l’autore, il populismo è cosa troppo seria per essere lasciata nelle mani degli apprendisti stregoni dell’ordine costituito. E se Trump lo usa per riconquistare l’egemonia perduta degli Stati Uniti, in Europa è la reazione ai diktat delle politiche dell’austerity. In Italia, invece, Berlusconi, Salvini e in misura diversa Renzi agitano le virtù del popolo per scongiurare il declino di forme specifiche di capitalismo – quello familiare e molecolare, direbbe una testa d’uovo del Censis – di fronte il potere del capitale sovranazionale. Più che antisistema, il populismo di governo italiano è quindi da considerare un affare interno ai rapporti di potere dominanti.
Elementi molto presenti anche nel movimento cinque stelle, organizzazione politica che più di altre si avvicina al modello di populismo elaborato dal filosofo argentino Ernesto Laclau. L’universale che il Movimento cinque stelle si propone di ricostruire è una concezione pastorale dello Stato, l’unica fonte dalla quale può sgorgare la volontà generale espropriata dalla casta. L’adesione al libero mercato, assieme al ripudio della povertà assoluta, l’esaltazione della meritocrazia contro il nepotismo delle élite convivono inoltre in una visione da decrescita felice in nome di un buon vivere, rivendicato comunque all’interno di una cornice moderata e compatibile con il regime di accumulazione dominante. 
Ma c’è anche chi crede nella possibilità di un populismo di sinistra, individuando come possibili modelli per l’Italia le esperienze francesi di Jean-Luc Mélanchon, di Podemos in Spagna, del chavismo venezuelano, dei movimenti indigeni in Bolivia e Ecuador e, sotto molti aspetti, dell’americano Bernie Sanders e dell’inglese Jeremy Corbin. Al di là dell’eterogeneità dei casi citati, che rende impossibile parlare del populismo di sinistra come un ciclo politico globale, consente di guardare a queste esperienze come a un ripiegamento locale alle sfide poste dal capitalismo globale. Un ripiegamento che in Italia testimonia ormai la marginalità della sinistra politica e dei tentativi di uscire dalla sua irrilevanza, sia quando si agitano le parole d’ordine della libertà e dell’uguaglianza che quando viene invocato il potere del popolo: in entrambi i casi, si scambiano i propri desideri con la realtà. 
L’AUTORE INDICA talvolta il populismo di sinistra come una sorta di socialismo utopista postmoderno. Ma più che una utopia postmoderna, va affermato, il populismo di sinistra è il simbolo di una operazione mimetica tesa a colmare il vuoto provocato dalla eclissi della socialdemocrazia, dai vecchi partiti operai e dal sindacato. E c’è da dubitare che funzioni come l’elaborazione di un nuovo «universale» a partire dal riconoscimento dei tanti particolari che attraversano della società civile.
In primo luogo, c’è in questa griglia analitica un cattivo determinismo di causa ed effetto tra le folks politics dei movimenti sociali e il Politico; generico rimane l’universale da produrre, eccetto la riproposizione del feticcio della sovranità nazionale e dello Stato. Il populismo, anche nella sua versione di sinistra, è la proiezione politica di una rivoluzione passiva necessaria a fuoriuscire dall’interregno definito dalla crisi del neoliberismo. Il populismo è sì l’esemplificazione di un Politico che prende atto della crisi della democrazia rappresentativa e della mutazione profonda delle classi sociali senza però riuscire ad andare oltre la stabilizzazione dei rapporti sociali di produzione. 
PIÙ CHE GARANTIRE il cambiamento, il populismo di destra e di sinistra è quindi il lessico politico della normalizzazione istituzionale della grande trasformazione già avvenuta. E se per la destra, l’appello al popolo ha a che fare con il mix di legge e ordine, a sinistra svolge quella funzione ambivalente di un passato dove le speranze di libertà e uguaglianza erano state codificate dentro le istituzioni del welfare state. Nel suo ultimo libro, Zygmunt Bauman ha indagato la Retrotopia (Laterza), cioè questo auspicato ritorno al passato dove convivono nostalgia per i bei tempi andati e una critica del presente, tuttavia aperta a una trasformazione dei rapporti di potere dominanti. 
L’ORDINE DEL DISCORSO populista riconfigura la successione passato, presente e futuro, dove il terzo movimento viene sacrificato nell’eterna ripetizione di un presente depurato dei suoi aspetti più feroci. Va dunque salutato positivamente un libro come questo che si propone di definire le istruzioni per l’uso del lessico populista. Ma non per renderlo «ragionevole» (come alcuni toni dialogici usati dall’autore), ma per destrutturarlo, evitando di ritrovarsi perduti nel labirinto della sconfitta, proprio quando viene sbandierata l’illusione che è stata trovata l’uscita da quel dedalo.

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