venerdì 11 maggio 2018

"Popolo vs Democrazia": anche Mounk ci difende dal "populismo" e i negrieri lo intervistano pure


L’ira antisistema ostile alla libertà 

Salone internazionale del Libro di Torino. Intervista con Yascha Mounk autore del volume «Popolo vs Democrazia». Una radiografia della crisi dei sistemi politici liberali e della crescente disaffezione alla politica. Lo studioso di origine tedesca presenterà oggi il suo saggio alla kermesse editoriale di Torino

Benedetto Vecchi  Manifesto 11.5.2018, 0:30 
Tagliente nei giudizi, chiaro nell’esporre il suo punto di vista e capace di offrire una visione semplice di un mondo tuttavia complesso. Yascha Mounk ha dalla sua anche la giovine età che lo porta a disattendere convenzioni e modi d’essere dell’Accademia universitaria. Nel suo primo libro (Stranger in My Own Country. A Jewish Family in Modern Germany, Farrar Straus and Giroux) rende, ad esempio, pubblico il malessere di un giovane di origine ebraica che si sente straniero nel paese, la Germania, dove è nato. Un memoir dove il tema dell’identità è affrontato con disincanto, rifiutando tuttavia la facile strada della rivendicazione di una appartenenza senza tempo consapevole del fatto che nel paese di nascita non c’è stata mai una rielaborazione sul nazismo, ma solo una consolatoria e autoassolutoria condanna del Terzo Reich. Oppure hanno destato sospetto e discussione le tesi contenute nel suo libro The Age of Responsibility. Luck, Choice and the Welfare State (Harvard University Press) dove sostiene che la responsabilità, termine frequentemente usato da esponenti politici conservatori, deve diventare un concetto chiave nel lessico politico della sinistra dato che la responsabilità verso gli altri è stata la leva fondamentale nella costruzione del welfare state. 
Mounk, che insegna negli Stati Uniti, si è schierato contro la candidatura di Donald Trump, sottolineando però che il suo populismo è tutto meno che un fenomeno politico e sociale folkloristico. Il populismo, per Mounk, va preso sul serio perché costituisce il pericolo maggiore per la democrazia. È questo il tema del suo libro Popolo vs Democrazia (Feltrinelli, pp. 333, euro 18), che sarà presentato oggi al Salone internazionale del libro di Torino (ore 15.30, sala Blu). E questo il tema dal quale ha preso avvio l’intervista avvenuta tra uno un appuntamento di lavoro tra Milano e la città piemontese. 
Nel suo libro scrive della fine della grande illusione che ha tenuto banco dopo il crollo del Muro di Berlino. Il mondo, questa la retorica dominante, stava entrando in un periodo di benessere, mentre la democrazia sarebbe stato il destino politico per tutti i paesi. Lei sostiene che a quella illusione è subentrata un’era di tensioni, conflitti e dove la democrazia non è il destino manifesto dei sistemi politici…. 
Allora veniva affermato che la globalizzazione economica avrebbe consentito la crescita del benessere su tutto il pianeta. Superata una soglia di benessere, la democrazia sarebbe stata alla portata di tutti i paesi. La situazione è cambiata con la crisi economica e quando in paesi di recente democratizzazione ci sono state elezioni all’interno di un quadro di forte limitazione di libertà di stampa, di associazione. Mi riferisco a paesi come l’Ungheria, la Polonia. Ci troviamo di fronte a situazioni che potremmo definire di democrazia senza diritti. Qui la parola chiave è il popolo, che deve essere rappresentato nella sua organicità. Il populismo tuttavia non riguarda solo l’Europa. È infatti un fenomeno politico globale. 
Molti commentatori dipingono il populismo come una cultura politica antisistema. Potrebbe, all’opposto, essere visto come una ciambella di salvataggio per sistemi politici in deficit di legittimazione e in crisi di rappresentanza…. 
Il populismo non è certo un fenomeno unitario, eguale sempre a se stesso. Podemos è cosa diversa dalle formazioni populiste dell’Europa del Nord. Ma tutti i populisti sono antiestablishment. O come dice lei antisistema. Non penso vada cercata una coerenza da parte dei partiti populisti. Spesso esponenti politici populisti esprimono posizioni antitetiche l’una con l’altro nell’arco della stessa giornata. Quel che rimane costante è la critica all’operato del governo perché corrotto; perché trama contro gli interessi del popolo. La critica riguarda anche i media, colpevoli di falsificare la rappresentazione della realtà. Il governo, i media e gli altri partiti politici sono cioè responsabili di soprusi, ingiustizie sistematiche. Non penso dunque che il populismo funzioni come ciambella di salvataggio. 
Ho seguito con attenzione la diffusione di parole d’ordine populiste in Germania: la dominante era il terrore che il primato economico tedesco potesse essere messo in discussione. Il populismo era cioè declinato dentro una cornice nazionalista. In Italia, invece il declassamento del ceto medio, la crisi economica, l’impoverimento della popolazione è stato l’ordine del discorso che ha trovato un forte collante nella denuncia della corruzione, dei privilegi della casta. Qui i sentimenti dominanti sono stati l’ira cieca contro le ingiustizie, il risentimento. 
Inizialmente, Beppe Grillo proponeva una idea di comunità tollerante, aperta, giovane: cosa diversa dall’establishment vecchio, egoista, corrotto e avido rappresentato dai vecchi partiti. Ma il movimento dei 5 Stelle ha poi veicolato una visione chiusa della comunità, alimentando una logica complottista in base alla quale tutti gli altri politici erano in combutta per annientare la voglia di libertà, di pulizia, di tutela dei beni comuni espressi dal popolo. 
Nel suo libro, lei si sofferma sul fatto che la democrazia corre il rischio di rimanere ostaggio delle élite. Cita il caso del denaro necessario per essere eletti al Congresso e al Senato degli Usa…. 
Per essere eletti al Congresso o al Senato statunitense servono milioni di dollari. Per questo le èlite sono avvantaggiate. Spesso i candidati fanno già parte di circoli economici e finanziari che possono favorire il finanziamento della campagna elettorale . Fanno parte dell’élite anche i lobbisti È costume negli Usa che grandi imprese o grandi azionisti finanziano candidati in maniera tale da condizionare il loro operato una volta eletti. Anche qui i rischi della democrazia sono alti. Se invece guardiamo a paesi non democratici, scopriamo che le leadership funzionano come caste separata dal resto della società e che riproducono se stessi secondo logiche familiste. 
La depoliticizzazione è un altro dei temi che lei affronta. La democrazia più che far crescere l’attenzione verso la gestione della cosa pubblica sembra favorire la depoliticizzazione. È così? 
In tutto i paesi democratici c’è una caduta nella partecipazione alle elezioni. Spesso il numero dei votanti costituisce una minoranza della popolazione. I partiti perdono iscritti. Tutti i tentativi di rivitalizzare i partiti non funzionano come dovrebbero. La cosiddetta società civile privilegia gli affari privati, la logica amicale del piccolo gruppo che si incontra per condividere ansie e speranze che rimangono private. Il populismo non ferma la depoliticizzazione. Semmai l’accelera quando sostiene che i politici fanno parte di una casta che tutela solo i loro interessi. 
Lei sostiene che i social media sono il vettore di propagazione del populismo che proponeva un futuro roseo. Eppure i social media prospettano più che un futuro un eterno presente…. 
I social media sono stati presentati dai tecno-ottimisti come il mezzo, lo strumento per una democratizzazione radicale dei media. Questo fino al 2010, 2011. Ci sono state anche dei tumulti, rivolte qualificate come twitter revolution. Poi è subentrato un pessimismo radicale sulle capacità liberatoria dei social media. Sono stati considerati una sorta di potente strumento di manipolazione dell’opinione pubblica che per di più istupidiva le persone. Certo i social media mettono in discussione il potere dei media tradizionali, ma rispondono comunque alla stesso logica economica. Per quanto riguarda il populismo, i social media sono stati un vettore per la sua diffusione. Da questo punto di vista il Movimento 5 stelle è stato un case study interessante per comprendere il potere di un nuovo media che fa della critica ai vecchi media il proprio marchio di origine.

I GEMELLI POPULISTI DI DESTRA E DI SINISTRA 
Repubblica 12/5/2018 Yascha Mounk
Il 23 agosto 1939 i ministri degli Esteri dell’Unione Sovietica e del Terzo Reich si riunirono segretamente a Mosca per firmare un trattato di non aggressione. Il famigerato patto rosso-bruno spianò la strada alla conquista nazista di gran parte dell’Europa centrale. Provocò anche una profonda crisi di coscienza tra gli attivisti, come i miei nonni, che erano stati attratti dal comunismo anche per la sua promessa di liberare il mondo dal settarismo e dall’ingiustizia razziale. Alla fine, molti comunisti trovarono un modo di riconciliare la loro coscienza con l’inammissibile. Invocarono la strategia o la necessità, il demonio del capitalismo borghese o la saggezza di Stalin (o negarono interamente l’esistenza del patto). In un modo o nell’altro, si diedero da fare per recuperare la certezza che erano dalla parte degli angeli, e che questo, in certi casi, poteva giustificare un’alleanza con il diavolo.
La politica internazionale è sempre prodiga di strane alleanze, naturalmente. Come spiegare altrimenti il fatto che l’Iran sia alleato con la Corea del Nord, o che gli Stati Uniti sostengano i governi di Egitto e Arabia Saudita? Ma c’è qualcosa, riguardo ai sommovimenti sismici che stanno trasformando lo spettro ideologico delle democrazie occidentali, che va oltre queste alleanze di comodo. I nemici della democrazia liberale, sia di destra che di sinistra, stanno annusando il sangue nell’acqua e non sono troppo schizzinosi sulle persone con cui condividere il banchetto.
In tutto il mondo, populisti di destra e di sinistra sembrano trovare sorprendentemente facile fare causa comune: in Grecia l’estrema sinistra di Syriza è salita al governo in coalizione con l’estrema destra di Anel. In molti Paesi europei il Cremlino sostiene simultaneamente forze populiste antisistema su entrambi i lati dello spettro politico. In gran parte dell’Occidente, sia la destra radicale che la sinistra antimperialista chiudono gli occhi sui crimini di guerra di Bashar al Assad. Contemporaneamente, negli Stati Uniti, sempre più persone di sinistra non ritengono che Donald Trump rappresenti un pericolo particolare: l’America, dicono, è così profondamente corrotta che è ingenuo pensare che Trump rappresenti una deviazione dal passato, o aver paura che sia rimasto ancora qualcosa di rilevante da difendere.
Ma l’esempio più eclatante di questa bizzarra variante postmoderna dell’alleanza rosso- bruna è la recente notizia che l’amorfo Movimento 5 Stelle sta cercando di costruire una coalizione di governo con l’ultraxenofoba Lega. I sindaci della Lega da anni hanno la sgradevole abitudine di incrementare il numero di espulsioni verso la fine dell’anno con lo slogan “Bianco Natale”. Quando un ex militante del partito, all’inizio di quest’anno, si è messo a sparare all’impazzata a Macerata, ferendo gravemente sei immigrati africani, Matteo Salvini, il leader del partito, ha deliberatamente rifiutato di condannarlo. Il termine “suprematisti bianchi” viene usato talvolta a sproposito, ma nel caso degli uomini di Salvini è senz’altro appropriato.
Il Movimento 5 Stelle, al contrario, all’inizio della sua traiettoria era chiaramente di sinistra. Anche se in certe occasioni Beppe Grillo ha dichiarato morte le vecchie distinzioni ideologiche, è un fatto che sia assurto a notorietà politica scagliandosi contro Silvio Berlusconi. Il nome del movimento deriva dalle cinque battaglie portate avanti in origine, tutte tranquillamente classificabili a sinistra: il controllo delle risorse idriche locali deve rimanere in mano pubblica; il governo deve fare molto di più per proteggere l’ambiente; ogni Comune dovrebbe fornire ai suoi residenti accesso gratuito alla Rete; l’Italia deve privilegiare biciclette, autobus e treni rispetto alle automobili; il Paese deve imboccare un modello di sviluppo economico ispirato al concetto di «decrescita».
Eppure questo movimento populista, con la sua giustificata rabbia verso un leader politico corrotto e la sua accozzaglia di rivendicazioni idealistiche, si è “guastato” con sconcertante rapidità. Negli ultimi anni, i suoi rappresentanti hanno cominciato a insinuare che l’11 settembre potrebbe essere stato opera degli americani stessi, hanno costruito legami sempre più stretti con il Cremlino e hanno assunto una posizione sempre più deleteria sull’immigrazione.
Questa trasformazione si sta ora avviando a compimento: di fronte alla scelta fra nuove elezioni, un governo insieme al Partito democratico ( di centrosinistra) o un patto con i razzisti della Lega di Salvini, i leader del Movimento 5 Stelle hanno optato per un’alleanza populista sinistra-destra. Le prime notizie mostrano quale sarà con ogni probabilità il primo punto all’ordine del giorno del nuovo governo, se davvero riuscirà a formarsi: un giro di vite contro gli immigrati. La logica politica detta anche una seconda linea d’azione: non avendo molti punti in comune su cui accordarsi per un programma, probabilmente useranno l’ostilità verso l’Unione europea, che entrambi condividono, come collante che può contribuire a tenere insieme la loro conflittuale coalizione.
Questo dovrebbe servire da ammonimento per tutti quelli che pensano che solo il populismo di destra rappresenti un vero pericolo, e guardano l’ascesa del populismo di sinistra come un benevolo correttivo ai difetti della democrazia liberale. In The Populist Explosion, per esempio, John Judis sosteneva che il populismo di destra ha buone probabilità di sfociare in violenze e ingiustizie perché è « triadico » : leader populisti come Donald Trump rivendicano di essere la voce della gente comune nella lotta contro le élite e le minoranze vulnerabili, dai musulmani agli afroamericani. Il populismo di sinistra, al contrario, difficilmente provoca le stesse devastazioni perché è «diadico»: focalizzato interamente sul conflitto tra gente comune ed élite politiche, non cerca di trasformare in capri espiatori gruppi emarginati. Pertanto, è improbabile che possa aggravare le ingiustizie esistenti.
Ma questa tesi non tiene conto del fatto che l’ideologia non è la caratteristica più rilevante dei populisti. Come affermo nel mio libro Popolo vs democrazia, l’elemento che li definisce davvero è uno stile politico che combina un’ossessione per nemici odiosi e soluzioni semplici con un profondo disprezzo per le istituzioni esistenti della democrazia rappresentativa. Questo aiuta a spiegare perché i populisti di sinistra a volte appaiono molto diversi dai populisti di destra nelle prime fasi, quando sono lontani dal potere, ma tendono ad assomigliarsi sempre più man mano che maturano.
Dato che un nobile impulso a scagliarsi contro i cattivi può facilmente trasformarsi in una sconsiderata assuefazione a bollare chiunque come nemico, il loro odio verso politici e grandi aziende può facilmente trasferirsi su migranti e minoranze. E dato che sono convinti che il nemico del loro nemico è loro amico, saranno sempre tentati di applaudire l’ascesa dei populisti di destra, e perfino di fare causa comune con loro quando non sono in grado di governare da soli. Nel linguaggio di Judis, il Movimento 5 Stelle, come Hugo Chávez in Venezuela e tante altre dittature di sinistra, avrà anche iniziato come movimento «diadico», ma la facilità e rapidità con cui ha acquisito un terzo, e profondamente xenofobo, asse rende quella distinzione piuttosto arcana.
Nelle comparazioni storiche quasi sempre le disanalogie sono più numerose delle analogie. È doppiamente vero per quelle comparazioni, come il patto rosso- bruno, che rimandano agli episodi più amari della storia umana. Grazie a dio, né Grillo né Salvini raggiungeranno probabilmente l’importanza storica di Molotov e von Ribbentrop, ma non è il caso di crogiolarsi troppo nella famosa battuta di Marx sulla storia che si ripete trasformando miracolosamente la tragedia in farsa.
Nonostante le numerose differenze tra il presente e il passato, il XX secolo ci ha regalato opportunità tristi, che mostrano che cosa succede quando parti della sinistra diventano così ostili alla democrazia liberale da essere disposte a fare causa comune con l’estrema destra. E anche se questa volta gli esiti dovessero dimostrarsi un po’ più farseschi e un tantino meno tragici, resta comunque probabile che possano infliggere al mondo crudeltà e sofferenze indicibili.
( Traduzione di Fabio Galimberti) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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