mercoledì 18 aprile 2018
Mito Transpolitico e trasformismo intellettuale di massa: la destra osserva famelica la deriva rozzobruna di Michéa e lo usa per adescare ex compagni confusi
Risvolto
«Corri compagno, il vecchio mondo è dietro di te»: è la parola d’ordine
del Maggio’68. Uno slogan che traduce perfettamente l’essenza stessa
della sinistra progressista: l’idea che la lotta consista nel lasciarsi
sempre alle spalle il vecchio mondo in quanto tale e correre incontro al
nuovo.
È tuttavia questa la prospettiva propria del socialismo?
Abbracciare il mondo nuovo in quanto tale? Il mondo, ad esempio, che la
sinistra liberale odierna ha già palesemente fatto suo, quello del
riscaldamento globale, di Goldman Sachs della Silicon Valley?
Jean-Claude Michéa prova a rispondere a questi interrogativi nelle
pagine che seguono composte da scritti e interviste risalenti a periodi
differenti.
Il primo nume tutelare che alimenta il pensiero di Michéa
è, naturalmente, Karl Marx, precisamente il Marx del Capitale che svela
i meccanismi della società moderna per attrezzare la lotta dei
lavoratori non per abbracciare il mondo nuovo, ma esattamente per
combatterlo, in quanto mondo che annuncia un’alienazione e una schiavitù
senza pari.
Tra i numi tutelari di Michéa figurano, tra gli altri,
anche l’Orwell della common decency, Marcel Mauss con la sua teoria del
dono e Guy Debord con la sua critica della società dello spettacolo e
della «dissoluzione di tutti i legami sociali». Numi chiamati tutti a
sostenere «l’urgenza di tornare al tesoro perduto della critica
socialista originaria, perché […] oggi, al tempo della globalizzazione e
del liberismo trionfante, ciò che minaccia di distruggere la natura e
l’umanità stessa […] è innanzitutto il continuo e dissennato
perseguimento del tornaconto capitalistico».
Il nostro comune nemico,
da questo punto di vista, non è affatto, per Michéa, il mondo vecchio
che, per dirla con l’ironia propria di Orwell, non era fatto soltanto di
guerra, nazionalismo e religione, ma anche di professori di greco,
poeti e cavalli, ma il nuovo ordine della libertà del profitto, quella
libertà che si impone quotidianamente attraverso il discorso retorico
dei media e che, come scriveva Debord, si è ormai «costretti ad amare».
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